La questione dei radical chic
di Matteo Bordone
Tempo fa, sulla Lettura, inserto culturale della domenica del Corriere della Sera, è uscito un articolo di Mariarosa Mancuso. L’articolo sostiene che questa fase politica e culturale abbia sferrato un colpo mortale ai radical chic, ne indica alcuni che sarebbero attualmente in crisi, analizza questo supposto fenomeno.
È inutile che io sottolinei che trovo del tutto assurdo che questo argomento, questa accusa di elitarismo, esca su un inserto che qualche settimana fa aveva in copertina un titolo in greco antico, e che nello stesso numero dedica una pagina alla stroncatura del Nietzsche musicista, una all’imperatore Costantino, due alla sempre più diffusa passione per la Recherche con il titolo Tutti pazzi per Proust. Perché se lo facessi userei gli stessi argomenti di Mancuso, la supposta incoerenza, l’eccessiva “altezza”, il distacco dal “paese reale”, ovvero tutto il corpus di cretinate intellettualmente disoneste che per anni hanno usato al Foglio (quotidiano per pochissimissimi dove ha scritto a lungo la stessa Mancuso) per accusare Repubblica di parlare a un gruppuscolo di amichetti snob.
Sostengo invece che siano tutte solo sciocchezze inconsistenti, robetta da due lire, che poco hanno a che fare con la voglia della Lettura di affrontare argomenti un po’ più larghi del rapporto tra Turner e Lorrain.
Quello del “trucco del popolo” è un mio vecchio pallino. Ci ho scritto qualche post e continuerò a scriverne. A un certo punto ho affrontato proprio il concetto di radical chic, di come l’accezione italiana sia sbagliata, furbesca e insensata, e di quanto non ci sia attaccato niente.