I brevissimi 2008 – Pic-nic di Alessandra Montemurro_Matera
anno 2008 (Le quattro virtù cardinali – La prudenza)
Per fortuna aveva smesso da poco di piovere nel cortiletto dei De Giorgi.
Mammucca in cucina stava preparando una frittata di ravanelli, nel cesto
sul tavolo erano già stati sistemati una bottiglia di vino nostrano, mezzo
chilo di pane tagliato a fette e del salame stagionato.
Papanza era giù in cortile a controllare lo stato della sua 850, di cui si
prendeva cura periodicamente e che rappresentava per lui quella figlia che
Mammucca, nonostante le forme generose in dotazione, non aveva mai
potuto regalargli. Mammucca e Papanza. Così i due coniugi, ancora novelli
sposi, avevano immaginato di poter essere chiamati dai futuri pargoli,
quelli che, per imperscrutabile volontà del Signore, non erano mai arrivati.
Dalla finestra aperta del secondo piano, che di recente Papanza aveva
riverniciato di verde, giungevano i sublimi effluvi della frittata che l’uomo
immaginava di gustare con Mammucca all’ombra di una quercia. Da una
settimana Papanza, in vista del pic- nic e a causa di evidenti problemi di
sovrappeso localizzati nell’addome inferiore, aveva smesso di mangiare
uova e formaggio.
Era da tempo che sognavano quella scampagnata in collina, i De Giorgi, ne
avevano parlato tante volte di sera, di fronte alla TV, avevano calcolato
quanto potesse incidere quel pieno di benzina sulla loro economia
domestica, a cosa avrebbero dovuto rinunciare per quei cinquanta euro
all’aria aperta.
Da sempre Papanza e Mammucca conservavano in casa i loro risparmi,
pochi, per dire la verità, ma bastevoli a garantire loro una vecchiaia onesta
e moderatamente serena. Papanza diceva sempre che è meglio avere pochi
soldi sempre uguali a se stessi che rischiare di perderli tutti, ecco perché,
d’accordo con sua moglie, non aveva mai voluto investire quelle poche
migliaia di euro in Libretti o Buoni Postali, come invece aveva fatto
Luigina, la sorella maggiore di Mammucca.
Mentre controllava lo stato dell’olio e dell’acqua, Papanza pensò ai pericoli
del viaggio che si accingeva ad intraprendere con sua moglie, a quante se
ne vedevano al tiggì, di quelli che scambiavano la superstrada per un
circuito di formula uno, degli animali abbandonati per strada che diventano
un pericolo per gli automobilisti, dei motociclisti ubriachi o impasticcati,
delle condizioni avverse del tempo che possono trasformare le strade in
lagune o cascate.
Alzò gli occhi al cielo e pensò che forse sarebbe stato prudente rimandare
quel pic – nic; il cielo era ancora grigio piombo e sembrava ribollire di
pioggia, ma sapeva che per Mammucca quella gita sarebbe stata
l’occasione per distrarsi dalla sua – come la chiamano? – routine quotidiana
e quindi ora non restava altro da fare che affrettarsi a controllare il
motore.
Mentre l’autoradio passava una nota canzone d’amore degli anni Ottanta,
gli parve di udire gridare da Mammucca il suo nome, no, non Papanza, ma
– Toniiiino!- e gli venne da sorridere perché sua moglie Grazia, pardon,
Mammucca, lo chiamava con il suo nome di battesimo soltanto nei
momenti di intimità, quando, per intenderci, il seno prosperoso della
donna e il suo addome “sblusato” si fondevano in un pesante blocco di
carne e affetto, oppure in presenza di estranei, per una sorta di pudore
misto a rispetto nei confronti del resto del mondo. Papanza si lasciò
andare ancora per qualche minuto ai suoi dolci pensieri, pensando alle
effusioni che avrebbe scambiato con sua moglie sulla tovaglietta della
scamp…- Toniiiino!-
Fu un attimo, come quei lampi a ciel sereno che scorticano l’azzurro e la
calma del cielo, come un aereo che romba sulla tua testa quando sei
immerso in un pensiero ingombrante, come il trillo del telefono
nell’oscurità della notte.
Salì le scale a quattro (non ci era mai riuscito prima di allora), ansimando,
pensando a quanto era stato cretino a non capire subito che sua moglie
stava implorando aiuto, perché era evidente, doveva esserci entrato
qualcuno in casa, qualcuno che Mammucca non conosceva ma a cui aveva
aperto la porta credendo fosse suo marito. La porta era aperta, sul
pianerottolo impronte di scarpe sporche di fango, le stesse che Papanza
aveva incontrato salendo su per le scale, nel piccolo ingresso e poi nello
stretto corridoio mobili capovolti, cassetti rivoltati, due lampadari divelti.
In cucina, l’odorosa frittata racchiusa in un canovaccio, il cestino del pic –
nic ancora aperto, Mammucca riversa sul tavolo con un taglio dalla nuca
alla spalla destra, a proteggere il tesoro di una vita in un tiretto chiuso a
chiave.