I brevissimi 2002 – Suoni di vita e di morte di Corrado de Biase_Molfetta(BA)
anno 2002 (I sensi – I suoni)
Sola te ne vai per pianure dimenticate, triste, pensando al banchetto funereo in tuo omaggio. Uniche compagnie del tuo vagare solitario il fruscio delle foglie mosse dal vento e lo strepitare di quelle ingiallite dal tempo, così diverse dai pianti malinconici e infelici, dalle grida strazianti e dai lamenti rotti e confusi dei tuoi congiunti, che, veloci, attanagliano la tua mente. Né puoi astenerti dal pensare a coloro il cui viso è attraversato da un ghigno sottile e maligno, compiaciuti della tua scomparsa, perché, pensi, l’uomo è cattivo. E vorresti tornare rediviva ai tuoi impegni, ai tuoi uffici lasciati incompiuti, ai tuoi dolori, alle tue passioni, alle tue gioie momentanee.
E ricordi i giorni spensierati, i giochi d’amore e gli affetti di madre: gioie che scorrevano veloci nel posarsi di un bacio, nel calore di un abbraccio amichevole, nello scorrere carezzevole di una mano; ma per quanto fugaci, semplici cose che ti portavano ad apprezzare la vita. Quegli stessi abbracci, quei stessi baci che ti avevano fatto innamorare. Li avevi sempre custoditi gelosamente e adesso tornano alla memoria, più vivi che mai. Lo schioccare di un bacio, il posarsi di due labbra su due labbra, l’incontrarsi fuggevole dei tuoi occhi con quelli amati, lo scivolare delle mani sui seni, sui tuoi contorni lievi e delicati e lo scorrere delle stesse sui capelli, il tutto ritmato dal palpitare armonioso e fervente del tuo cuore.
E ancora, torni a pensare ai vagiti, ai pianti e ai capricci infantili della tua bambina, che così bene sapevi placare, intonando nenie e filastrocche al vociare sempre più dimesso e riconoscente di lei, rassicurata dall’affetto della sua mamma. Né ti preoccupavi del tuo ultimo giorno, eterno nei ricordi di te, nonostante la sua incompiutezza, speranzosa di una nuova e pia esistenza. Ah, il tuo ultimo giorno! Così vicino, non solo nel tempo, ma anche nei ricordi e nei suoni.
Ricordi? Il brontolare del motore dell’autobus fino al suo definitivo collasso, seguito dall’imprecare confuso dell’autista, che ti aveva costretta a proseguire a piedi fino a casa, in piena notte, di ritorno dal lavoro, col battere veloce e titubante dei tacchi delle scarpette rosse, in tinta col completo, sul marciapiede della quindicesima strada. A destra la soffice erbetta sembrava cedere mollemente alla scivolare silenzioso della rugiada. Altrettanto silenziosamente scivolò una mano pesante sulla tua spalla.
Ricordi? Il cuore aveva cominciato a fremere senza posa, rimbalzandoti nel petto, quasi volesse fuggire, già consapevole di quanto sarebbe accaduto: lo sfregare, deciso, dei lembi del fazzoletto, che ti stringeva la bocca, impedendoti di gridare e chiedere aiuto, il cadere supina, attenuato dall’erba soffice, lo sradicare dei bottoni della tua camicetta dalle loro cuciture, lo scorrere di una zip e lo sbattere di anche estranee sulle tue che cedevano mollemente, come l’erbetta che ti circondava, al peso della rugiada. E ancora, lo scorrere ruvido di una mano callosa e il posarsi di labbra consumate dal vento sul tuo viso, quasi di cera. Quegli stessi baci il cui suono, ora, sapeva di morte.
Ma di tutto questo tu non sentivi niente, tutta assorta nei tuoi pensieri; e pensavi a cosa fosse il vero amore, a tua marito e alla tua bambina che avresti voluto stringere forte in quello stesso momento, alzando gli occhi al cielo e alla luna che ti aveva, anch’essa, abbandonato, preferendosi coprire con un velo di nubi, piuttosto che assistere a quello scempio. Infine, chiudendo gli occhi, con una sola lacrima abbandonasti te stessa, vergognosa di quel pure innocente disonore, mentre il tonfo ripetuto di una sbarra d’acciaio, trovata lì vicino, riecheggiava sulla tua testa, nel silenzio della notte. E mentre te ne vai sola per pianure dimenticate, pensi alla tua bambina che vorresti stringere forte in questo stesso momento, per placarne il pianto inconsapevole con nenie, filastrocche, baci e carezze materne.