I brevissimi 2007 – Ricordo di M. – Rossella D’Alfonso_Bologna
anno 2007 (Le quattro virtù cardinali – La forza)
1.
Fui svegliata all’improvviso dal colpo secco del campanello.
Mi girai, semiaddormentata, a guardare l’ora, e subito ricaddi incredula nel
sonno profondo dei lunghi secondi del primo mattino. Un nuovo squillare,
breve e perentorio, mi trascinò dalla sorpresa alla porta, in un tragitto
strascicato di passi infreddoliti.
Era un mattino d’ottobre, le ore livide d’un autunno precoce.
Nel riquadro della porta semichiusa con tardiva cautela si ritagliava il
profilo offuscato di una giovane, con una frangetta sfilata sugli occhi gonfi,
il cappotto che le pendeva pesante di una notte di veglia.
Sono Marta, disse con voce troppo alta. Due grandi valigie sfioravano il
pavimento.
Non l’avevo mai vista, se non in una brutta fotografia in cui su uno sfondo
di neve rideva con il berretto da soldatino di mio fratello. Allora l’avevo
scambiata per un commilitone imberbe e un po’ effeminato. Era la ragazza
che amava e dovetti pentirmi di quella prima distratta impressione.
Non restare così sulla soglia, mormorai ormai sveglia del tutto tirandola
dentro, strappandole quasi una delle due valigie.
Ma non hai dormito? Vieni, facciamo il caffè. Stanno dormendo tutti. Ma
ecco rumori confusi contraddicevano le mie parole. Spaventata la mamma
ansimava cosa c’è cosa c’è…
La sommersero per qualche istante infinito le domande, la preoccupazione,
la meraviglia. Ma subito le si levò il cappotto, le fu versato il caffè che
fumava ancora, poi fu messa a letto, nel grande lettone dei genitori, con
mamma, con me che cedetti il mio piccolo al babbo.
Allampanato nel pigiama ancor troppo infantile, mio fratello se la
mangiava con gli occhi. Brusco dirigeva quegli spostamenti.
Di colpo tacemmo, ci coricammo di nuovo, a strappare un lembo di sonno
ai cuori agitati.
Era così magra.
2.
Questo ripensavo mentre la guardavo, da cinque lunghi mesi, arroccata sul
divano, torpida matrona di cortisone e morfina attorniata dal nugolo mai
assente delle amiche, accomunate solo dal bene a lei. Dopo ventidue anni.
Ventidue anni.
Diventare una donna. Soffrirne. Goderne a pieno. Questa era. Riprendersi
tutto quanto le era stato negato. Lasciare un’impronta. Costruire a dispetto
di tutto. Essere sempre giovane, e divertirsi. Mio fratello sempre a fianco,
anche nel conflitto.
Ecco il senso che lascia, ora che non c’è più, al marito, al figlio, a noi che
ci facciamo da parte, secondi piani di una vita vissuta nel riso degli amici,
nelle serate al cinema e a ballare, nelle grandi matriarcali mangiate, negli
orli cuciti accanto alla tivù.
Ora che non c’è, la guardo ancora, e il pallore degli ultimi giorni cede a
quello di quella mattina remota, lo sguardo è ancora avido di vita, come
quel giorno, in cui aspettava tutto, voleva tutto, prendeva tutto.