I brevissimi 2007 – Lettera da Bassora – Elisabetta Borzini_Genova
anno 2007 (Le quattro virtù cardinali – La forza)
Menzione della redazione de “La Gazzetta del Mezzogiorno”
Bassora, 15 agosto
Caro papà,
sono qui che guardo il letto di Carmelo. Ti ricordi? Quello che parlava
degli struffoli di sua madre con le mani giunte e l’aria sognante, ti avevo
parlato di lui nella prima lettera, ti ricordi?
Carmelo è morto ieri.
L’altro ieri era il suo compleanno, ventidue anni, due meno di me; la sera
abbiamo fatto una piccola festa, sono venute anche tre ragazze irachene…
Capirai, noi siamo in venti, loro in tre…
Carmelo con le puttane non ci era mai andato, lui “al paese ci aveva la
Isa”, ci siamo seduti fuori a farci una canna e lui mi ha fatto il discorso più
lungo che gli abbia mai sentito fare: “Cumpa’” ha detto, “Io la cosa che mi
manca a schifìo a stare accà è il gennaio al paese mio, quando a due giorni
dalla befana s’ammazza il maiale. La mattina ci si alza tutti alle cinque,
minghia che freddo che fa…Si mettono dei pentoloni d’acqua sul fuoco del
camino, l’acqua calda serve a grattare via le setole… Si affilano i coltelli,
si coprono i tavoli con la plastica per no infracicare tutto. Mio fratello
Vincenzino apre il vino, che lui è quaglioncello e solo i mestieri piccoli può
fare, ah! Che meraviglia cumpa’, nel gelo del mattino, quando la terra ti
scricchiola sotto gli stivali e il monte del vicino si vede appena, bersi un
bel bicchiere del nostro rosso del sud. Viulento e caddo come na
fimmina!”
“La Isa arriva sembre con gli altri ommini che ci vengono ad aiutare, me
mette il suo crocifisso in tasca e mi dice “Che lu signure a te guardi
Carme! Tienitelo vicino c’a ta prutegge!”, io rido e le dico che è proprio
una donna, però minghia se me lo tengo in tasca, cumpà…
Mio zio Peppino prende il coltello con il manico fasciato di vescica di bue e
quando mio padre porta fuori il maiale legato per la zampa e lo issa con la
manovella la prima coltellata spetta allo zio che è il parente più anziano
che ci abbiamo. Il suo coltello è il più scuro e rugoso di tutti però è quello
che taglia meglio, e quando lo zio Peppino raggiungerà la zia Crocefissa in
cielo il coltello me lo lascerà a me, che sono il quaglione più grande, chillo
c’a porta avanti il nome, u guerriero, pe’ ggiunta! Poi a tutti tocca un
colpo, mia madre raccoglie il sangue nel secchio che poi lei e le mie
sorelle ci fanno il sanguinaccio. Mio padre dopo la sua coltellata prende a
carezzare il maiale con il lauro, per ringraziarlo del cibbo che ci lascia, ora
che lui muore, è una criatura di Dio pure a lui! E di lì, tutti sudati anche
se fuori dalla tuta fa freddo, mentre il sole si leva ma resta malaticcio, noi
omini sappiamo che ci sarà carne per tutto l’inverno. Ah, che
soddishfazione cumpà!”
Ecco papà, questo è più o meno tutto quello che so del Carmelo che veniva
da un paesino del sud, di Carmelo il militare so che ha lasciato nel
cassetto il crocefisso della Isa, un’immaginetta di San Gaspare che gli ha
dato sua mamma e qualche copia di Playboy “che simmo ommini pure a
noi cumpà…”; questo è il nostro dramma: sappiamo poco gli uni degli
altri, forse per non contorcerci dal dolore quando uno di noi muore. Ma
anche se non sai nulla del suo passato, per sapere che il tuo vicino di
branda sta in un sacchetto nero due tende più in là e continuare a dormire
ci vuole una forza di cui non mi credevo capace.
Io che credevo che la guerra fosse l’unico atto di forza della mia vita, per
riscattare l’adolescenza da bambino con gli occhiali, primo della classe,
figlio del medico del paese, capisco ora che la guerra è vanità. Solo
vanità. E che la vera forza non è quella di riscattare, cancellare un passato
che non ci piace, coprendo la vanità con altra vanita, la forza vera è quella
che ha avuto Carmelo, che è morto in silenzio, soffocato dal casco,
probabilmente sorridendo al pensiero del coltello di suo zio Peppino che
andrà a suo fratello.
Non c’è forza nel lanciarsi di notte nel mezzo del deserto, nel convincere
dei pastori analfabeti a firmare confessioni che non hanno fatto, non c’è
forza nel guardare un compagno che muore senza piangere. Ho dovuto
arrivare fino a qui per capirlo.
Per questo ti chiedo, caro papà, di togliere la foto di me in divisa che la
mamma tiene tanto orgogliosa sul pianoforte, toglila, sostituiscila con una
di me quando ho vinto la gara di nuoto, o di quando non ho vinto niente,
di quando sono tornato con il cuore a pezzi dal viaggio con Elena;
sostituiscila papà con una foto che ti faccia ricordare di me.
Ricordati di me, papà, com’ero prima.
Enrico