Il Vecchio e il Cammello
C’era una volta nell’Asia Centrale, in una zona del deserto dei Gobi dove ancora oggi i cammelli vivono liberi non addomesticati dagli uomini, un giovane cammello triste, che volentieri avrebbe rinunciato alla sua libertà e alla preziosa acqua del deserto e alle stelle che gli illuminavano il cammino notturno per riavere ciò che una sorte beffarda gli aveva negato fin dalla nascita: le sue gobbe.
“Io non sono un cammello” sospirava, accovacciato ai piedi di sua madre e non c’era modo di colmare la sua tristezza. Il giovane cammello vagava, talvolta, per giorni e giorni lontano dal gruppo in cerca di una distrazione, di un luogo di solitudine dove nascondersi, di un amico che non lo guardasse con aria impietosita. Ma per lo più vagava, senza mèta né scopo, sperando in un miracolo che lo restituisse alla vita.
“Perché sei triste?” gli chiedevano gli altri cammelli. “Noi ti amiamo e mai ti abbiamo deriso o scacciato. Tu vivi qui, con noi, da quando sei nato; abbiamo bevuto alla stessa fonte e dormito nello stesso riparo, ma nulla ti placa, nulla ti consola”. Il cammello non trovava le parole per esprimere la sua insoddisfazione, solo il suo sguardo esprimeva ciò che sentiva.
Una notte il Cammello si fermò accanto ad un pozzo e vide un uomo seduto per terra, con le gambe incrociate, le mani chiuse una dentro l’altra e la schiena appoggiata ad un muretto di pietre. La sagoma dell’uomo era tutta curva, come quella di una pianta che sta morendo di sete. La barba lunga toccava fino a terra e il suo abito di tela chiara rifletteva la luce della luna facendolo sembrare un’apparizione, uno di quegli spiriti dei defunti che gli sciamani invocano con canti e danze. I suoi occhi erano chiusi, il capo chino, si dondolava lentamente avanti e indietro sussurrando frasi incomprensibili per il Cammello, che lo osservava immobile. Passarono diversi minuti prima che il Vecchio sentisse la presenza dell’animale e rivolgesse lo sguardo verso di lui, uno sguardo triste che il Cammello comprese. “Cosa ti è successo?” domandò al Vecchio. “Sono vecchio, nulla è successo, se non che il mio tempo è trascorso in fretta e devo prepararmi all’ultimo viaggio. Guarda queste mani raggrinzite, questa barba bianca, queste gobbe sulla mia schiena che una volta era dritta e robusta.” Il Cammello fissò l’uomo, poi rivolse lo sguardo allo specchio d’acqua che riluceva in fondo al pozzo e gli sembrò di sentire una voce, come un canto udito in sogno, che per un attimo lo rasserenò. “Pensa, – disse il Cammello al Vecchio – io vago per il deserto piangendo la mia sorte per le gobbe che non ho mai avuto e tu fai lo stesso per quelle che non vorresti. Pensa se le sciagure si potessero scambiare, se la tristezza di uno potesse divenire la gioia di un altro, se io ti potessi regalare la mia giovinezza in cambio delle tue gobbe”. Ma il Vecchio non sembrava ascoltarlo e così il Cammello si accovacciò accanto al pozzo e si addormentò.
Capita a volte che fatti inspiegabili mutino il cammino degli esseri viventi. Capita che presenze impalpabili ci avvicinino senza che noi possiamo vederle o toccarle. Capita che il desiderio di qualcuno sia talmente forte da divenire realtà. Questo accadde quella notte accanto al pozzo, quando anche il Vecchio si addormentò e con gli occhi di chi dorme vide gli spiriti del deserto, che il Cammello aveva udito poco prima. Essi danzavano intorno a lui con rapidi e vorticosi movimenti, la loro energia lo avvolgeva fino a sollevarlo da terra e l’acqua uscita del pozzo disegnava nell’aria le tre lingue di fuoco che in quel luogo lontano rappresentano il passato, il presente e il futuro. Il tempo prese a scorrere all’inverso e il vecchio sentì che nuova forza albergava ora dentro di lui. Il vortice in cui era preso si propagò per il deserto fino a raggiungerne i confini più lontani e poi iniziò a rifluire, raccogliendosi nuovamente nelle profondità del pozzo, dove si acquietò.
Dopo quella notte, la vita del Cammello, riacquistate le sue gobbe, fu breve, ma fu vita, per la prima volta da quando era nato. Quanto al Vecchio, c’è chi lo vide piangere incredulo per giorni davanti a quelle mani tornate ad essere lisce e forti, quelle mani che si guardava e si passava sul viso, senza capire.