I brevissimi 2007 – Escluso il cane, tutti son cattivi – Carlo Emiliozzi_Roma
anno 2007 (Le quattro virtù cardinali – La forza)
Menzione dell’Associazione Energheia
Quei figli di puttana dei gemelli, al negozio di sport, mi avevano venduto
un paio di scarpe nere da donna, perché mi piacevano (ho una sensibilità
femminile), e perché non me n’ero accorto. Del resto anche se me ne fossi
accorto non avrei avuto la forza di controbbattere.
A quel tempo somigliavo molto a quel personaggio de “l’ Immortalità” di
Kundera che, se avesse dovuto sgomitare per arrivare alle scialuppe,
sarebbe colato a picco con tutta la nave.
Era un periodaccio. Uscivo da una storia impossibile e che mi aveva
gettato nel ridicolo, l’esperienza dell’università era andata male perché
interferiva coi miei studi letterari, avrei di lì a poco ricevuto la cartolina
precetto. Mi stavo ammalando ma non lo sapevo ancora.
Avevo scritto a Galimberti il filosofo vaneggiando di autoeducazione, di
libri scritti male e di “vile prostituzione del pensiero”: ero già
schizofrenico.
C’era stato uno stronzo che si era preso il disturbo di tinteggiare un cane
di blu. Poi con questo cane era venuto sotto casa mia per sfottermi. Avrei
voluto spaccargli la faccia, non perché mi stesse sfottendo ma per
difendere il povero animale. In quel periodo tutti gli sconosciuti con cui
scambiavo qualche frase finivano per darmi velatamente del cane. Questo
per le pratiche orali che praticavo con la mia ex e per la lunga coda di
capelli e per lo sguardo mite-acquoso. (Era la ex di tutti, purtroppo).
Anche all’ospedale psichiatrico, dove sarei finito più tardi, sarei stato
stressato con la storia del cane.
Ero stato precettato e spedito con la mia depressione e tutto a pediatria
oncologica di un grande ospedale.
Lì avrei visto che significava la lotta, che cosa fosse la forza : i bambini
lottavano per sopravvivere e io non avevo nemmeno il coraggio di
prendere l’ascensore per arrivare al padiglione: facevo nove piani di scale.
Incarnavo alla perfezione e nella mia sola persona il “Teorema”
pasoliniano sulla famiglia borghese, vale a dire che, dopo la fine
dell’amore, m’ero dato, nell’ordine, all’arte, al sesso disperato, m’ero
rinchiuso autisticamente, m’ero rivolto a Dio e m’ero spogliato dei miei
averi. Tutto questo per la mia incapacità cronica di elaborare il dolore. Ero
dunque un perfetto borghese. Che roba…
C’è una bella frase in una canzone dei Nirvana che tradotta recita “solo
perché sei paranoico non vuol dire che loro non siano dietro di te”: era
quel che succedeva a me, non sapevo più se esisteva un grande fratello
coordinato via internet e fatto di stronzi che si divertivano a pescare nel
torbido della mia situazione mentale e professionale e soprattutto
sentimental-sessuale o se era tutto frutto dei miei deliri.
Se vuoi fare impazzire qualcuno tutto deve sembrare normale tranne alcuni
particolari che devono essere “strani”, devono cioè poter sembrare frutto
di un caso avverso o di una voluta coincidenza. Questo per instaurare il
dubbio che poi porterà al delirio.
A quel tempo ero stato attenzionato dalla polizia per le mie ricerche
pornografiche su internet (cercavo filmati che mi riguardavano) mi
avevano fatto un bel profilo psicologico che combaciava quasi in tutto con
il profilo del serial killer organizzato (o offender organizzato in
crimonologia). Avevo il complesso edipico irrisolto. La gente mi odiava.
Sputava al mio passaggio. Guardava l’orologio si grattava la testa o
l’orecchio. Rideva. Faceva battute.
Come il signor K. poggiavo da me, mansueto, il collo sul ceppo. Anche per
me, se fossi morto allora, la vergogna mi sarebbe sopravvissuta.
Collaboravo con gli altri contro di me. Ero dalla loro. Ero collaborazionista
in questo senso.
Poco dopo mi cacciarono dal servizio civile per scarso rendimento e
frequenti assenze. Non andai alla nuova sede e restai a casa. L’assegno dei
mesi lavorati lo bruciai.
Oggi è diverso, lotto contro la malattia mentale e mi sento di nuovo come
a quindici anni: immacolato: giacché essendo stato (o essendo ancora)
furiosamente pazzo sono dunque anche innocente.
Penso spesso al quanto di forza che mi servirà per raggiungere la
normalità tanto desiderata e mi viene in mente Nietzsche che scriveva più
o meno: per divenire forti occorre avere la necessità di esserlo.
Mi toccherà lottare.