A chi legge di rinnovare lo stupore per un mondo perpetuamente reinventato dai tanti piccoli miracoli simili ai racconti giunti ad Energheia.
_Associazione Energheia_
Cinque edizioni non sono tante ma nemmeno poche per un tal genere di avventura e legittimano qualche riflessione sulla parabola finora descritta dall’iniziativa. L’intuizione che l’ha promossa scommetteva – in tempi di cellulari, antenne satellitari se non già di web generation – sulla resistenza della pratica di scrittura quale forma di espressione e sulla conseguente opportunità di offrire uno spazio di esposizione agli esiti di tale pratica, nella convinzione che l’apertura di scene pubbliche di lettura potesse, in primo luogo, favorire il consolidamento dei fragili legami sociali della comunità materana, in prospettiva, alimentare circolazione e scambio di esperienze di scrittura oltre la realtà locale.
La tecnologia moltiplica in misura esponenziale le possibilità di comunicazione, ma la pagina scritta, cui è affidata la comunicazione più meditata, intima e compromettente, sembra reagire con inopinata vitalità alla profezia del suo previsto declino.
Che l’effetto con il quale Matera – una città, non neghiamolo, tradizionalmente arcigna, avara di slanci improvvisi – partecipa ai momenti pubblici della manifestazione (proclamazione del vincitore, presentazione del volume con i racconti finalisti, proiezione del cortometraggio tratto da uno di essi) sia un po’ anche il risultato del processo di circolazione comunitaria di questi testi? Poterlo sospettare già consola. Va bene, va bene, ma dov’è Kafka? Sentiamo obiettare. Forse nel mucchio dei racconti scartati, rispondiamo (e non ce ne vogliano lettori e giurati se ricordiamo che il destino dei Kafka è di essere – dapprima – ignorati). Ovvero, più probabilmente, più semplicemente, non c’è (e non ce ne vogliano gli ammirevoli scrittori che in questi anni hanno inviato i loro elaborati narrativi se ricordiamo – con la Lispector – che “scrivere è arduo come spaccare pietre”).
La verità è che il Premio non si propone di scoprire il talento letterario del prossimo decennio più di quanto un contadino non si proponga, dissodando la sua terra, di scoprire un tesoro. La sua spirazione è forse meno ambiziosa, certo non meno nobile. Si tratta di raccogliere e, magari, stimolare la produzione espressiva che ancora, miracolosamente, precipita nella pagina scritta, consentendo a chi scrive di “entrare nel mondo – del reale – per il verso giusto e proprio all’anima dell’uomo, che è il fatto creativo” (così la Cortese), a chi legge di rinnovare lo stupore per un mondo perpetuamente reinventato dai tanti piccoli miracoli simili ai racconti giunti ad Energheia in queste cinque edizioni del Premio.