Libri a confronto sulla primavera araba
Rivoluzioni S.p.a. Chi c’è dietro la Primavera Araba, di Alfredo Macchi, Alpine Studio (Lecco, 2012); Black Bloc. Viaggio nel pianeta nero, di Franco Fracassi (Lecco, 2011); La rivolta dei migranti. Il movimento globale contro la discriminazione e lo sfruttamento: Europa, Medio Oriente, Stati Uniti, di Vittorio Longhi, duepunti (Palermo, 2012). di Nunzio Festa_
Per la gioia dei “complottisti”, degli accaniti disegnatori di retroscena sempre e semplicità mai, a torto o a ragione, proviamo a esplore alcuni importanti saggi pubblicati negli ultimi mesi, e l’ultimo di cui diremo proprio nelle ultime settimane, da piccoli e importanti editori troppo emarginati dal mercato. Analizzando, quindi, “Rivoluzioni S.pa.” d’Alfredo Macchi, “Black Bloc” di Franco Fracassi e “La rivolta dei migranti” di Vittorio Longhi. Dalle Alpi agli Appennini. Perché i primi sono materia luccicante della riservata Alpine Studio di Lecco, mentre il libro di Longhi è uscito per la sicula :duepunti dei gemelli diversi Giuseppe Schifani e Andrea Libero Carbone. Macchi, inviato di guerra e dunque giornalista di razza, recentemente comunque approdato in acque più chete, riannodando i fili delle sue incursioni sui territori minati ha raccolto in un unico volume-storia i segreteri e le apparenze che i modernizzati scenari di rivolta della terra araba hanno manifestato al largo, imbarazzato e stonato mondo. L’obiettivo, annunciato dal titolo e chiarito dallo svolgimento dei capitoli, è di rispondere all’interrogativo assoluto: chi c’è davvero dietrola Primavera Araba?. Senza, d’altronde, svilire il ruolo delle giovani generazioni scene in strada. Ché a loro è dedicata l’opera.
Come a quanti che con la volontà di documentare nel petto, sono stati stroncati dalla reazione. E, per fortuna, Macchi smentisce subito le convinzioni di partenza dicendoci che “Questo libro è frutto di un lungo lavoro di indagine e di diversi viaggi nei paesi si cui si parla. (…) Questo non è un libro costruito sulle ‘teorie complottistiche’ o cospirative che tanto sono in voga. E’ un’inchiesta scrupolosa e seria, basata sull’analisi di centinaia di documenti e testimonianze.” La curiosità c’assale quando però vediamo domande del tipo: “Che cosa ci fa uno dei gruppi protagonisti della rivoluzione egiziana all’interno di un’associazione voluta dal Dipartimento di Stato Americano e sponsorizzata dalle maggiori aziende statunitensi?”, “Che ruolo ha svolto una scuola di Belgrado che tiene corsi su come rovesciare i dittatori?”, “Perché Washington ha addestrato blogger tunisini, egiziani, libici, yemeniti e siriani e fornisce loro software contro la censura?”, “E perché milioni di dollari mandati dalle monarchie del Golfo attraverso organizzazioni caritatevoli sono finiti ai ribelli?”, “Quale peso infine hanno avuto agenti segreti, addestratori militari e forze speciali?” Seppure eviteremo, per l’appunto, di riproporre i contenuti tutti del libro, riprenderemo almeno alcuni passaggi fondamentali del lavoro del giornalista Alfredo Macchi. Le fotografie d’inchiostrro di Macchi sono nitide. Il punto focale èla Tunisiadi Ben Alì. Anzila Sidi Bouzid, forse, di Mohamed Bouazizi. Mohamed è il giovane venditore ambulante di frutta che ignorato dalle autorità e perseguitato da controllori dell’ordine cittadino per protesta s’incendia. La morte di Mohamed, che passa per la visita del dittatore dal capezzale del morente ambulante, infiammala Tunisia. Eppurequalcosa era stato anticipato il 28 novembre 2010, due settimane prima dell’inizio della rivolta, a Tunisi, più esattamente nella Agence Tunisienne d’Internet. Dove si scopre che Wikileaks sta pubblicando file segreti del dittatore, di sua moglie, della loro larga e mafiosa famiglia. Il fiume alimentato dai blogger tunisino permette d’elevare a notizia bollente e protesta di popolo la rivolta scoppiata a Sidi Bouzid. Nient’altro che un puntino da legare alla corda dei soprusi del potere. Un pretesto, si capirà, usato da quanti stavano tramando al fine di far scoppiare il movimento. Fra i blogger, contemporaneamente, troviamo il nordamericano Robert Guerra, della società Privaterra. Una delle tante esperienze che risentono della formazione della “scuola di Belgrado”, nella quale sono insegnate le tattiche e le strategie non-violente da utilizzare nei luoghi da liberare, corroborata dalle ‘donazioni’ finanziarie made in Usa e sostenuta fortemente e da vicino dalla Cia. Un inciso è d’obbligo, a questo punto.La Ned, National Endowment for Democrazy, di Reagan da sola ha finanziato centinaia di gruppi nel mondo, vedi in Venezuela, che avrebbero dovuto usare quei soldi per rovesciare governi, nel segno della linea yankee. A New York, poi, ha sedela Open SocietyFoundation di George Soros che vuole “costruire vibranti e tolleranti democrazie”. Tipo in Birmania. Il New York Times, infine, in aprile 2011 lancia un’approfondita inchiesta che illustra quanto in Egitto il Movimento 6 Aprile abbia ricevuto soldi e addestramento dagli Usa. E’ necessario entrare interamente nel terzo capitolo di Rivoluzioni S.p.a. se si vuole poi comprender di più sulla Repubblica di piazza Tahrir.La Libiainvece è stata preparata dalla Francia. Macchi, infatti, prima dell’insurrezione, incontra addirittura l’intellettuale B. H. Levy in terra libica inviato non-ufficiale di Parigi. Tra comunicazione e pubblicità, azioni di spionaggio e ingerenze,la Primavera Arabaè stata molto combattuta fuori dalle sue terre. “I veri protagonisti della partita – dirà infatti Alfredo Macchi – , nella quale intervengono di volta in volta potenze minori (come monarchie saudite e l’Iran,la Turchiao l’Europa), sono Stati Uniti, Cina e Russia. In appendice al poderoso saggio, l’autore allega tra le altre cose la “guida” diffusa da Anonymous in Tunisia e il riepilogo dei finanziamenti Ned in Medio Oriente emessi nel solo 2010. Questo è leggere per non farsi beffare dalla propaganda. Franco Fracassi col suo “Viaggio nel pianeta nero”, alza altre maschera dal volto di quel che accade. E nuovamente possiamo usare le parole d’un libro al fine di beffare noi la propaganda. Mentre, inotre, è in sala la pellicola di Daniele Vicari, “Diaz”, che accenna all’argomento di fondo del documento di Fracassi. Un film che ha fatto discutere, e che ha il grande merito, in primis, di raccontare quale e quanta violenza può usare il potere. Rappresentare una delle forme dell’odio e dell’oppressione. Premesso che bisogna intanto intuire se si tratti d’un libro serio seppur ammiccante e non d’una furba pubblicazione, la piccola inchiesta Black Bloc comincia con l’intervista, ad anonima, d’un’attivista che, non proprio casualmente, vive in un borgo composto da una decina di case e situato sulle unghie delle Prealpi francesci prossime alla Val di Susa. Documentarista di vaglia, Fracassi mette insieme una serie di voci. Dall’interno del Black Bloc. Ma l’anonimato dietro il quale la maggior parte delle voci raccolte sono trincerate, alla fine, fa perdere moltissimo al libro. La lettura del saggio di Vittorio Longhi, di contro, ci permette di tornare all’analisi. Rianimando, persino, un elemento ovviamente sottaciuto dal testo di Macchi. Le migrazioni. Epperò con il cursore puntato intanto sulle violenze subite dai tanti stranieri nelle tante terre d’approdo. Oltre l’espatrio. Annusando sempre un certo sentore di Primavera Araba. E se nel Golfo Persico a esser vittime di soprusi sono i domestici asiatici, in Francia ad avere la peggio sono tutti i sans papier e nell’ex Belpaese gli sfruttati dei campi dell’agricoltura sfruttata. Nella contraddizione storica, anzi squisitamente esistenziale, tra necessità di migranti e condizioni a essi garantiti. Al tempo della militarizzazione dei confini. Dei muri. Quando nelle città s’alzano cancelli. Quando in Occidente le persone medie mettono cancelli e inferritate e in America Centrale e Meridionale sono i ricchissimi a farsi piantonare il filo spinato delle loro ville infinite. Vittorio Longhi, esperto delle tematiche d’immigrazione, che da anni studia i flussi migratori e rende conto degli spostamenti umani da casa a casa, con La rivolta dei migranti fa un passo avanti, come si dice, nell’analisi. Perché Longhi prova a misurare il potenziale di riscossa e la potenza di riscatto a livello universale che potrebbe alimentare il conflitto per diritti sempre maggiori e resistenza sempre nuova. Ché il sistema economico imperante, molto probabilmente, è da tutti i senza diritto che può esser abbattuto. Primavera Araba sembre docet, verrebbe da ripete. Perlomeno se non avessio letto Alfredo Macchi. Ma vogliamo, comunque e ovunque, esser normalmente ottimisti. Longhi col suo saggio c’insegna però una serie di dati ai quali sfuggivamo: 1) nel Golfo Persico esiste una distinziona razziale strisciante, che quindi si chiama razzismo, fra nativi e immigrati, quindi fra centro e periferia, fra ricchi e poverissimi, dove le donne bengalesi sono tenute sotto ricatto dai padroni di Dubai per esempio; 2) spesso i migranti che vogliono passare dal Messico o attraverso il Messico per gli Usa, muiono o sono ammazzati, nonostante gli States sia il Paese dei Paesi della multietnicità; 3) nel 2002 il futuro presidente francese Sarkozy, in veste allora di ministro degli Interni, fece chiudere il centro dell Croce Rossa posizionato a sud di Calais che dava assistenza ai migranti provenienti da Balcani, Asia, Africa e Medio Oriente; 4) negli anni dell’ultimo governo Berlusconi, dal 2008 al2011, inItalia c’è stato un aumento esponenziale d’episodi di violenza verso i migranti e le minoranze (vedi le ultime edizioni del libro bianco “Cronache di ordinario razzismo”, del quale abbiamo scritto in altre occasioni). Eppure vogliamo immaginare che i migranti e gli sfruttati stanno costruendo la rivoluzione. In attesa d’Alì dagli occhi azzurri.