Ah, la povertà, che bellezza!
_di Matteo Bordone_
Non è nemmeno colpa di Pasolini, a dirla tutta, ché uno può pensare delle cose anche controverse negli anni Settanta, ma finché è vivo se ne discute, al limite gli si dà dell’antimoderno, del conservatore, del tradizionalista, come faceva Moravia. Se queste stesse posizioni vengono trasformate in profezie, portate in palmo di mano anche nel 2012, allora la colpa non è del morto ma dei vivi, non di Pasolini ma del pasolinismo. Resta il fatto che credo che considerare PPP un profeta martire sia una vera jattura. Perché — mi ripeto, lo so — sono passati tanti anni, e nessuno, escluse prospettive religiose, descrive la società negli anni Settanta, e le sue analisi sono valide nel 2012. Nessuno. A meno di non volersi fidare ciecamente, come si fa di Nostradamus. Le lucciole sono tornate, la tv è cambiata sei volte, i capelloni sono ovunque, eppure ancora c’è chi scuote la testa, cita il bellissimo Pasolini, ne ammira il gesto atletico sul campo di pallone, scuote la testa e pensa che lui aveva capito tutto, ecco l’agnello di dio che toglie i peccati del mondo moderno.Fatto sta che ci sono troppi trentenni e perfino ventenni antimoderni, conservatori vandeani, pronti, alle brutte, a sventolare un vangelo sopra le trincee, abbracciare il parroco, buttare alle ortiche tutto, tornare italiani contadini, di parrocchia, timorati del signore e con le pezze al culo.
L’altra sera ho visto una puntata di Volo in diretta dove Fabio Volo e l’ospite Giulia Innocenzi mi ammonivano, leggendo citazioni di filosofi, profeti e scrittori, rispetto alle tentazioni del denaro, della ricchezza economica, del successo e del benessere. Sottolineavano, Fabio e Giulia, come fosse importante la ricchezza di spirito, la ricchezza interiore, ché il regno dei cieli sarà degli ultimi. Poco prima c’era stata un’intervista a Noam Chomsky, definito «il più grande intellettuale del mondo», che aveva messo in guardia contro la televisione e la pubblicità, cioè un esercito di addetti alla propaganda e la loro arma più affilata.
Poi tutto finiva con Rufus Wainwright che canta Across the universe, in un momento naïf, sorridente, da fiore in bocca, di quelli che Volo sa maneggiare perfettamente. Ho pensato che essere felici del mondo con semplicità e insieme sospettosi nei confronti di qualsiasi complessità contemporanea significa essere dei reazionari della specie più pura, ma senza coraggio di restare seri, senza avere la faccia di Enoch Powell. Quello che rimane è un senso di saperla lunga, di qua ce la stanno mettendo in quel posto, dove stiamo andando?, vi pare il modo?, cosa gli dice la testa?, che se facessero fare a me, guarda, un paio di cose avrei da dirle, perché se non ci fermiamo qui si sta andando indietro, mica avanti, uh!, sono pronte le salamelle, chi le vuole?