Se il capitale finanziario mette sotto sequestro interi Paesi_2^parte
di Antonino Contiliano_
A questo punto ci pare opportuno, fonte l’articolo “Saldare il debito” di Damien Milet ed Eric Toussant (“Le monde diplomatique/il manifesto”, luglio 2011), riportare i dati relativi a Grecia, Irlanda e Portogallo (per l’Italia si riportano invece alcuni dati relativi alla circolazione dei privilegi della “casta” politica al potere).
A partire dal 2010, per far fronte alla crisi finanziaria, la società civile di questi paesi è sottoposta alla ghigliottina così:
Grecia
Funzione pubblica: blocco o riduzione (fino al 20%) dei salari; abolizione di tredicesima e quattordicesima; soppressione di 150.000 posti, su un totale di 700.000, entro il 2015.
Pensioni: taglio delle pensioni in media del 7%; innalzamento dell’età pensionabile da60 a 67 anni, entro il 2014.
Protezione sociale: soppressione degli assegni di solidarietà per i disoccupati di lunga durata, i salariati a basso reddito, i pensionati, i contadini, ecc.; riduzione di quelli per gli handicappati.
Fiscalità: aumento dell’Iva dal 13% (prima della crisi) al 23%; creazione di un’imposta di solidarietà, variabile dall’1% al 4% in funzione del reddito, e di un’imposta supplementare del 3% per i funzionari.
Privatizzazioni (entro il 2012): messa all’asta di terreni pubblici nelle zone turistiche; vendita del 10% di Ote, la società nazionale di telefonia, al suo azionista principale, Deutsche Telekom; cessione della quota dello stato nella Banca postale (34%), nel porto del Pireo (75%), nel porto di Salonicco (75%); privatizzazione di una parte degli attivi pubblici della Lotteria nazionale, delle società nazionali di gas, elettricità e gestione mineraria, delle autostrade, della Posta, ecc.
Irlanda
Funzione pubblica: riduzione dei salari fino al 15% (in particolare tra gli insegnanti e le forze di polizia); soppressione di 25.000 posti di lavoro (su 250.000); blocco delle assunzioni; tagli di bilancio fino a 10 miliardi di euro, entro il 2014; nel 2010, le entrate dello stato erano valutate 31 miliardi di euro.
Pensioni: riduzione del 4% delle pensioni del settore pubblico superiori a 12.000 euro l’anno; allungamento dell’età pensionabile, da65 a 66 anni nel 2010, e a 68 anni nel 2018.
Protezione sociale: riduzione del 25% dei budget per sanità e servizi sociali entro il 2014.
Fiscalità: aumento dell’imposta sul reddito; introduzione di una tassa sul carbone e imposte anche su acqua e proprietà; aumento dell’Iva dal 19,6% al 21% nel 2013, poi al 23% nel 2014.
Diritto del lavoro: riduzione dell’11% del salario minimo.
Portogallo
Funzione pubblica: blocco dei salari; sostituzione di un pensionamento su due; riduzione del 5% del salario dei 500.000 funzionari che guadagnano più di 1.550 euro al mese e degli amministratori delle imprese pubbliche; soppressione dell’1% dei posti nell’amministrazione centrale, del 2% nelle amministrazioni locali e regionali; allungamento dell’età legale pensionabile da62 a 65 anni; riduzione delle pensioni superiori a 1.500 euro al mese (per un totale di 445 milioni di euro).
Protezione sociale: riduzione del reddito minimo d’inserimento; riduzione della durata e dell’importo degli assegni di disoccupazione.
Servizi pubblici: tagli del budget nell’istruzione pubblica e nella sanità.
Fiscalità: aumento dell’imposta sul reddito (1,5%); aumento dell’Iva dal 21% al 23%; aumento dell’imposta sulle società il cui giro d’affari superi í 2 milioni di euro (per un totale scontato di 300 milioni di euro); aumento dell’imposta sui beni immobili (300 milioni di euro); imposizione delle prestazioni sociali (300 milioni di euro); tassazione di sigarette, auto ed elettricità (400 milioni di euro).
Privatizzazioni: vendita di diverse imprese nazionali nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni, delle assicurazioni, per un totale di 5,5 miliardi di euro.
Italia
In Italia, invece, secondo i dati messi in rete, e diffusi dai radicali (“che da tempo svolgono una campagna di trasparenza denominata Parlamento WikiLeaks” ), i padroni del potere assalgono la crisi aumentando i propri privilegi, mentre dall’altro lato rincarano i sacrifici e le privazioni della popolazione, dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani, etc. (per salvare il paese, almeno così strombazzano!). Aggrediscono la crisi con i soliti tagli alla spesa pubblica sociale, le strette monetarie, le privatizzazioni e la crescita della disoccupazione e della miseria. Sono in vendita anche i beni dello Stato. Ma nella tempesta della crisi sono loro i maggiori beneficiati e la ristrutturazione capitalistica. I danni per la stessa democrazia liberale-repubblicana poi non si contano: si calpestala Costituzionerepubblicana italiana, ci si burla delle stesse regole del gioco rappresentativo, si difendono gli interessi personali e di casta e aumentano i privilegi dei cosiddetti rappresentanti del popolo:
La Cameraassicura un rimborso sanitario privato non solo ai 630 onorevoli, ma anche a 1109 loro familiari compresi (per volontà dell’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini) e conviventi more uxorio. Nel 2010, deputati e parenti vari hanno speso complessivamente 10 milioni e 117mila euro. Tre milioni e 92mila euro per spese odontoiatriche. Oltre tre milioni per ricoveri e interventi (eseguiti dunque non in ospedali o strutture convenzionate dove non si paga, ma in cliniche private). Quasi un milione di euro (976mila euro, per la precisione), per fisioterapia. Per visite varie, 698mila euro. Quattrocentottantotto mila euro per occhiali e 257mila per far fronte, con la psicoterapia, ai problemi psicologici e psichiatrici di deputati e dei loro familiari. Per curare i problemi delle vene varicose (voce “sclerosante”), 28mila e 138 euro. Visite omeopatiche 3mila e 636 euro. I deputati si sono anche fatti curare in strutture del servizio sanitario nazionale, e dunque hanno chiesto il rimborso all’assistenza integrativa del Parlamento per 153mila euro di ticket.
Ma non tutti i numeri sull’assistenza sanitaria privata dei deputati, tuttavia, sono stati desegretati. “Abbiamo chiesto – dice la Bernardini – quanti e quali importi sono stati spesi nell’ultimo triennio per alcune prestazioni previste dal fondo di solidarietà sanitaria come ad esempio balneoterapia, shiatsuterapia, massaggio sportivo ed elettrocultura (ginnastica passiva). Volevamo sapere anche l’importo degli interventi per chirurgia plastica, ma questi conti i Questori della Camera non ce li hanno voluti dare”.
Perché queste informazioni restano riservate, non accessibili? Cosa c’è da nascondere?
Ecco il motivo di quel segreto secondo i Questori della Camera: “Il sistema informatizzato di gestione contabile dei dati adottato dalla Camera non consente di estrarre le informazioni richieste. Tenuto conto del principio generale dell’accesso agli atti in base al quale la domanda non può comportare la necessità di un’attività di elaborazione dei dati da parte del soggetto destinatario della richiesta, non è possibile fornire le informazioni secondo le modalità richieste”.
Il partito di Pannella, a questo proposito, è contrario.
“Non ritengo – spiega la deputata Rita Bernardini – che la Camera debba provvedere a dare una assicurazione integrativa. Ogni deputato potrebbe benissimo farsela per conto proprio avendo già l’assistenza che hanno tutti i cittadini italiani. Se gli onorevoli vogliono qualcosa di più dei cittadini italiani, cioè un privilegio, possono pagarselo, visto che già dispongono di un rimborso di 25 mila euro mensili, e farsi un’assicurazione privata. Non si capisce perché questa mutua integratività la debba pagarela Camera facendola gestire direttamente dai Questori”. “Secondo noi – aggiunge – basterebbe semplicemente prevederla e quindi far risparmiare alla collettività dieci milioni di euro all’anno”.
Mentre a noi tagliano sull’assistenza sanitaria e sociale è deprimente scoprire che alla casta rimborsano anche massaggi e chirurgie plastiche private – è il commento del presidente dell’ADICO, Carlo Garofolini – e sempre nel massimo silenzio di tutti.
E NON FINISCE QUI…
Sull’Espresso di qualche settimana fa c’era un articoletto che spiega che recentemente il Parlamento ha votato all’UNANIMITÀ e senza astenuti un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa € 1.135,00 al mese. Inoltre la mozione e stata camuffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali. STIPENDIO Euro 19.150,00 AL MESE; STIPENDIO BASE circa Euro 9.980,00 al mese; PORTABORSE circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare); RIMBORSO SPESE AFFITTO circa Euro 2.900,00 al mese; INDENNITÀ DI CARICA (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00) TUTTI ESENTASSE.
Ma c’è anche il “Gratis”:
TELEFONO CELLULARE, TESSERA DEL CINEMA, TESSERA TEATRO, TESSERA AUTOBUS, METROPOLITANA, FRANCOBOLLI, VIAGGI AEREO NAZIONALI, CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE, PISCINE E PALESTRE, FS, AEREO DI STATO, AMBASCIATE, CLINICHE, ASSICURAZIONE INFORTUNI, ASSICURAZIONE MORTE, AUTO BLU CON AUTISTA, RISTORANTE (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00).
Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in Parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (41 anni per il pubblico impiego). Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera.
La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO. La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO !!
Ogni crisi capitalistica, fin dalle origini del sorgere dell’economia di scambio e di mercato, e fuori ogni dubbio, ha messo alla prova, oltre che le classi soggette, la tenuta della sua stessa verità di “capitale” e capacità di valorizzazione astratta: il presunto equivalente “valore” generale che ha trovato corpo nel denaro e nelle sue misure quantitative diseguali. La quantità di denaro cioè che dovrebbe compensare il tempo di lavoro necessario e/o di vita dei lavoratori (investito nella produzione e per la produttività) da un lato, e dall’altro per realizzare ricchezza, rendite e profitti come diritto esclusivo del capitalista. Una ricchezza però che, fra conflitti sociali e contraddizioni non risolte, è prodotta solamente dalla “potenza” della creatività del lavoro vivo del lavoratore e delle lavoratrici. I produttori sottoposti a contratti ingiusti e ineguali, e contratti che impongono agli stessi di frammentare con la quantificazione la loro stessa unità psicofisica, dividere la stessa attività lavorativa in parti e comparti parcellizzati per poi obbligare a una cooperazione secondo un’organizzazione collettiva che sfugge al loro controllo diretto. Per cui la disalienazione, paradossalmente, deve passare attraverso l’alienazione e un’oggettivazione che reifica il loro esser-ci rapporto sociale, mentre umanizza invece le cose. In questo contesto il lavoro, infatti, pur essendo una attività di relazione unitaria e complessa, viene parcellizzato in mansioni separate, come le cose e le altre individualità, per poi essere socializzato in forma di cooperazione gerarchizzata sfruttata.
Ma, questa, non è la sola “schize”; schizofrenicamente il tempo di lavoro, specie con la meccanizzazione e l’informatizzazione delle mansioni operaie, infatti viene fatto oscillare fra il tempo del “plusvalore assoluto” e il tempo del “plusvalore relativo” e un mescolamento continuo, così come la stessa attività lavorativa degli individui apparentemente viene divisa in materiale e immateriale, manuale e intellettuale, poiesis epraxis, lì dove, invece, di fatto, non c’è attività che ad un tempo non sia manuale e intellettuale e individuale sociale. La differenziazione di livello (il prodotto tecno-manuale non è altro che la realizzazione di un progetto che mette in atto un’idea e un’immagine o ciò che di spirituale o immateriale qualifica l’uomo) non implica minimamente la rottura dell’intreccio se non per un ordine di potere. L’uomo – scrive Marx (XI Tesi su Feuerbach) – è “l’insieme dei rapporti sociali”. Una unità psicofisica onnilaterale, sociale e creativa che non può essere sminuita e soggetta al diritto egemonizzante dell’astrazione valorizzante “schizoide” e alla produzione di plusvalore a danno del lavoro altrui (materiale o immateriale sia la “forza” e dei sani nessi con l’ambiente), di cui, come il vampiro dell’horror, si nutre la proprietà capitalistica.
Un diritto che ieri, sul piano economico-sociale, aveva la forma della rendita, poi del profitto e oggi quella della rendita-profitto (si potrebbe coniare – azzardiamo, e per ironia – il neologismo “rendifitto”). Perché, come già detto da altri, anche oggi, prevalentemente (e come tendenza), il capitalista si appropria glocalmente della ricchezza prodotta dal lavoro “creativo” indipendente-dipendente, come è quello dei singoli protagonisti connessi nella rete della presunta economia del dono e del gratis, rimanendo fuori dal possesso diretto degli strumenti produzione (cosa che non avveniva nella sua fase industriale precedente). Ieri, infatti, la componente “C” (capitale costante) di proprietà diretta – C/v (“v” la parte variabile, il salariato) – era parte ineliminabile del sistema produttivo capitalistico. Questa componente, in atto, non gioca più una parte di rilievo strutturale.
L’economia capitalista odierna infatti investe essenzialmente sull’interezza psicofisica autonoma del “lavoro vivo”, che di fatto e potenzialmente non ha bisogno essenziale della sua controparte, sfruttandone al massimo la produttività, le sue risorse immaginative autonome e riproducibili senza limiti. Le possibilità dell’autonomia psicofisica individuale, forza unica che è insieme potenza creativa personale (il “proprio” dei soggetti autonomi) quanto il general intellect (sapere sociale e bene comune) di cui dispone ciascuno, godono dell’indipendenza mentale dei loro proprietari, e il capitalismo contemporaneo le utilizza aspettando di investirvi il proprio denaro. Impiegati come capitale umano, e senza riguardo alcuno per l’occupazione, i diritti sociali e personali dei lavoratori e l’ambiente circostante (specie ora che l’investimento avviene senza rischiare più in termini di proprietà e possesso diretti) sono diventati le sue risorse privilegiate.
Si finanzia infatti solo la cognitività creativa personale e sociale di ogni produttore indipendente, e anche nelle forme dell’open source cooperative di rete, perché le idee/oggetti/immagini proposti possano essere tradotti in merce-immagini-sentire-significati-merci vendibili sul mercato (la merce ha sempre un valore d’uso e uno di scambio, naturale o artificialmente sia il bisogno provocato, materiale o immateriale sia la sua natura), il cui ricavo rimane però sotto la mannaia del diritto di proprietà privata e del sistema bancario. Il comandamento della proprietà che, rimasto in piedi, circola però nella forma prevalente della brevettazione e del copyright e con l’assillo dell’innovazione competitiva più sfrenata, sì che saturazione dei mercati e sovrapproduzione diventano devastanti per l’economia reale e sociale. In mano al capitale finanziario ballerino, in cerca sempre di maggiori profitti-rendite, il destino di vita delle persone e delle società è preda così solo di sfruttamenti indiscriminati, e il “valore” che incorpora la stessa vita come sua forza motrice non smette di pompare saggi di profitti astronomici.
I danni, a quanto pare, si fanno ricadere solo sull’ecosistema e le moltitudini. E solo oggi, in cui l’acutezza del disastro rende ogni cosa insopportabile, ci si rende conto della gravità delle minacce incombenti persino sul destino di qualsiasi habitat e sulla stessa sovranità (politica, culturale, alimentare, esistenziale, etc.) di ciascuno (individuo o popolo). Nel tentativo di una scappatoia o di una feritoia nei gironi dell’inferno del mercato mondiale e dei mercati finanziari multinazionali privati, ormai, sembra girare continuamente attorno al centro sferico autoriflettente di una immagine che dilata e contrae solo se stessa: un’onda che si dilata e si duplica sovrapponendosi come la piattaforma circolare di un circo equestre impazzito.
Le oscillazioni tra una crisi e un’altra del mercato mondiale capitalistico – il vero soggetto, diceva Marx, capace di disporre, giocando con le crisi ricorrenti, di ogni cosa e destino – non l’hanno depotenziato. Tutt’altro! Se si vuole uscire dal modello incriminato, come ha scritto nei suoi “Manoscritti economico-filosofici” del 1844 il suo autore, e nel proseguo delle altre opere, nate dall’osservazione dei fatti storico-sociali emblematici del modo di produzione capitalistico, la via praticabile è il “comunismo”. Il comunismo che abolisce sia lo stato di cose presente, sia la proprietà privata che la proprietà in quanto tale. Perché il comunismo volgare della proprietà privata universale, estesa cioè a tutti i membri di un comunità, come osserva Michael Hardt, è un ossimoro”: se la proprietà privata è universale […] non è più privata”[ix], e tanto meno “comune”.
Michael Hardt, leggendo il passaggio “Proprietà privata e comunismo” nei “Manoscritti” di Marx, rileva che il “comune” del comunismo, il comunismo, è l’abolizione completa del carattere di privatezza e di proprietà quali specificità del modo di produzione capitalistico, e delle formalità che ne sostengono le relazioni funzionali. Il comunismo volgare, infatti, se mette in crisi il concetto di privato non elimina tuttavia il concetto di proprietà. Per Marx dei “Manoscritti”, invece, “Il comunismo è l’espressione positiva dell’abolizione della proprietà privata”[x]. E anche se una completa elaborazione dell’abolizione della proprietà, il filosofo la fa più tardi ne “Il Capitale”, è nei “Manoscritti” che l’“espressione positiva” acquista la valenza comunista della “proprietà in quanto tale” e della proposta del “comune” come suo antagonismo dialettico.
Ma è anche in questo duello che si consumano le crisi della produzione e della riproduzione del sistema come una sua intrinseca forza di rivoluzione e ristrutturazione per conservarsi il potere dominante di “capitale”, il quale sfrutta la potenza d’uso del lavoro e della vita dei soggetti e la finalizza al profitto privato. Nelle sue crisi di crescita dunque il capitalismo trova la sua verità; una verità mercificante e tutt’altro che finalizzata all’umanizzazione, alla libertà e all’eguaglianza degli uomini. Una tenuta di verità di potere e nelle forme storiche determinate, che di volta in volta l’organizzano, e per questo rivoluzionante continuamente le forze produttive e i rapporti di produzione.
Le variazioni sono però anche il segno che il tempo (inizio, durata, crisi, transizione di fase, accumulazione, ciclicità delle crisi…) lo configura inevitabilmente; e che se è nato e sviluppato nella contingenza della storia e della transitorietà delle forme non può durare in eterno.
Senza entrare nella presunzione del crollo automatico e in una data predefinita, è certo che deve morire sia per il risveglio delle lotte che per le sue stesse contraddizioni. Non può essere eterno. La sua non è pertanto una verità naturalistica indipendente, assoluta e autosufficiente che dall’ideale scende nel reale per fecondarlo e giustificarlo nel suo permanere.
Solo un nuovo “San Sancio” (Stirner) potrebbe, farsescamente, riscrivere cose del genere dopo la “tragedia” messa in luce da Marx (Ideologia tedesca). “Una delle grandi tesi dell’Ideologia tedesca, proveniente direttamente dalla società liberale, ma ritorta contro di essa, è che la società ‘borghese’ si costituisce irreversibilmente a partire dal momento in cui le differenze di classe prevalgono su tutte le altre e praticamente le cancellano. Lo Stato stesso, per quanto ipertrofico appaia, ne è solo una funzione. È in questo momento che giunge al culmine la contraddizione tra particolarità e universalità, cultura e abbrutimento, […] circolazione universale dei beni e restrizione del loro accesso, produttività apparentemente illimitata del lavoro e ingabbiamento del lavoratore in una ristretta specializzazione […] Tutta l’argomentazione dell’Ideologia tedesca tende […] a mostrare che questa situazione, in quanto tale, è insostenibile, ma che, per lo sviluppo della sua propria logica, essa contiene le premesse di un rovesciamento (Umwälzung), che equivarrebbe semplicemente alla sostituzione del comunismo alla società civile-borghese”.[xi]
In fondo la sua stessa nascita storica e le transizioni da una forma ad un’altra, che ne hanno caratterizzato il cammino dall’epoca moderna fino all’oggi dell’“eclissi del lavoro”, sono una chiara testimonianza della sua natura artificiale e processuale quanto contingente e transitoria. Non è improbabile che una “aleatorietà”, come un “effetto farfalla”, possa giocare anche quale fattore di correlazione positiva da aggiungere alle lotte degli sfruttati.
I veri produttori e sfruttati, infatti, venuto meno il compromesso (garantito dalle parti sociali, sindacali e politiche del Novecento) tra capitale e mondo del lavoro, sono sempre meno liberi e garantiti dopo il crollo dell’equilibrio tra i profitti e gli interessi dei lavoratori. Quell’equilibrio – rotto a favore dei profitti – che, nell’epoca riformistica e delle varie “solidarietà nazionali”, muovendosi tra le lotte del rifiuto del lavoro e le innovazioni (la terza rivoluzione industriale) a scarsa occupazione di lavoro dipendente, aveva permesso comunque una certa convivenza.