I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2005 – Habemus Papam di Roberta Angeloni_Aprilia(LT)

anno 2005 (Il sesto senso)

Menzione dell’associazione Energheia

Goffredo volle assistere alla fumata bianca, ma cadde d’improvviso in un

buco dalla forma rettangolare. Doveva essere una specie di tombino, sul

marciapiede di fronte alla macelleria di Via del Corso. Usciva proprio da lì,

aveva comprato mezzo chilo di cuore di vitello, da cucinare come al solito,

con alici e limone. Il cuore fu invece gradito ai topi che affollavano le

fogne cittadine, perché, cadendo nel baratro, il pacco si svolse e il

contenuto si sparse sul pavimento bagnato e putrido. Goffredo cadendo

svenne, e appena si svegliò, non aveva un graffio, ma la faccia sporca di

cacca e fanghiglia. Nessuno lo cercò, perché nessuno se ne accorse. Dalla

luce al buio, dal sopra al sotto, dal purgatorio all’inferno. Solo,  a un

metro e mezzo dalla strada, a migliaia di anni luce dalla strada.
S’incamminò sullo stretto marciapiede che costeggiava il fiume,

scrollandosi di dosso la melma che gli appiccicava i pantaloni di gabardine

sulla pelle. Le scarpe si incollavano ad ogni passo, le gocce di acqua che

colavano dall’alto s’infilavano nel colletto della camicia di seta e

scivolavano sulla schiena. Non cercava un pertugio, una luce, una grata,

dove potersi arrampicare: camminava avanti, guardandosi attorno, certo di

arrivare alla meta agognata.  Si fermò per un  momento per ammirare il

piccolo coccodrillo che nuotava accanto a lui, dimenando la coda

corazzata. Non sembrava affamato né pericoloso. Si chinò per

accarezzarlo, e l’animale non reagì, preso dalla sua ritmica e lenta nuotata.

Gli sembrò di aver trovato un amico.  E forse era vero: Cocco non lo lasciò

più, per un  solo istante, come un cagnolino fedele.
Le pantegane squittivano attorno alle sue gambe, correvano avanti e

indietro nervose; di tanto in tanto si fermavano a mordicchiare i lembi dei

suoi calzoni.
“Non ho nulla da mangiare per voi” Disse Goffredo intenerito
Goffredo avanzava , nel tunnel che sembrava infinito, con l’acqua, la cacca

e gli animali. D’un tratto il tunnel si divise in due, attraversato da un

ponticello di ferro. Si arrestò, turbato. Si guardò intorno, non sapendo

cosa fare. Si sedette e pianse a lungo, con le lacrime che finalmente gli

lavarono la faccia. Si sdraiò sul ponticello e stremato, si addormentò.
Dopo due ore aprì gli occhi e sorrise, felice di non trovarsi a casa sua.

C’era Cocco, sotto di lui, che dormiva nel fiume con il dorso sul pelo

dell’acqua. Era ora di mettersi in cammino, ma il dubbio lo assalì di

nuovo: il tunnel di destra o di sinistra?
In quello di destra si intravedevano attaccati sulla volta  pipistrelli giganti

a testa in giù, e altri di dimensioni più piccole che volteggiavano attorno.

In quello di sinistra sembrava regnasse il silenzio assoluto. Si era

convinto: s’incamminò in quello di destra. Era uno spettacolo magnifico;

un pipistrello si attaccò tenace sui suoi capelli, suscitando l’ilarità del

coccodrillo, che spalancò le fauci come in segno di allegra approvazione.

Goffredo era entusiasta: nessuno gli aveva mai dedicato tanta attenzione.
Avanzò con il suo pipistrello sulla testa, i topi che di tanto in tanto lo

seguivano, e Cocco che assecondava il ritmo lento e irregolare dei suoi

passi.
Nelle orecchie gli parve di  sentire come una musica celestiale, un coro di

angeli, che si faceva sempre più forte man mano che avanzava. I pipistrelli

gridavano rimbalzando da una parete all’altra, le ombre giganti dei topi  gli

sembravano eleganti destrieri al galoppo, il coccodrillo batteva la coda

sull’acqua provocando schizzi di gioia. Goffredo rideva confuso; il suo

sesto senso gli suggerì di assecondare l’eccitata reazione dei suoi nuovi

amici, e di seguire quelle voci, di accelerare il passo. Era come inghiottito

dal tunnel per via di quei canti. Adesso sentiva il suolo vibrare, il soffitto a

volta che conteneva echi, rumori, calpestii; sopra la sua testa una scala di

ferro che culminava in una botola. Avvertiva forte il desiderio di emergere.

Salì la scala, cercò un appiglio per sollevare il coperchio,  ora era a un

passo dalla superficie. Con fatica sollevò il tombino e lo fece scivolare su

un lato. Cacciò fuori la testa con il suo bel pipistrello abbarbicato. Davanti

agli occhi accecati dalla luce una decina di canne di mitra puntate a pochi

centimetri, tutte intorno a lui. Sentì sull’occipite un colpo secco come di

sfollagente, cadde di nuovo svenuto nella tomba di cacca, giusto il tempo

di ascoltare una voce flebile in lontananza: -…bis gaudium

magnum…habemus Papam! –

 

FINE