I brevissimi 2007 – El torecito – Roberto Morpurgo_Livorno
anno 2007 (Le quattro virtù cardinali – La forza)
Hernan, il torero, e Taurus, l’ultimo toro entrato nell’arena, stavano ancora
combattendo. Taurus era molto forte: e nero come la morte che incede
nella notte. Ma Hernan non gli era da meno. Solo gli intermittenti
controluce del sole che guizzava fra le spalle degli spettatori gli davano
qualche attimo di esitazione. Rapido come l’ombra si ritraeva evitando le
lunghe e arcuate corna di Taurus. Era l’ultimo toro: il più bello, e il più
temibile. Con un balzo – che compì quasi senza sollevare i piedi dalla
sabbia – Hernan gli fu alla distanza di un braccio. Mille braccia di donne, di
uomini, di vecchi, di bambini si levavano come in preghiera. La lunga
ombra di Hernan si intrecciava all’ombra massiccia di Taurus proprio sotto
il suo ventre: poi l’ombra dell’uomo disparve nella macchia nera. La spada
era penetrata nel collo dell’animale fino all’elsa. Taurus non emise un
gemito, e rimase in piedi. Hernan lasciò la presa e portò il braccio destro
sopra il cappello a salutare la folla improvvisamente ammutolita. Solo il
toro respirava: tutti trattenevano il fiato. Allora l’intrepido Hernan ebbe
paura, e si ritrasse dal corpo immobile dell’animale. La mano sinistra
nervosamente serrata intorno alla muleta, con la destra roteava il cappello
sopra la testa. Infine Taurus afflosciò la coda e piegò le zampe posteriori:
la gloria del suo vasto e possente petto era salva. Non piegò il collo, e
morì impettito come aveva combattuto, con la testa alta sopra le spalle e
gli occhi spumeggianti in una invincibile joie-de-vivre.
Proprio mentre la folla si accingeva a acclamare Hernan, nell’arena accadde
qualcosa di imprevisto. Un torello varcò la soglia d’ingresso, sostò qualche
istante nei pressi della staccionata, esplorò l’ambiente muovendo in qua e
in là le sue piccole e bianchissime corna: e quando fu certo di aver visto
ciò che cercava, mosse qualche passo verso il centro dell’arena. Si arrestò
proprio sopra Taurus, e lo annusò. Dapprima parve riconoscerlo: quindi
fece un gesto enigmatico, scosse la testa e per brevi, interminabili attimi si
discostò dal cadavere. Guadagnò il centro dell’arena, e da lì prese a
osservare gli spalti: la prima fila, la seconda, la terza. Poi lentamente,
tristemente si riaccostò al corpo di Taurus. Chinò il muso sull’elsa
scintillante, e la leccò. Con un occhio guardò di sbieco in direzione di
Hernan, con l’altro scrutò il lucido pelame intorno alla ferita. Si sedette.
Apparentemente, si addormentò.
Il pubblico osservava questo nuovo, stravagante spettacolo con occhio
indulgente. Era una pausa? Un intervallo? Un sottile, inatteso
coup-de-theatre? Un vecchio in terza fila inforcò gli occhiali: il torello era
troppo piccolo per poter essere degnamente osservato a occhio nudo.
Dagli ultimi spalti non mancò chi, previdente, aveva portato un binocolo
da teatro: e in quelle lenti – da quella distanza – con il sole che proprio
allora degradava alle spalle delle tribune – il muso del torello poteva
apparire nella sua dimesione naturale. Aveva gli occhi socchiusi e
respirava lentamente, dolcemente. Ma ecco: il bambino che in primissima
fila sedeva accanto alla bella senora de…(sì, proprio colei che per prima
aveva festosamente salutato con un lancio di rose rosse la vittoria di
Hernan), ecco che il bambino si alzò. Un bellissimo abitino da torero
decorava le sue spalle minute ma graziosamente sottolineate dalla rigida
foggia della giacca. E – sotto il cappellino nero con le sue ondeggianti
nappe rosse – quel suo visino pallido, languido, quasi sonnolento,
d’improvviso si tinse di rosso. Si alzò, e con solenne leggerezza raggiunse
il centro dell’arena.
Intorno a lui il pubblico si allontanava in una strana visione. Pareva quasi
che, per poter ammirare un uomo così piccolo, dovesse lui stesso farsi
piccolo: piccolo e lontano. Il bambino osservò con mesta severità quelle
facce ancora accese dalla recente eccitazione. Chinò la testa e senza
guardare il sentiero che veniva tracciando sulla sabbia, raggiunse i due
tori. Si aggiustò il cappello, sistemò il colletto. Con elegante, fanciullesca
cautela protese il busto, accennando un inchino. Così vicina, perfino la sua
minuta ombra pareva una presenza gigantesca, e intimorì il torello. Il
giovane animale ebbe uno scarto improvviso – fece per alzarsi, ma scivolò
– e scuotendo la testa per controbilanciare il peso del corpo, colpì con
violenza la testa del bambino.
La voce trattenuta da un’emozione violenta e improvvisa non manca di
generare un suono. Proprio quel suono risuonò unanime nella vasta cavità
della Plaza de Toros. E la luce? In un ultimo guizzo – il sole dell’ultimo
crepuscolo scintillava contro i vetri e le ardesie dei tetti circostanti – in un
ultimo guizzo la luce prese coraggio, e crebbe in intensità. L’arena –
nell’attimo della fatalità – si illuminò di rosso. L’ultimo rosso del sole.
Non c’era sangue sul corpo del bambino. Giaceva, allungato come un abito
ben piegato e accuratamente riposto, proprio accanto a Taurus, ai piedi
dello stupefatto torello. L’autore di quel gesto inconsulto accennò a
restituire la cortesia che il bambino, con la sua incauta genuflessione,
aveva indirizzato al corpo di Taurus, e forse a lui stesso. Ma non fece in
tempo. Dalla prima fila delle tribune la senora de…, resasi conto con un
attimo di ritardo di quanto era accaduto, si precipitava sul corpo del
bambino, lacrimando e invocando “!Mi hijo! Hijo mìo!”. E, a pochi passi da
lei, anche Hernan – che sino a quel momento aveva indossato i riposanti e
per lui insoliti panni dello spettatore – si fece avanti con severo cipiglio.
Il sole era ormai tramontato, e la luce indorava l’azzurro di delicate
screziature violette. Rondini e colombi volteggiavano sulla Plaza de Toros:
lontani da ogni terrena curiosità, leggeri e mobili come immagini, recavano
nel cielo sopra l’arena un ermetico messaggio augurale.
La donna serrava il viso del bimbo fra due mani tremanti e fredde. I bei
capelli biondi le incorniciavano la fronte, una ciocca spettinata le asciugava
le lacrime. Alle sue spalle, la cieca mano di Hernan raggiunse l’elsa ancora
confitta nella poderosa schiena di Taurus, e la estrasse dal corpo della
bestia con tutta la sua scintillante lama. La donna, sino a quel momento
inginocchiata sul corpo del bambino, si era tolta le scarpe per sedere più
comodamente accanto al figlio. Hernan guardò questa scena per un
momento – il tempo sufficiente a persuadere la sua cieca mano di
vendicatore. Gli occhi magnetizzati dal luttuoso abbraccio della donna,
infilò la spada nella schiena del torello, che non accennò a un movimento
(solo un fremito, come un brivido di freddo, percorse il suo bel pelo raso,
regalando al suo nero mantello la momentanea ebbrezza di una raffica).
La donna – la ormai nota senora de… – non prestò la minima attenzione a
quanto si svolgeva alle sue spalle: suo figlio – o era un sogno? – aveva
mosso le magrissime gambe. Anche le gambe del torello si mossero
appena – piegandosi all’altezza delle ginocchia. Hernan solo allora estrasse
la spada: e nell’attimo in cui accostò il suo al viso del torello, questi gli
confidò: “No fue mi falta, senor; yo soy solamente un torecito”.
Attento a spiare ogni indizio della morte sul corpo del giovane animale, il
torero non prestò ascolto a quella semplice ma esemplare rivelazione. Fra
l’altro, il bambino aveva ripreso i sensi: aveva aperto gli occhi. Aveva
osservato la mano del torero che infilava la spada sino all’elsa nel morbido
collo del torello: e da una distanza che non dava più luogo a uno
spettacolo, ma – quasi – a un sogno.
Ogni ombra era svanita: e nella tersa luce di quel lontano imbrunire solo le
lacrime della donna avrebbero potuto ricordare la pioggia, l’autunno, la
malinconia. Invece era un giorno di giugno – un magnifico giorno di inizio
estate – quello che si apprestava a concludersi.
Il bambino raccolse il suo cappello e lo calzò con cura. Si volse, e sugli
spalti ormai deserti vide soltanto sua madre che raccoglieva il foulard. Ai
suoi piedi giacevano uno sull’altro i due animali: Taurus, favolosa effigie
di solennità, e proprio sopra di lui il gracile, quasi esanime torello.
Il bambino ricordò quanto era accaduto – la morte di Taurus, l’inattesa
apparizione del torello, il suo stesso ingresso nell’arena. Ricordò con
chiara coscienza il suo gesto di indagine nei confronti dei due animali
coricati uno sull’altro, e la brusca reazione del torello. Ricordò e tornò a
quel fatidico istante. Occupò la sua precedente posizione, guardò intorno a
sé verso gli spalti gremiti, inviò un cenno di saluto all’indirizzo di un
pubblico festante e immaginario, e si aggiustò il corpetto. Infine, si chinò
sul torello – proprio come sua madre si era chinata su di lui. Chi può
sapere se anche lui pianse sull’essere che con le sue ultime forze
incredibilmente riuscì a dirgli: “Yo no soy un nino, no puedo recibir
milagros; yo soy solamente un torecito, el hijo de Taurus”.
TRADUZIONE DELLE ESPRESSIONI SPAGNOLE
Pagina 2
senora de: signora di
Plaza de Toros: arena in cui si svolge la corrida
Pagina 3
!Mi hijo! !Hijo mìo!: Mio figlio! Figlio mio!
No fue mi falta, senor, yo soy solamente un torecito: Non fu colpa mia,
signore, io sono solamente un torello
Pagina 4
Yo no soy un nino, no puedo recibir milagros; yo soy solamente un
torecito, el hijo de Taurus: Io non sono un bambino, non posso ricevere
miracoli; io sono soltanto un torello, il figlio di Taurus.