I brevissimi 2007 – L’acchiappapugni – Enrico Marchese- Torre Annunziata(NA)
anno 2007 (Le quattro virtù cardinali – La forza)
“Gnoti Sauton”.
– Uno, Due, Tre…-
-Hey,Hey! Alzati, Alzatii! Cazzo, Lemon tirati su!-
– Quattro, Cinque…-
I pensieri si affollarono nella mia mente correndo in un fuggi fuggi
generale, immagini sfocate, brusii assordanti, rumori misti a grida e
dolore. Ondeggiavo, ero abituato, ma non ce l’avrei fatta, questa volta no,
sarei rimasto al tappeto, sconfitto, battuto. I muscoli delle gambe si
rilassarono completamente, nonostante fossi teso come una corda di
violino, compresso. Il corpo indolenzito, non rispondeva più ai comandi.
Ero a terra, questo lo capivo ma, in che modo? Steso? accovacciato? forse
rannicchiato? questo non riuscivo a sentirlo, ma viste le circostanze non mi
importava poi, più di tanto, ero K.O e basta. E’ questo, solo, mi faceva
rodere il culo,abbastanza io…
Non sentivo nulla, le mie orecchie, erano come imbottite di ovatta.
Anestetizzato, la mia bocca, bhè il classico sapore: impasto di sangue,
sudore e vasellina. Lacrime involontarie, ma sempre salate. Gli occhi,
quelli erano chiusi, serrati e pensai: -Cazzo, come devono essere gonfi!-.
Nonostante uno sforzo sovraumano, non avvertii la sensazione del
movimento, girai la testa verso quello che sarebbe dovuto essere il mio
angolo. Tentai di aprirne almeno uno, di occhio, il meno martoriato, e da
una pungente e sottilissima fessura, come un sipario mezzo aperto e
mezzo chiuso, sbirciai, la mia mente era a pieno ritmo, il corpo purtroppo,
no!
Pit- il mio memorabile coach- lui si dimenava a bordo ring come una
scheggia impazzita, o così mi parve, l’immagine che si stampò nella mia
retina era molto sfocata, ma dai suoi gesti lo riconobbi, ne sono certo, era
lui. Non riuscivo a sentirlo, ma le sue a me mute urla mi rimbombavano lo
stesso nella testa.
-Alzati cazzo! Lemon dai! Dai! spaccagli il culo!-.
Pensai: -sicuramente starà gridando-, lo immaginavo chiaramente, mentre
sbraitava e masticava con furia, come suo solito, una cicca americana, di
quelle che dicono essere antifumo, ne aveva sempre una in bocca, da
quando aveva smesso di fumare, quello sì, ma oramai era diventato un
perenne ruminante cewingumdipendente, pensavo… pensai di sorridere,
ma…
– SEI, SETTE… –
Il tempo scorreva scandito e veloce, ma per me, era come se tutto,
proprio tutto fosse fermo, immobile addirittura sospeso.
Raffiche di flash, fischi, urla indistinte ed un dolore lancinante al fegato,
mi finirono di paralizzare al suolo come un colpo di grazia, avrei ceduto,
mi sarei arreso, umiliato – Perdente!- .
Un improvviso quanto devastante torpore cominciò a persuadermi su tutto
il corpo, partendo dalla punta dei piedi, rapido, sino in cima all’ultimo
capello, rabbrividii. Sentii il sudore scivolare, copioso, freddo e
silenzioso, giù dal mio viso allagando l’inanimato tappeto di gommapiuma.
Respiravo male ed affannosamente, forse stavo per morire, o – sono
morto?-. Cominciai a pregare in modo forsennato, smorzando le parole tra
i denti con rabbia, – Cazzo! non ho mai pregato in vita mia- lo ritenevo
inutile e da persone deboli, pensai, rimasi incredulo e senza forze.
-Cosa avrai mai da farti perdonare? Lemon, cosa?-.
Avevo tremila, forse quattromila peccati sul libro contabile della mia vita,
non me la sarei cavata cosi facilmente, lasciai perdere. Cominciò infine ad
annebbiarsi anche la mente, ultimo baluardo, per la mia ormai imminente
dipartita. Stavo per lasciarmi completamente andare, avrei lasciato fluire al
mio corpo, l’ultima se pur esigua scarica di impulsi nervosi per annunciare
la fine del match e svenire inerme.- Avrei perso il titolo, l’onorato titolo,
merda!-.
– OTTO…-
Una tempesta furiosa di pensieri, opere, missioni e omissioni finì per
rabbuiarmi, più nera della mezzanotte, travolgendo quel briciolo di
lucidità, che mi rimaneva per decidere di resistere o desistere. Nel turbinio
rumoroso dei miei più reconditi e dimenticati ricordi, una voce mi si
stampò chiara e limpida nel cervello; era la voce di mio padre, si era la
sua voce, non avevo dubbi, era proprio lui. – Lemon, figlio mio, lo sai
perché sei un uomo speciale tu?- queste furono le parole che udìì, mezzo
frastornato, ma le ricordavo benissimo, avevo 17 anni ed appena
cominciato la carriera di “acchiappapugni”. Fece cenno di avvicinarmi al
suo letto di morte, mi sedetti accanto a lui, avevo paura. Dissi con un filo
di voce – Perché?- – Perché tu sai sempre quello che devi fare ed al
momento giusto, hai sempre avuto coraggio nelle scelte ed è per questo
che sei speciale.- concluse con fermezza, accennandomi un leggero sorriso
mentre mi carezzava, come solo un padre può fare il dorso della mia mano
sinistra, sarebbe partito poi per l’eterno viaggio, di lì a poco. – Il mio
gancio sinistro, oh! che bomba.- Fu in quella frazione di secondo che fui
inondato da un onda anomala ed improvvisa, che con un brivido elettrico
mi risalì lungo la schiena e in modo benefico mi ripristinò i comandi.
Riacquistai in modo istantaneo, la sensibilità del mio intero corpo, il
dolore, sparito del tutto, avevo aperto un terzo occhio, proprio nel mezzo
della fronte, vedevo tutto ed a trecentosessanta gradi. Mi sentivo un toro
infuriato, nella mia testa le oscure e minacciose nubi si disciolsero a ciel
sereno. Schizzai in piedi saltellando come una molla, nell’incredulità del
pubblico e soprattutto di Pit, che rivedendomi in posizione verticale
cominciò a ridere e piangere contemporaneamente. -Forza! Forza! Bello,
vieni sotto!-, era spacciato.