Storie di donne e di passioni si esaltano nei cortometraggi
La Gazzetta del Mezzogiorno – Sabato 28 giugno
Le produzioni stasera al Palazzo Lanfranchi
Le storie sono quelle che parlano di sentimenti personali. Del rapporto con le donne (Mettilo lì) e degli affetti familiari (Quel che vediamo delle cose). Entrambe le trame dei cortometraggi, che saranno proiettati questa sera nel grande spazio messo a nuovo del Terrazzo Lanfranchi, sono liberamente ispirate ai racconti che hanno vinto la scorsa edizione del Premio Energheia.
Lo sguardo sornione di Manolo (Nando irene) conduce gli altri due personaggi (Valerio Stano e Antonio Marasco) all’inseguimento di una fantomatica donna (Giuliana Russo) dall’aria imprendibile, attraverso mercati, parchi e vie cittadine. I due amici, il poeta ed il cugino di Manolo, sognano ad occhi aperti sopra una panchina. Fino all’arrivo di quello che per tutta la settimana ci da dentro con le donne ed il sabato stramazza esausto. Il giro materano di Manolo si concluderà nell’appartamento della fantomatica donna che gli riserverà delle sorprese.
Alcune scene di questo cortometraggio sembrano ispirarsi a felliniane atmosfere surreali.
La produzione di un lavoro del genere ha un proprio mercato. Anzi, il cortometraggio come genere, è molto duttile dal punto di vista produttivo e non richiede un grosso budget. E’ anche uno strumento che permette di sperimentare nuove forme narrative, proprio per la brevità dei tempi. Per quanto riguarda il mercato della distribuzione questo si svolge essenzialmente lungo la strada delle rassegne e dei diritti tv (soprattutto il satellitare).
A quanto pare al momento attuale c’è molta attenzione verso questo particolare settore della cinematografia. A dimostrarlo, almeno dalle parti di Matera e dintorni, i due giorni di proiezione allo Jazzo Gattini. Questa diffusione del cortometraggio come forma artistica è però una medaglia a due facce: da un lato c’è la possibilità espressiva, altrimenti negata per chi non ha alle spalle grosse produzioni, dall’altro il rischio di un appiattimento culturale, nel senso che proprio la facilità di realizzazione fa si che sia in circolazione tanta roba di pessima qualità. La dignità artistica, insomma, è tutt’altra cosa rispetto alla facilità di realizzazione.