I brevissimi 2001 – Profumi d’Antico di Giuseppe Roppo_Valenzano(BA)
anno 2001 (I sensi – Gli odori)
Premio redazione de “La Gazzetta del Mezzogiorno”
Era la notte dell’Assunta, il quattordici agosto.
Nella calma silenziosa del paese addormentato, sotto l’argenteo splendore
della luna incombente nel cielo, soffuso di un pallido azzurro trapunto di
qualche rada stella, spiccava la massa bruna della chiesa maggiore con la
sua cupola a calotta sferica e la torre quadra e mozza del campanile.
Un profumo d’incenso così forte ed inebriante che saliva fino al cielo e
s’insinuava tra i vicoli raccolti del borgo, richiamava le pie donne, le
fanciulle e i vecchi agricoltori in chiesa, accompagnato dal prorompere del
suono delle campane.
Splendevano le finestre di luce calma, come aprendo gli occhi vigili sul
paese addormentato nella notte in cui Maria tornava assunta alla gloria dei
cieli.
In quella notte, lento prima, man mano crescendo dopo, si elevava solenne
un coro mistico, grave, sublime, con un ritmo che traduceva la passione
primitiva della fede ingenua delle folle rurali.
In alto nei cieli puri della notte d’agosto salivano ad una ad una belle
invocazioni della litania liturgica, come tante delle magiche figure snodatisi
sotto l’alta volta della cupola.
Ecco il momento in cui il paese profumava d’antiche memorie!
L’odore del pane appena sfornato che saliva, lento dalle botteghe dei
mastri fornai che si erano già messi all’opera ed il profumo non spento dei
gerani in fiore, commisto al canto esprimeva un forte sentimento religioso
che diventava sempre più appassionato quando la folla ripeteva nel patrio
dialetto le laudi sacre.
Quando le finestre della chiesa si oscuravano, cessava il canto ed il suono
dell’organo, e la folla di fedeli come rasserenata da un puro lavacro
mistico, evadeva in un discreto silenzio e tornava alla casetta
addormentata, mentre la luna più in alto splendeva nel cielo saturo di dolci
profumi, di laudi, di preci e svanivano come un sogno sublime, gli ultimi
fantasmi puri dei cherubini alati.
L’indomani giunta la festa, le casette si ripopolavano di voci, i vicoli si
tingevano di ritrovata serenità.
I bambini giocavano tranquilli, spensierati a rincorrere i gatti di mastro
Michele, l’arrotino.
Le donne già da qualche ora avevano preso posto nella piccola cucina a
preparare il povero pranzo delle masse rurali.
Povero, è vero, ma ricco di tradizioni, di sapori, di profumi invitanti.
E come ogni festa che si rispetti non mancava l’abito buono, l’usanza di
offrire un piccolo pasto caldo ai forestieri in pellegrinaggio dopo la visita
all’icona della Vergine esposta davanti al portale maggiore della chiesa.
A mezzogiorno le campane, spandendo il suono persino sulle circostanti
campagne, annunciavano la fine della funzione religiosa e l’inizio del
sobrio festeggiamento.
Le mogli invitavano i mariti a sedersi a tavola, insieme a tutta la famiglia
che rideva, scherzava e beveva vino alla salute degli altri.”
Questa è la storia che hanno tramandato di generazione in generazioni i
padri ai loro figli quando tornavano a casa dopo il lavoro nei campi e che
nessuno ha mai dimenticato.
Oggi ripenso a quel paese e sento ancora l’odore del ragù della domenica,
l’odore dei campi di grano, l’odore aspro del vino e mi perdo sotto le volte
della chiesa maggiore a guardare una fotografia in cui mio padre mi tiene
per mano in uno di quei vicoli che profumano ancora d’antico.