I brevissimi 2009 – Il Malandrino e il Re di Andrea Masotti_Bologna
anno 2009 (Le quattro virtù cardinali – La giustizia)
Non credo nella Giustizia. Un’affermazione categorica – si può pensare –
certo vale quanto il suo opposto: non sono un sacerdote che proietta in un
imprecisato ma inevitabile futuro la punizione dei malvagi né il politico che
addita il popolo bue per la mancata spartizione dei beni. Non sono neppure
l’intellettuale che vagheggia e vaneggia la giustizia nella diversità: io ho di
più perché lo merito, né il mafioso che la riconosce perché la combatte.
Sono ben di più e ben più banale di tutti costoro, io che la nego. Sono un
giudice.
La giustizia è un’ombra che sfugge, diceva Cicerone. Anch’io l’ho cercata.
Avrei meritato l’onore di ricoprire la carica nel modo più imparziale, la
responsabilità di dispensare il condono o la pena, eppure oggi ho liberato
un assassino, ieri ho commisurato sei anni di carcere a una donna
probabilmente innocente. Provo il sottile compiacimento di stravolgere le
sorti, sono solo una ruota che gira nel destino degli uomini, e al centro,
ora lo so, vi sono i tre veleni: cupidigia odio e ignoranza, che si rincorrono
nel mio vorticare e giustificano l’esistenza ritrovata dopo il tempo
dell’illusione. Anche il crocefisso appeso sui muri dell’aula pende stanco
dai legni.
Non era così: anni passati sulle pagine dei volumi e nelle aule dei tribunali
avevano alimentato le mie attese, la sicurezza di rimediare, dall’alto della
cattedra, alle malefatte altrui, e riempivano con il senso stoico della
sacralità laica il mio animo. Mi ero conquistato il diritto di occupare lo
scranno più alto nel Palazzo di Giustizia: esperienza e stima non mi
mancavano, avevo piegato alla dura realtà dei fatti i più protervi difensori.
Né mi mancava una sobria indulgenza e le preziose conoscenze dei
notabili: politici, industriali, giornalisti. Docenti universitari. C’era solo da
percorrere l’ultimo passo: vincere il concorso destinato a me. Era del tutto
superfluo il convincimento, assurda la corruzione: per titoli, esperienza
della carriera e competenza nella materia non conoscevo rivali.
Quand’ecco apparire, come il fulmine nella sera di giugno che trascina con
sé la grandine, il concorrente che ha, guarda un po’, il cognome del
ministro. Le mie possibilità al concorso diventano pari a zero. Eppure i
titoli..l’esperienza.. i codici.. possedevo tutte le carte ! Inutili, armi
spuntate. Ma chi come me ha lottato sempre per la Giustizia non può
accettare, se la amministro devo anche ottenerla ! Così ho attuato uno
stratagemma per neutralizzare il mio rivale super raccomandato: ho
sostituito la busta dei documenti da inviare alla sede del concorso con una
busta similare che conteneva fogli per partecipare a una graduatoria di
geometri. E’ stato fin troppo facile gabbare la giovane segretaria che
passava le notti in discoteca: le prime ore del mattino cascava dal sonno e
all’ufficio postale, dove aveva appoggiato la busta, non si è accorta di
nulla. La conclusione del concorso, potete immaginare, è prevedibile:
segretaria licenziata e io mi aggiudico il posto. No, invece, la conclusione
non è affatto scontata perché mi sono accorto di un fatto fondamentale:
che l’unico modo per ottenere giustizia è stato l’inganno, cioè commettere
un’ingiustizia. Mi sono liberato dai codici, dalle pastoie delle morali,
dall’onnipresenza della Legge. Così proprio adesso che dirigo il Palazzo
non ci credo più: mi è improvvisamente apparso il rovescio della medaglia,
la mia simpatia ora è per il malandrino, non per il Re che rappresento. Sì
ho detto il Re, non credo neanche più nella Repubblica e nel mio studio
alla fotografia dell’ultimo Presidente giro le spalle. Entrate pure nella mia
aula, come uno schiavo alla macina sentirete girare la ruota che vi farà
assistere, stremandovi, alle meraviglie del nostro cuore.