I brevissimi 2005 – Di(s)sensi di Paola Fabris_Castelnovo(VI)
anno 2005 (Il sesto senso)
“Abbiamo seduta accanto a noi, anzi ai nostri stessi posti prenotati da
Dehli, una intera famiglia del Punjab, padre, madre e due bimbi piccoli:
stanno andando a Shimla per trascorrere qualche giorno di vacanza,
lontano dal caldo della pianura. Pigiati sulla scomoda panchina
dell’Himalayan Express, i quattro svolgono tutte le attività di quotidiana
fruizione: mangiano cibi precotti e speziati , si attengono alla pulizia più
basilare e rinfrescante per mani, viso e parti scoperte del corpo, usando
salviette inumidite dal profumo acidulo e pungente; la madre con abilità
cambia il pannolino alla più piccola e poi lo fa volare fuori dal finestrino,
segnando il lancio con una scia di odore infantile.
Io e il mio compagno, sui sedili di fronte, assistiamo ad ogni operazione
con i sensi in allerta per selezionare gli stimoli. Poi, lei, tutto d’un tratto,
dopo aver fissato i fili d’argento che da un po’ di tempo ornano i miei
capelli, mi chiede come mai sono in viaggio senza figli. Rispondo che non
ho figli. Ribatte che non va bene, che una donna deve avere figli. Cerco di
dirle che vengo dall’Italia, che da noi le cose sono diverse, che andiamo
all’università per poi lavorare, viviamo da sole, ci arrangiamo a fare molte
cose, spesso non abbiamo un uomo con cui condividere un progetto di
vita, ma più mi sforzo, più la mia voce mi è estranea, e si va invece
insinuando all’interno un’altra voce, critica , che mi chiede se credo
veramente a tutto quello che dico.
Il mio compagno non parla.
Mi sento nei confronti di quella donna diversa, un poco superiore, mi dico
che in fondo un figlio potrò averlo quando vorrò, ora ho altro da fare.
Guardo fuori: la foresta abitata dalle scimmie si infittisce sempre più. Il
colore profondo del verde fresco ed umido sembra voler contenere tutto e
tutti. Il piccolo trenino procede molto lentamente, seguendo un percorso
che segna come una ferita profonda il groviglio vegetale. Sono appena
all’inizio di questo viaggio e già non posso scordare i piccoli occhi neri dei
bambini appostati alla stazione e ai crocevia.”
Dopo cinque anni mi ritorna tra le mani il taccuino verde che mi ha fatto
da compagno nel viaggio indiano: sto cercando un documento tra le varie
carte ed oggetti nella valigia di cartone e, profumato di patchouli, ecco il
mio racconto indiano.
Mi preparo nuovamente a partire. Nuovamente India. Nuovamente vette
Himalayane.
Sento dentro uno strano senso di magia: è dalla mattina che me lo ritrovo
addosso, so che devo controllare alcune cose, sembrano inutili, ma prima
di chiudere la giornata devo farlo, è necessario.
“Sono arrivata in una città molto bella, c’è in giro parecchia gente, perché
ci sono spettacoli di luci, colori e storie. Sottobraccio stringo la cartellina
azzurra con tutte le ecografie che ho fatto in questi dannati tre anni. Sono
stanca e mi siedo ad un piccolo tavolo su una terrazza, che dà
direttamente sul cielo sul quale si proiettano pesci rossi ed azzurri. Una
donna mi si avvicina , mi dice che ho l’aria triste. E’ vero mi sento triste,
ma non voglio dirle di più. Lei sorride, anzi ride forte. Guarda le
proiezioni, poi si alza e mi dice, io ho appena avuto un aborto, e se ne va.
Allora la inseguo e le dico, anch’io ne ho avuti tre di aborti, guarda le mie
ecografie. Lei scoppia a ridere e dice che non importa: la risata riecheggia,
io sento che ho bisogno di lei, ma la perdo nella folla.”
Con questo sogno ho iniziato la giornata: esso continua ad inseguirmi, a
tratti è come io sentissi l’eco della forte risata dentro di me.
Penso che solo un nuovo viaggio potrebbe aiutarmi ad uscire da questa
situazione di stallo che dura da tre anni. L’India è uno scompiglio
sensuale, una brutale esperienza di contrasti che irrompono senza tregua
come odori, rumori, grida, offerte profuse da ogni angolo, colori accostati
che risplendono per accecare con il sole tropicale, spezie che friggono
l’anima di un sogno orientale, patchouili ed alberi intriganti: l’India. è il
dissenso alla vita ed insieme un inno fatto di tanti bambini dai piccoli
occhi neri, che tirano un lembo della tua camicia e ti guardano piegando
dolcemente la testa.
Accendo il computer, effettuo una metallica connessione, chiedo
rispettosamente di leggere la mia posta, troppe volte senza senso. Tra
tutte le mail, una spicca subito e rimbalza dai miei occhi al cuore: è Samir
che mi chiede di unirmi a Calcutta a lavorare con migliaia di bambini
perduti per le strade di un mondo di contrasti. Sento oltre i sensi la
coincidenza significativa dei miei passaggi e cerco immediatamente un
collegamento privo di causa tra la proposta e i miei figli mai nati.
Spengo l’invadenza, stasera amica, del computer e mi stendo a luci spente
sul letto, ancora con tutti i miei vestiti imbevuti del giorno. Nel buio della
notte un cielo nero illuminato di piccole luci splendenti. Dal balcone entra
un dolciastro profumo di gelsomino.