La cooperazione è finita
Amani – 18 luglio 2011 di Fabrizio Floris_
I meno giovani ricorderanno la celebre frase del presidente francese Charles de Gaulle, “la ricreazione è finita”. Ma per miliardi di persone la festa non è mai cominciata: due miliardi vivono anche oggi con meno di due dollari al giorno, più di un miliardo soffrono la fame e un miliardo e mezzo non hanno ancora accesso all’acqua potabile. Lo rileva, nientemeno, la Commissione Esteri della Camera nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sugli Obiettivi del Millennio dell’Onu. Le “carenze” nella politica di cooperazione italiana “riguardano aspetti importanti della nostra azione”.
“Si tratta – si legge nel documento – di profili relativi soprattutto alla quantità dell’aiuto italiano allo sviluppo”, che è “largamente inferiore agli impegni assunti a livello internazionale e circa la metà della media dei Paesi Ocse/Dac” ed è “oggi ulteriormente ridotta da un biennio di drastiche decurtazioni delle poste in bilancio e da cronici ritardi nella corresponsione delle quote a vario titolo dovute alle organizzazioni e ai fondi internazionali per lo sviluppo”.
I limiti, segnala la Commissione parlamentare, “attengono anche all’eccessivo peso della cooperazione multilaterale, all’inadeguatezza dell’attuale legislazione sullo cooperazione allo sviluppo, all’elevata frammentazione degli aiuti a causa della pluralità dei donatori nazionali pubblici, privi di una reale forma di coordinamento e perfino di un unico punto di riferimento”. Per la Commissione “l’assenza di un impegno reale e rinnovato in questi settori è in contrasto con l’annuncio del Governo relativo alla presentazione di un Piano d’azione italiano per la realizzazione degli Obiettivi del Millennio entro il 2015, ovvero su auspicati piani annuali e graduali per riallineare il contributo dell’aiuto italiano allo sviluppo agli impegni internazionali assunti. Dare seguito alle intenzioni manifestate dal Governo in Parlamento in occasione della discussione di diversi atti parlamentari di indirizzo e di controllo è condizione perché il nostro Paese possa recuperare la perdita di posizione internazionale in materia di aiuto allo sviluppo e svolgere una funzione più incisiva a livello internazionale, attraverso una più efficace azione di cooperazione allo sviluppo”.
Secondo il segretario generale della Focsiv, Sergio Marelli, “tra dieci anni, mantenendo le attuali tendenze, le stime più ottimistiche prevedono che il primo degli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio – quello per il quale si dovevano dimezzare fame e povertà estrema entro il 2015 – verrà raggiunto in Africa subsahariana non prima del 2050”. Una grande responsabilità per questa situazione è da attribuirsi alla significativa flessione delle risorse destinate dai Governi dei Paesi ricchi all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS). Secondo le stime ufficiali l’ammontare complessivo dell’APS dell’Unione Europea a 27 nel 2010 sarà pari allo 0,46% del PIL, contrariamente all’impegno vincolante assunto nel 2005 dal Consiglio dei Ministri e dal Parlamento europeo per il raggiungimento di una percentuale pari allo 0,56 per l’anno corrente, quale tappa intermedia per raggiungere lo 0,7% entro il 2015. primo degli Stati membri nella classifica del disimpegno è l’Italia, che ha fatto registrare la maggiore riduzione attestandosi sulla percentuale irrisoria dello 0,1% previsto con la Finanziaria 2010. Inoltre è persistente la tendenza ad allineare i funzionari del corpo diplomatico italiano nel ruolo di agenti di commercio del made in Italy (in media per ogni euro donato se ne ricavano otto).
Nonostante questo quadro desolante si possono cogliere alcune sfumature di speranza. La geografia della povertà sta cambiando. Oggi la proporzione di popolazione povera è elevata soprattutto nell’Africa subsahariana: il 51% vive con meno di 1,25 dollari al giorno. Eppure, se guardiamo ai numeri assoluti, la maggioranza dei poveri vive in Paesi a reddito medio. Solo in India ce ne sono 456 milioni, più dei 387 milioni in Africa. Questo significa che, se i grandi Paesi emergenti continueranno a crescere ai tassi attuali, solo le popolazioni africane continueranno ad essere in gran parte povere. Il resto del mondo ridurrà la sua dipendenza dagli aiuti allo sviluppo.
Anche la filosofia degli aiuti sta cambiando. L’approccio sta diventando più variegato, meno guidato da un criterio unitario, come nei decenni scorsi è stato il Washington Consensus, per cui le risorse messe a disposizione venivano in genere vincolate all’adozione di un programma di liberalizzazione dei mercati e di rigore macroeconomico. I nuovi donatori, come la Cina, hanno allo stesso tempo un approccio vecchio stile (gli aiuti oliano la politica estera e il commercio) e molto più egualitario (una partnership sud-sud tra simili, non appesantita dal retaggio coloniale e priva di condizionalità). In alcuni casi si mescolano gli aiuti a obiettivi commerciali, ma in una cornice meno mercantilistica e più fondata sull’idea di beneficio reciproco.
Permane rilevante la cooperazione tra le genti. Secondo l’indagine Focsiv – Barometro della solidarietà, la crisi economica sembra non aver incrinato la propensione degli italiani a sostenere in prima persona le iniziative solidaristiche sia in campo nazionale che internazionale. Con una sintesi giornalistica si potrebbe affermare che la cooperazione italiana (con gli Stati) è finita, resta quella delle persone. Ma non c’è da rallegrarsene, perché queste due forme di aiuto agiscono su due piani differenti che andrebbero interconnessi. L’uno non può sostituire l’altro, sarebbe come pensare che le relazioni siano più importanti delle strutture e viceversa. Anche se, alla fine, non c’è nulla che intimorisca il bene, quand’è ostinato.