Premio Energheia Cinema 2009. Il ritorno di Kemir, Bruno Bianco_Montegrosso d’Asti(AT)
Premio Energheia Cinema 2009
Miglior soggetto per la realizzazione di un cortometraggio
Kemir passò a casa mia un mercoledì di marzo di quindici anni fa’ che era già mezzogiorno. Era un bambino marocchino come tanti che in quegli anni giravano per le case a vendere; e quando ero tornato a casa da scuola me l’ero ritrovato di fianco, ben seduto a tavola con la pasta nel piatto.
Il mercoledì successivo tornando da scuola me lo ritrovai nello stesso posto della settimana passata: il cuscino sulla sedia, il piatto sul tavolo, il tovagliolo infilato nel colletto.
“Ciao Luca” mi aveva detto mentre posavo la cartella; io avevo risposto con gentilezza, fingendo di condividere lo stesso entusiasmo di mia mamma che tutta contenta ripeteva “Hai visto che abbiamo di nuovo Kemir a pranzo”.
Ma a me non andava che lui fosse lì, non mi andava di vedere che a tavola ci fosse un altro bambino a ricevere quelle stesse attenzioni che mia mamma dava a me; non mi andava, ma fingevo bene. Tutti i mercoledì la scena si ripeteva perché Kemir arrivava con il suo borsone sempre a mezzogiorno; mia mamma lo invitava a pranzo, lui si faceva pregare un po’ e alla fine si fermava ogni volta. Prima di entrare in casa me lo ripetevo in continuo: “Fa che oggi non ci sia, fa che oggi non ci sia”. Invece lui era sempre lì, seduto al tavolo, la testa che si piegava di tre quarti verso di me. “Ciao Luca”. “Ciao Kemir”. Mangiavamo insieme, finivamo sempre con la torta che mia mamma si era messa a fare tutti i mercoledì e poi lui ripartiva con il suo borsone, mia madre sulla porta, a guardare quei capelli ricci che si allontanavano dal cortile.
Un mercoledì però Kemir non arrivò e nemmeno quelli dopo ancora; per un po’ di volte mia mamma aveva ripetuto “Chissà perché Kemir non è passato”, mentre io fingevo dispiacere e a fine pranzo mi gustavo doppia razione di torta. Poi rassegnata mia mamma smise di fare la torta il mercoledì e alla fine l’oblio coprì tutto e di Kemir più nessuno si ricordò.
-Te lo ricordi Kemir?-
-Certo che me lo ricordo.-
-Oggi è passato di qua.-
Kemir era tornato. Una sera di marzo, quindici anni dopo l’ultima volta, era arrivato in cortile. Non aveva più il borsone e guidava una Fiat Tipo, vecchia, ma dignitosa e funzionante.
-Buona sera signora, sono Kemir, si ricorda vero di me?-
Mia madre aveva borbottato qualcosa, del tipo “Ah…. sì… Kemir… Quanti anni sono passati…”.
-Tanti, almeno quindici. Poi sono andato via con mio fratello a Torino e da queste parti non sono più passato. Si ricorda che venivo a vendere qui?.-
-…Certo che mi ricordo…-
-Comunque ne sono cambiate di cose. Adesso lavoro in una fabbrica; era da tanto che volevo venire a salutarvi e stavolta che mi trovavo a passare da queste parti sono riuscito trovarvi.-
-Bene… sono proprio contenta… grazie Kemir di esser passato.-
-Allora adesso vado. Mia saluti anche suo figlio e la sua famiglia. Arrivederci.-
-Arrivederci Kemir.-
Kemir è un destino che era tornato, una sera di marzo che mia madre era a casa da sola; Kemir è un imbroglio, una truffa, un inganno per una donna che non si fida. Kemir è la delusione di chi si aspettava accoglienza verso un giovane che non vende più accendini e non elemosina più il pranzo.
-Pensi che passerà ancora?-
-No mamma. Credo che non lo rivedremo mai più.-
Mi aveva raccontato tutto appena ero rientrato in casa; era arrabbiata per non aver accolto bene Kemir e forse avrebbe avuto bisogno di aggrapparsi a un filo di speranza, ma non me la sentivo di darle un’illusione. Mi sembrava di sentirli i pensieri di Kemir, a riflettere su come è più facile ricevere la pietà delle persone piuttosto che il loro rispetto. Kemir sapeva di avercela fatta e si aspettava di condividere la sua vittoria con chi aveva contribuito a farlo vincere; si era invece trovato di fronte la paura di chi ha come prima regola la diffidenza verso gli sconosciuti.
-Pensi che Kemir passerà ancora?-
-No mamma. Credo che non lo rivedremo mai più.-
Kemir è una macchina che si allontana dal cortile, mia madre sulla porta, a cercare il passato che riparte.