Anche quella mattina
fotoracconto finalista Premio Kaleidos Africa’s Pictures 2012_di Antonio Nicola Viviano
sezione 15-17 anni
Anche quella mattina Afe’ fu svegliata dalle mosche e dai raggi del sole già caldo. Il corpo era coperto dalla sabbia del pavimento della capanna, i capelli erano attaccati alla fronte per il sudore e sentiva bruciare la pelle.
Aveva sete ma sapeva che per bere, se trovava l’ acqua, doveva ancora aspettare molto tempo fin quando avrebbe portato le sue capre al pozzo sotto le piante arse.
Ma quello più che un pozzo era una melma liquida gialla che lei doveva contendere alle capre.
Si svegliarono anche le sorelle e i fratelli, i piccoli si misero a cercare rami per accendere il fuoco, mentre lei con i due fratelli più grandi si preparava a portare le capre al pascolo. Prima che partissero la mamma le disse di non fermarsi al pascolo quel giorno, ma di andare al pozzo, riempire due recipienti di plastica che il missionario italiano aveva regalato loro, e di tornare da lei perché il giorno prima suo padre aveva fatto buona caccia e lei doveva pulire la selvaggina, preparare i pezzi, conservarne molti e con alcuni avrebbe preparato una bella cena quando tutta la famiglia si sarebbe ritrovata intorno al fuoco. Questa notizia rese felice Afè e le fece dimenticare la sete.
Con i fratelli ed il gregge si diresse velocemente al pozzo, giungendovi molto prima delle altre volte. Arrivata, anticipò le capre dei fratelli, prima bevve, ma non si lavò e riempì subito le due taniche d’acqua, felice di poter tornare a casa. Ma le taniche erano troppo grandi e pesanti per lei, la mamma non aveva pensato a questo. Afè si incamminò verso casa portando una tanica per volta per brevi tratti. Così il percorso si raddoppiava e la fatica era grandissima.
Intanto il sole era già rovente e la terra piena di spine e rami spezzati,quasi bruciava sotto i piedi nudi. All’inizio non ci fece caso, ma dopo qualche tempo era stanchissima. Si fermò per riposarsi sotto l’ombra malata di un arido cespuglio, ma non si accorse che una grossa spina aveva forato una tanica che perdeva acqua. Ripresi il cammino perché sentiva meno peso. Quando arrivò felice alla capanna, la tanica bucata era quasi vuota.
La mamma la sgridò, la picchiò, poi la consolò e la rimandò di nuovo a riempire la tanica bucata dopo averla rattoppata con un impasto di erbe ed argilla. Afè tornò al pozzo, riempì la tanica, la riportò indietro facendo attenzione a non farla bucare di nuovo.
La sera intorno al fuoco la famiglia felice mangiava la selvaggina cacciata dal padre e cucinata dalla madre di Afè, che mangiava contenta col sudore che le scorreva lungo il viso e le spalle senza sapere che cosa vuol dire potersi rinfrescare la faccia e il corpo con una bella doccia tiepida.