I brevissimi 2003 – Il bello del calcio di Robert Patrick Ricciardi_Roma
anno 2003 (I sensi – Sfiorare)
Quel giorno sfiorai la felicità. La sfiorai come un calciatore sfiora il gol,
accarezzando il palo con un tiro. Che c’entra il calcio? C’entra, c’entra,
fidatevi. E c’entra pure la felicità. Lo so, qualsiasi dei miei amici
sghignazzerebbe senza ritegno, al sentire che sto associando qualcosa di
grande e imponderabile, come la felicità, all’amore di e per una donna. E i
miei amici sghignazzerebbero perché io, per loro, sono il dongiovanni per
eccellenza. Io, quello allergico alle storie lunghe più di un mese: il solo
pensiero del matrimonio, mi fa venire l’orticaria. Lei mi era piaciuta subito.
Anima e corpo. Dopo appena cinque minuti che ci parlavo, ero pazzo di lei.
Ero persino arrossito, m’era scappato un balbettio, roba da ragazzino
imbranato e alle prime armi. Segno che c’era qualcosa di diverso dal
solito.
Cinque minuti e se n’era andata via. Da quella festa chiassosa e noiosa.
Era fuggita, la traditrice, proprio mentre ero intento a prendere qualcosa
da bere per tutti e due. Non mi diedi per vinto: mi procurai il suo numero
di telefono e la chiamai. Quando mi disse “no”, in risposta al mio invito a
cena, incassai con eleganza. Non tutte le prede sono facili. E allora adottai
le classiche e abusate tecniche da innamorato d’altri tempi: appassionate
lettere d’amore e mazzi di rose rosse, poesie lasciate sulla segreteria
telefonica e canzoni dedicate alla radio. Tutto inutile. Lei si negava con la
stessa naturalezza con cui respirava. Ma dopo un mese di tentativi, quando
ormai non sapevo più cosa fossero il sonno e l’appetito, mi offrì,
inaspettatamente, una chance. Piuttosto strana: la dovevo raggiungere, un
sabato pomeriggio, sulla tribuna di un campetto di calcio di periferia.
A vedere all’opera il fratellino di lei. “Se lui segna” – mi disse – “io e te
stasera usciamo insieme”. Ero ottimista. Già vedevo la palla gonfiare la
rete e pregustavo l’incontenibile esultanza che mi avrebbe fatto abbracciare
la bellissima sorella, i suoi seni puntuti contro il mio petto. Ma… il
ragazzino era una schiappa micidiale. Lento, non azzeccava uno stop,
nemmeno per sbaglio e falliva tutti i passaggi. E poi non giocava neppure
in attacco, ma a centrocampo. Minuto dopo minuto, il mio interesse per la
partita si ridusse fin quasi ad azzerarsi al termine del primo tempo.
“Che c’è?”. Mi chiese lei, con un sorriso beffardo. “Ti annoi?”. Risposi con
fredda diplomazia: “No, no, sono solo un po’ stanco”. In realtà, mi sentivo
deluso, avvilito. Non avevo il minimo dubbio che lei sarebbe stata di
parola. Capivo che il fratello non avrebbe segnato e che non l’avrei rivista
più. Il bello del calcio, si dice spesso. Il bello del calcio consisterebbe
nella sua imprevedibilità, nella sua capacità di sovvertire pronostici e di
riservare sorprese nei momenti meno attesi. Il bello del calcio quel
pomeriggio, arrivò tardi. Ma arrivò. Il secondo tempo era quasi finito e
ormai non vedevo l’ora di andarmene. Mi vergognavo, anzi, di essermi
prestato tanto a lungo a quella farsa. La squadra del fratellino stravinceva
– l’unico incapace era proprio lui – e allora qualcuno dei compagni doveva
avergli detto di cercare gloria in attacco. E così negli ultimi dieci minuti
giocò da centravanti. Che pianto! Gli arrivarono tre palloni che urlavano a
squarciagola: “Buttami dentro, buttami dentro”. Ma lui sfoderò tre lisci
ignobili. All’ultimo minuto, il bello del calcio, entra in campo, si guarda
intorno, si cala nel corpo di un compagno di squadra del fratellino e parte
in dribbling, appena fuori dell’area di rigore, si pappa due avversari, scarta
il portiere in uscita e vede solo, solissimo lo schiappone del mio destino e
gli serve, su un piatto d’argento, una palla lenta lenta, facile facile, e lui
questa volta no, non può sbagliare, la porta è spalancata, si avrebbe
persino il tempo di entrarci dentro, palla al piede, miracolo, lo stop riesce
e parte anche un tiro, sporco e brutto, una ciabattata infame, ma è un tiro,
la palla scivola piano verso la porta, ormai è questione di centimetri, non
finirà mica sul palo? Sarebbe troppo, infatti non finisce sul palo, ma lo
sfiora, sì lo sfiora, ma dalla parte sbagliata, mentre il mio carnefice
osserva la scena, con le mani tra i capelli, la sua bellissima sorella è
incredula e per un attimo mi illudo che le dispiaccia, abbia una esitazione,
che possa ripensarci, uscire con me lo stesso, perché, in fondo, è quello
che vuole ed è finito il tempo di giocare, ma poi la guardo e capisco che
sarà di parola, che non la vedrò più, e intanto il pallone rotola e rotolando
schiaccia un’infinità di minuscoli uomini, e ognuno di quelli sono io, che
un istante prima d’essere travolto dall’immensa sfera, faccio appena in
tempo a gridare: “Noooo!”.