I brevissimi 2003 – Una collana di corallo, rossa di Raffaele Galiero_Napoli
anno 2003 (I sensi – Sfiorare)
Menzione redazione de “La Gazzetta del Mezzogiorno”
Menzione dell’associazione Energheia
Le finestre del secondo piano si illuminarono. La vidi armeggiare in cucina,
sparire, e ricomparire in camera da letto. Aprii l’armadio. Il cuore mi
batteva forte. Scostai ancora un poco la tenda, per vedere meglio. Si voltò
verso di me. Mi spostai dal balcone. Ero al buio, non poteva vedermi.
Aspettai qualche secondo e guardai di nuovo. Si stava spogliando.
Si tolse la camicetta. Ma perché così in fretta? Per un attimo intravidi il
reggiseno bianco. Lo ricoprì subito con la parte superiore di una tuta.
Spense la luce. Passò in cucina. Incominciò a preparare la cena. Sempre
così, mai che si spogliasse completamente. Abbassai le tapparelle ed
accesi la lampada sul comodino. Quella donna mi faceva impazzire. Aprii il
primo cassetto dell’armadio e tirai fuori l’album delle fotografie. Nella
prima era di schiena. Passai alla seconda. Qui si vedeva meglio. Era
bellissima. Forse un po’ sfocata. Ma con la mia Mirando Sensorex non ero
riuscito a fare di meglio. Era di trequarti, senza reggiseno. Potevo vedere
un pezzettino di seno. Guardai meglio. Una macchia un po’ più scura. Era
un capezzolo. Al collo una collana di corallo, rossa. Letizia! Non conoscevo
il suo nome, ma Letizia mi era sembrato subito appropriato. Sfogliai le
altre foto. La migliore era quella della seconda pagina. Poggiai l’album sul
letto. Mi spogliai e mi stesi al suo fianco. Capelli neri, corti, spettinati. Le
sfiorai la testa, prima con l’indice e poi con il medio. Non appoggiavo le
dita completamente, per non sentire, al tatto, il lucido della carta su cui
era stampata. Muovevo le dita a pochi millimetri dalla superficie. Per
qualche istante la toccai. Solo un attimo. Scesi sul collo, lentamente. Era
corto e bianco. Percorsi quel centimetro di carta, rabbrividendo. Le spalle
erano piene e carnose… si potevano vedere i segni lasciati dal reggiseno.
Potevo sentirne i solchi sotto le dita. Ritornai ai capelli. Li sfiorai di nuovo,
poi di nuovo il collo, ancora le spalle… da sinistra a destra, indugiando sul
trapezio. Girai la mano, con il dorso verso il baso. Stesi il medio e
cominciai a scendere lungo la schiena. C’era troppa carne, ma potevo
contare le vertebre, pigiando solo un poco di più il dito. Mi fermai all’inizio
dei fianchi. Grossi. Asimmetrici per la torsione del corpo. Gli slip le
coprivano a stento le natiche. Erano piccoli ed incapaci di contenerle.
Scostai la mano dalla foto. Ero sudato. Tornai alla finestra. La luce era
ancora accesa in cucina, ma lei non si vedeva. Tornai sul letto. Ritornai
alla foto. Questa volta incominciai da sotto. Si vedevano solo le cosce. Il
letto le copriva metà gambe. Una era in primo piano, l’altra seminascosta
dalla prima. Accostai il pollice e l’indice alle cosce… Cercando di separarle,
delicatamente. Il freddo delle foto mi fece sobbalzare. Le ritirai. Le
accostai di nuovo badando, questa volta, a non toccarla, volevo solo
sfiorarla. Le cosce non si aprivano. Rimasi deluso, ma solo per un attimo.
Seguii la curva delle natiche, fino all’inizio dei fianchi. Feci il percorso al
contrario, dai fianchi all’inizio della coscia. Poi di nuovo su. Salii dai
fianchi alle spalle velocemente. Indugiai un attimo sulla scapola, poi mi
diressi, decisamente, verso il seno. Mi faceva impazzire. Percorsi più volte
la sua curva inferiore, fermandomi, sempre, sul capezzolo. Sentivo il
sangue pulsarmi nelle tempie. Sfiorare quell’immagine mi dava un piacere
mai provato.
Un colpo battuto alla porta mi fece sobbalzare. “Apri, sono mamma, ma
che fai chiuso dentro? Apri subito”. Accidenti, proprio adesso, pensai.
“Apri immediatamente, ho detto”. Aprii la porta. “Cosa fai nudo?”. Era
furibonda. Urlava, il collo gonfio, la collana di corallo, rossa, che
indossava, le stringeva le vene del collo.
Volevo toccare quelle pietre color fuoco, si spaventò, urlò più forte. Sfiorai
la collana. Le strinsi le mani al collo. La collana si ruppe e i coralli caddero
come piccole gocce di sangue. Continuai a stringere, Commissario, a
stringere… a stringere.