I brevissimi 2001 – La Mina nascosta di Alessandra Grassi_Marina di Carrara(MS)
anno 2001 (I sensi – Gli odori)
Lo stupore, attraverso gli anni, diventa consapevolezza.
La lente del tempo scandisce e rende malleabile ogni cosa ma ciò che la ragione confuta, l’emozione fa riaffiorare con graffiante realismo: l’essenza di un istante rimane intatta nel ricordo. Ero una ragazzina quando conobbi Mina, una signora rumena.
Quando la incontrai, aveva ancora l’odore che tutti gli orfani cresciuti in istituto emanano in modo quasi naturale: l’odore di uno svezzamento precoce, di consigli rubati, di una disciplina inflessibile, del dolce domenicale, uguale per tutti. Ma l’omologazione non dipendeva tanto dall’ottusità di un paese sotto dittatura; ciò che poneva Mina sulla stessa linea di malinconia delle altre era l’assenza d’amore, amore tutto per lei, su cui cullarsi e crescere.
Sebbene molto giovane, colsi quel suo odore, l’odore di un’adolescenza tradita che fatica a rassegnarsi. Eppure erano passati anni, un matrimonio. Del marito italiano non era concesso parlare: anche se rapida, l’unione era stata devastante. Pensavo all’odore che aveva sulla pelle quando si era abbandonata a quell’animale; l’odore di chi è fragile come una pianta senza radici e sembra reggersi sul vuoto ma si aspetta pur sempre del bene. Pensavo a quale delusione, dopo. E a quarant’anni viveva ancora nell’attesa, come quando da bambina trascorreva ore a fantasticare sul suo avvenire, si nutriva di nobili pensieri e accresceva la sua già vasta cultura.
Di sé non parlava mai, preferiva discutere dei libri che leggeva e ricordo che aveva sempre intuizioni acute. Ma ciò che preferivo erano i racconti sulla sua terra, patria di Dracula, come descriveva i paesaggi e gli umori della gente. Il buonumore svaniva quando Mina parlava della miseria che braccava il suo popolo e del dittatore Ceaucescu (“Quel porco facoltoso”, diceva con sarcasmo). Il discorso allora finiva con qualche imprecazione e un diffuso senso di pessimismo.
Quando la conobbi mi sembrò una persona così elevata da bastare a se stessa e questo era ciò che mostrava.
Non vedevo Mina da diverso tempo quando un giorno vennero a chiamarmi.
Aveva minacciato il suicidio.
“Non sapevamo chi altro avvertire, sai, Mina è sola al mondo” Lo dissero con tale disinvoltura che mi sembrò naturale che un essere umano vivesse respirando solamente il proprio odore. Corsi da lei. “E’ andata via con l’ambulanza. Vieni, stava al terzo piano.” Salii, annaspando per respirare l’aria densa di limone che emanavano le scale di marmo lavate di fresco. Sul pianerottolo tre porte uguali: impossibile dire dietro quale aveva vissuto Mina. “Abitava qua. Da settimane nessuno la vedeva uscire ma con questi stranieri non si sa mai. Non potevamo immaginare.” Scomparvero dietro una porta, mi sentii sollevata.
Ancora lottando contro l’odore di limone, entrai. Dalle verande abbassate filtrava poca luce ma ciò che mi aggredì non fu il buio, né il silenzio pesante. Ciò che mi spezzò il fiato, fu l’odore dietro quella porta. Pensai che il mondo si fosse ripulito, gettando tutto lo sporco in casa di Mina, che il tempo si fosse inceppato fra una scarpa abbandonata sul divano e una macchia di muffa a forma di cuore sulla parete, che i vestiti fossero stati sparati in cucina dal tubo del gas; pensai che tutte le persone per bene avessero costruito apposta quella casa indegna per buttarci la loro immondizia. E più respiravo quell’odore, più vedevo le ore scorrere nel silenzio della disperazione e nei lunghi digiuni della solitudine, la vita affievolirsi dietro i riflettori spenti e pagine di libri bruciare nell’indigenza.
Passai da una stanza all’altra come una trottola impazzita finché qualcosa d’impercettibile mi sputò fuori.
Avevo sentito l’odore dell’abbandono, della morte, ma più di tutto, l’odore della resa.
Scesi come un gomitolo che si srotola. L’odore, cinico, di limone m’investì.
Capii che non esistono profumi ma solo odori, come quello di Mina e quello della sana borghesia.
Era il 1989, l’anno in cui Ceaucescu ordinò di sparare sulla folla.