I brevissimi 2005 – Ariele di Riccardo Roversi_Ferrara
anno 2005 (Il sesto senso)
Menzione dela redazione de “La Gazzetta del Mezzogiorno”
Incienso pesto, aloe socoltrino, storacie chalamita, schamonea,
spalto, amonio, turbitto, lattovaro a listopoli, aghalingho, ribarbero, anbra,
ligno, salgiemo, lopris, giglo, mirabolano enbrico, trasandolo, verzino,
tuzia, fior di pietra, balsino, stulio, asofondra, ciera, aghalfino, mumia,
serrapino, spodio, chorabe, squinto, bolio, euforbio, gialunbino, sena,
macie.
Non mancava nulla. Fra poco la forma rotonda della luna avrebbe
grattugiato il suo chiaro dappertutto, sopra i tetti delle case e nei cortili,
fra i rami delle piante e sull’acqua dei canali. Era la notte ideale per un
sortilegio.
“Ariele… Ariele, sei ancora su in soffitta?”. La mamma. Una volta
la mamma le aveva parlato della nonna Erminia e raccontato di come,
durante l’ultima guerra, si consumasse nell’attesa dell’uomo con il quale
aveva condiviso la vita. Non parlava mai, accendeva lumi nei luoghi più
impensati delle stanze, mormorava frasi strane in lingue sconosciute e poi
gli occhi, non si capiva che cosa fosse accaduto ai suoi occhi. Parevano
vuoti e lontani, anzi non esserci. Finché una sera infranse laconica il
rituale, disse solo: “Non ritornerà!”, quindi arrancò lungo le scale e si
nascose dentro alla camera vecchia col letto a tre piazze. Il mattino
successivo la trovarono già fredda e, prima di mezzogiorno, il postino
recapitò la lettera che annunciava la scomparsa del nonno.
“Tu le assomigli”, commentò concludendo la storia sua madre. Sì
lo so, pensò Ariele, la vedo ogni notte in sogno, è lei che mi ha svelato i
misteri del silenzio e insegnato i segreti delle cose. Lei mi ha fatto strega.
Il buio profumava del sapore dolciastro emanato dalla pozione,
lei diede un’ultima rimescolata alla mistura e immerse nella pignatta i
lunghissimi capelli neri. Era mezzanotte, finalmente. Ariele si spogliò nuda
e salì sul davanzale dell’abbaino, il suo corpo secco e acerbo di sedicenne
balenò riverberando contro ai raggi della luna, mentre una civetta planava
zitta quasi indicandole il percorso da seguire. Sentì una brezza fresca
volarle sulla pelle umida, spalancò le braccia, si sporse leggera verso il
vuoto, chiuse le palpebre e in quell’aria si tuffò.