I brevissimi 2007 – Cenere – Raffaele Notaro_Roma
anno 2007 (Le quattro virtù cardinali – La forza)
Per la prima volta da mesi, mentre il mattino si apriva con torpore, ho
desiderato nuovamente di morire. Sono uscito in balcone con una sigaretta
accesa tra le mani e ho guardato avidamente la distanza che mi separava
da suolo. Troppo breve, nell’ordine del battito di una palpebra, ho visto me
stesso cadere attorniato da una natura che tornava a vivere mentre io
morivo. Perché non va via questa sensazione? Perché non scompare con la
notte? Perché questo cuore non trova pace?
Dario non era con noi, la sera che è appena trascorsa, ed io stupidamente
mi sono sentito solo, ancora una volta come se fosse la prima. Circondato
da centinaia di persone, sembrava mancasse la sola che riesce a darmi
gioia. Vorrei dirgli che lo amo, come si ama un fratello, come si ama una
cosa bella, come un temporale estivo che ti assale con clemenza, dolci
gocce in agonia ricolme di fresca passione. Vorrei dirgli che questa
solitudine che si calma alla sua presenza è in attesa che lui ritrovi il sorriso
e plachi quelle lacrime d’amore che a nulla valgono senza un bacio
sincero, una carezza d’affetto, una distanza abbattuta da uno sguardo.
Vorrei dirgli di desistere, di smettere di farsi del male, ma non ci riesco.
Vorrei convincerlo che l’amore non esiste, che il suo amore non ha ragione
di essere, ma non posso perché sono io stesso il primo a non credervi.
Vorrei dirgli che un mondo che ci ama esiste davvero, ma è una bugia;
vorrei poterglielo offrire, se soltanto riuscissi a trovarlo; vorrei avere la
forza di dirgli che andrà tutto bene e che una volta chiusi gli occhi le
coperte sono davvero in grado di proteggere un bambino dalle ombre della
notte.
Ma siamo solo cenere… fumo avviluppato di sigarette senz’anima, cenere
che non ha storia, che brucia senza sentirsi, che muore senza aver vissuto.
Cenere che ti lascia macchie sulla pelle, ma non riesce a raccontarti nulla
di sé. Siamo derive di un amore che tradisce ogni speranza, siamo oggetti
dimenticati in una soffitta di ricordi.
A Dario non riuscirei a dire nulla di tutto questo.
Vorrei che la sofferenza fosse solo mia. Vorrei che questo mondo che ci
rifiuta possa un giorno strapparsi le unghie per quello che ha perduto,
cieco e inconsolabile di fronte alla meraviglia. Vorrei che la cenere che
ricopre questi nostri cuori possa lavarsi alla fine della primavera e vorrei
essere più forte, per condurre entrambi a vedere quel giorno.
Molti pensano che l’alba sia il momento più silenzioso del giorno. Io non lo
credo affatto. L’alba è puro rumore: anche con la musica nelle orecchie
riesco a sentire il mondo che vibra su corde che abbiamo imparato a
dimenticare, che non sappiamo più riconoscere; e nonostante la solitudine
che circonda l’essere umano, rimango ancora dell’idea che un suono
ascoltato al momento giusto possa ridarci speranza.
So che Dario non ha dormito neppure questa notte, e spero in qualche
modo che possa aver ascoltato il suono di questo mondo, e per quanto
doloroso possa essergli sembrato, spero che l’abbia fatto suo, per piangere
lacrime che appartengano soltanto a lui.
E adesso? Gli dirò di avere cura di sé stesso? Se fosse tutto così semplice!
Provaci Dario! Prova a guardare il cielo con gli occhi chiusi, prova a farti
bastare quello che senti. Perché gli occhi ingannano, c’è cenere ovunque,
ma nei suoni… c’è verità, e per quanto possa fare male, è l’unica cosa che
ci resta.
Io provo a superare anche questa sensazione, per rivederlo domani e
diventare una cosa sola. Se nei suoi occhi riuscirò a vedere serenità, vorrà
dire che la morte che mi attendeva era soltanto un’illusione, e che la
cenere, sui suoi occhi color dell’oceano non si poserà mai.