I racconti del Premio Energheia Europa

Apparenze di Lucile Bloser-Kelkermans

Menzione Premio Energheia Francia 2017

Traduzione a cura di Flavia Ruscigno

1° Episodio

Uscì dalla biblioteca guardando vagamente i suoi piedi, perso nelle pagine del libro che aveva lasciato da poco dietro di lui. Aveva bisogno di svuotare la testa da tutte quelle idee che giravano in lui, ma che non erano le sue. Una volta fuori, gettò uno sguardo fugace alla panchina sulla quale gli piaceva sedersi quando arrivava la notte. Non era libera, era evidente. Era troppo presto o troppo tardi per essere solo. Non gli restava che cercare un luogo non troppo sporco in cui stendere le gambe, tutto gli sarebbe convenuto, pur di essere sufficientemente lontano dagli altri. Quella sera non era di umore conviviale. Si sentiva stanco, stufo, come se i racconti che aveva appena lasciato, avessero portato via un po’ della sua anima con loro. Sospirò e prese il pacchetto di sigarette meccanicamente. Sapeva che questo almeno gli procurava sempre lo stesso sentimento di calma. Non sapeva se era il gesto o il tabacco in sé che aveva questo effetto su di lui ma, per essere sinceri, ora se ne infischiava. Voleva solo bloccare il tamburo che risuonava nella sua testa e che gli dava la sensazione che stesse per esplodere. Guardò volare gli anelli di fumo tutte le volte che tirava. Gli sembrò quasi poetico, in quel momento. Ma scosse la testa, non lo era, non era produttivo, ma che stava facendo? Buttò la sigaretta. Non gli piaceva fumare, non doveva fumare. Perdeva tempo, come sempre. Si arrabbiò con se stesso, rialzandosi, prima di notare una busta a terra, davanti a lui. Come aveva fatto ad arrivare là? Nessuno si era avvicinato a lui da quando si era seduto ed era quasi certo che non era lì quando lui era arrivato. Guardò attorno a sé, per vedere chi avesse potuto lasciar cadere questa busta ma nulla era cambiato, gli altri continuavano a parlare ad alta voce ignorandolo, nessuno aveva l’aria davvero colpevole. Esitò un attimo, la osservò, aveva paura a prenderla. E se il proprietario fosse tonato a prenderla e l’avesse trattato da ladro?… O meglio, era davvero strano che non l’avesse notata prima, lui notava sempre tutto. Forse era stata lasciata lì appositamente per tendergli una trappola? C’era qualcuno che aspettava che si piegasse per raccoglierla per piombagli addosso subito dopo e per umiliarlo davanti agli altri? O peggio, volevano solamente e semplicemente aggredirlo? Era a Parigi, dopo tutto, quel genere di grande città che attira tutto e qualunque cosa… Scosse la testa nuovamente e prese la busta con un movimento deciso. Rifletteva troppo, non doveva farsi dominare dai suoi pensieri paranoici. Attese di ritrovarsi seduto in biblioteca per aprirla. Non era chiusa e conteneva un foglio bianco ripiegato in tre. Al centro del foglio, solo un indirizzo.

2° Episodio

Non riusciva a dormire. Disteso sul letto da diverse ore ma, malgrado i tentativi, il sonno non arrivava. Pensava alla lettera. L’aveva lasciata sulla sua scrivania tornando a casa, rifiutando di porvi attenzione, ma ora ne era ossessionato. Non poteva vederla dal letto, tuttavia sapeva che era lì. Sapeva che era lì, ma aveva voglia di voltar la testa per verificarlo, e questo lo infastidiva. Non era razionale, non era lui. Non sapeva neppure perché non l’avesse gettata, non c’era alcun motivo per conservare questo indirizzo su quel pezzo di carta, visto che non era rivolto a lui. Non contava neppure di andarci. Tuttavia l’aveva presa ed era lì, a provocarlo e ad impedirgli di dormire. Scosse la testa ed ecco che ricominciò, con le sue elucubrazioni, no questa lettera si divertiva a farlo soffrire.

Le lettere non fanno questo. Tuttavia, gli sembrò quasi viva, anche il modo in cui gli era apparsa, aveva qualcosa di strano. Quando l’aveva messa bruscamente in tasca, ma non era riuscito a stropicciarla, come se lei glielo avesse impedito, come se si sentisse troppo bella per essere rovinata, come se sapesse che aveva questo potere su di lui. Aveva camminato fino a casa sua, fingendo di dimenticarla, sperando, forse, che in questo modo sarebbe sparita e che così la sua vita sarebbe ritornata normale. Come se nulla fosse accaduto. Tuttavia, non aveva potuto liberarsene davvero. Ogni tre metri, per l’esattezza, si vedeva mettere la mano nella sua tasca, per toccarla con la punta delle dita e verificare che fosse sempre lì e che non l’aveva persa. Era strano come comportamento per qualcuno come lui. Non gli importava nulla, in fin dei conti, non era neppure indirizzata a lui. Eppure, sembrava che gli bruciassero le dita e gli sembrava che ne prendesse piacere. E questo non era normale. Non poteva toccarla, senza odiare la sua esistenza, e allo stesso tempo aveva bisogno di toccarla per assicurarsi che fosse reale. Chiuse gli occhi sospirando. Aveva fatto tante cose strane da quando l’aveva trovata. L’indomani, l’avrebbe gettata e avrebbe ripreso la sua vita normale, deliziosamente scandita. Ma a quel pensiero gli si stringeva il cuore e si maledisse mentre riapriva gli occhi. Non capiva se stesso. Il suo sguardo fissò allora il soffitto della camera. Con i raggi di luce che filtravano le vecchie persiane poteva facilmente distinguere i listelli di legno.

Allora, il tempo, sembrò fermarsi. Non sapeva da quanto tempo guardava dritto davanti a lui, ma presto si sentì sereno. Come al solito. Le sue idee gli sembravano più chiare ora, si agitava, davvero per niente, era normale che la sua curiosità lo spingesse a cedere e a recarsi a quell’indirizzo, dopo tutto le circostanze in cui aveva trovato la lettera erano comunque strane e chiunque avrebbe avuto le sue stesse reazioni. Sorrise come se tutte le sue angosce fossero dimenticate. Sì, l’indomani sarebbe andato, ne aveva diritto, ma ora doveva dormire. Doveva dormire. Queste parole risuonarono nella sua testa per diverse ore e gli impedirono di trovare vero riposo.

3° Episodio

Uscì dalla metro stringendo il foglio in pugno. Doveva solo attraversare due strade ed era arrivato. Si chiedeva cosa potesse nascondersi dietro il nome di quella via, era l’indirizzo di qualcuno, avrebbe suonato ad uno sconosciuto, con la sola giustificazione: “Ho trovato un foglio con il vostro indirizzo?” Si sarebbe ritrovato tra uomini armati che lo avrebbero derubato in una imboscata, in fondo a una strada? O forse, il numero della strada era semplicemente fasullo e lui stava facendo tutta quella strada per niente. Non sapeva cosa fosse peggio, spiegare a qualcuno che era un voyeur psicopatico, che andava a casa delle persone senza conoscerle e senza alcuna buona ragione o se era meglio farsi aggredire da tizi che sembrano avere il QI di una mezza ostrica, ma che hanno la forza di Ercole, e che ti minacciano con un coltello sporco e arrugginito, che anche se non ti dovessero uccidere sul colpo infilzandolo, ci muori successivamente di tetano, lungo la strada. Sì, magari non di tetano, era vaccinato al tetano, ma dovevano esserci talmente tante malattie mortali che infestano il coltello di un malvivente, che ne sarebbe uscita sicuramente una che lo avrebbe ucciso. Girò a sinistra e continuò a camminare guardando i suoi piedi, sperava di non incontrare nessuno di sua conoscenza e che tutti quelli che avrebbe incrociato, lo avrebbero presto dimenticato… O sarebbero stati incapaci di identificarlo. Ma riflettendoci bene, questo indirizzo non esisteva, era meglio così, così evitava qualunque problema, e anche se avesse dovuto prendere la metropolitana e si fosse ritrovato vicino ad esseri sporchi e loschi, avrebbe sempre potuto fare una doccia, piuttosto che curarsi di tetano. Sollevò gli occhi, era arrivato. Si trovò davanti alla porta aperta di un posto sconosciuto e un uomo con l’aria piuttosto strana e completamente rasato, lo osservava appoggiato al bancone del bar. Non poteva restare immobile così, doveva rientrare, non poteva avviarsi ora. Sì, avrebbe potuto, ma non lo fece, gli era difficile riflettere in queste situazioni e avanzare sarebbe stata l’unica cosa che il suo corpo sarebbe riuscito a fare.

– La serata è giù!”, gli borbottò l’uomo del bar.

Si ritrovò quindi a scendere le scale, a lasciare il suo giubbotto al guardaroba e ad avanzare nel corridoio cupo. Sapeva dove era ora e sfortunatamente non era da uno sconosciuto, né stava per incubare una malattia con un’arma da taglio. No, era in un “bar”. Detestava e aveva sempre detestato questo genere di luoghi. Inoltre, questo, era particolarmente angosciante perché era stato ricavato in ciò che sembravano essere delle catacombe della città. Il soffitto era basso, tanto che per poco non sbatté la testa. Eppure lui non era alto. Gli sembrava di poter sentire le punte dei suoi capelli che sfioravano il soffitto. Qui tutto era composto da pietre e sostenuto da grosse travi di legno. Fece una piccola preghiera affinché esse tenessero, almeno il tempo che lui si tratteneva lì e poi… peggio per gli altri. Non era credente, ma in questo tipo di situazioni, era buono prendere ogni tipo di aiuto. Non si faceva neppure scrupoli. Dopo tutto, doveva esserci molta umidità in questo tipo di posti e il fatto che il bar fosse suddiviso in piccole alcove collegate dai corridoi, non lo calmava affatto. Ciò non lasciava alcuna speranza a qualcuno come lui di mettersi al riparo. Ma se non fosse stato per il luogo, sarebbe quasi riuscito ad abituarsi e ciò nonostante gli sembrava di soffocare ogni volta che passava da una sala all’altra. Ma, in più, ce n’era di gente in questo bar, quanta ce n’era, e praticamente tutti erano travestiti con abiti che ricordavano quelli dei re e dei cavalieri. Da quando era entrato, aveva incrociato due cortigiane con vestiti lunghi che ridevano, lasciando strisciare le loro maniche per terra, aveva rischiato quasi di essere schiacciato da un pirata con una benda sull’occhio che si era piegato su di lui ridendo e sputacchiandogli sul viso. Era stato anche chiamato da un bohémien che voleva leggergli la buona sorte sulle linee della mano. Tutto ciò lo metteva terribilmente a disagio, ora voleva solo scappare. Il suo corpo gli diceva di abbandonare questo riparo di folli nel quale era caduto. Queste persone che festeggiavano, erano tutte dei pericoli potenziali, e potevano in ogni momento girarsi verso di lui e sgozzarlo.

Avevano tutto il necessario a disposizione per poter fare questo o forse stavano per impiccarlo, per rendere la cosa ancora più credibile nel loro gioco da pazzi, offrire al popolo lo spettacolo che chiede. Dovevano avere sicuramente un boia da qualche parte, forse l’uomo che lo aveva accolto al piano superiore, sarebbe stato perfetto.

Ma no, il tempo passava e non succedeva niente, e restava lì piantato ad aspettare che qualcuno lo provocasse. Ma loro, non sembravano neppure portargli attenzione, ridevano tra di loro, come se si conoscessero tutti e lui alla fine era solo una formichina nel formichiere. Non gli piaceva neppure questo, voleva tornare a casa. Guardò l’orologio, erano solo dieci minuti che era lì, non poteva ripartire ora, avevano il suo giubbotto in ostaggio e non era il caso di recuperarlo così in fretta, lo avrebbero guardato male, gli avrebbero chiesto cosa non andasse, perché andava già via e così avrebbe dovuto giustificarsi… No, doveva trattenersi ancora un po’, almeno quarantacinque minuti, altrimenti non avrebbe avuto senso. Si diresse verso il bar per chiedere qualcosa da bere, ma di analcolico, non voleva perdere le sue capacità in un posto come quello poiché, visto il suo fisico e quello della maggior parte degli uomini e delle donne lì presenti, non sarebbe stato di certo il suo fisico a salvarlo. Si sporse per vedere se c’era una carta sul banco, e vista la pulizia del banco stesso decise di ordinare solo un succo di frutta. Non gli interessava neppure sapere se fosse possibile ordinare altro. Una cameriera si avvicinò a lui sorridendo, portava un corsetto marrone su una camicia bianca molto mooolto scollata. Trattenne il sospiro dicendosi che tutte queste persone sembravano non conoscere effettivamente il pudore. O l’igiene. O il saper vivere. Passò il suo ordine e la ragazza ripartì sorridendo e facendo ruotare la gonna dietro il bancone. Iniziò allora ad osservare le decorazioni del bar, giusto per passare il tempo, per dimenticare le persone che spingevano dietro di lui… non avrebbe dovuto. Si potevano notare vari tipi di boccali pieni di ciò che avrebbero dovuto essere un tempo degli esseri viventi. Uno scheletro di delfino, crani di animali erano appesi direttamente al muro. Tutto ciò gli faceva venir voglia di vomitare. Ma erano sicuramente falsi… o no, visto il genere di persone che si trovava qui. Forse andavano tutti assieme a caccia alla fine delle serate e quello che riportava il cadavere più bello, era eletto re dei folli e aveva diritto di scuoiarlo con i denti… ed ecco che ricominciò a delirare, tutte queste persone erano sicuramente gentili, avevano delle passioni diverse dalle sue, chi era lui per giudicare dopo tutto, lui che passava le sue giornate nelle biblioteche per sfuggire al mondo e a maledire tutti coloro che si avvicinavano un po’ troppo… e poi arrivò la ragazza con un gran bicchiere e con il suo sorriso che non si era smorzato, dimenticò subito i suoi bei pensieri. Sperava che avrebbe posato il bicchiere sul bancone, e che avrebbe potuto prenderlo evitando ogni forma di contatto ma no, lei gli tese calorosamente la mano e non sembrava decisa ad abbassare la mano. Inspirò e protese la mano. Trasalì al contatto della pelle delle dita della sconosciuta e si morse le labbra, la sua mano era calda, e solo al pensiero di tutto ciò che aveva probabilmente toccato prima di toccarlo, gli diede la nausea.

In una frazione di secondo, vide tutto, le bottiglie sporche ricoperte di ragnatele, i pezzi di carne cruda per fare gli antipasti, le briciole di pane cadute sul tavolo quando il cuoco si era preparato uno spuntino… tutto ciò aveva toccato il suo dito… poi il contatto finì e si sentì meglio. Guardò la giovane donna negli occhi con l’obiettivo di sorriderle educatamente, ma lei si era già girata verso un altro cliente. Allora guardò la sua mano, si guardò attorno, e si disse che questo posto non faceva proprio per lui. Si allontanò dal bar e andò a sedersi su un sgabello in legno che era stato da poco abbandonato da un uomo su una cinquantina di anni. Che imbecille, un posto come quello si conserva gelosamente, lo si protegge. In ogni caso, non l’avrebbe rivista. Tuttavia, mentre beveva il suo bicchiere dopo aver verificato che era un bel e buono succo di frutta, abbassò lo sguardo e il suo cuore smise di battere. Proprio ai suoi piedi vide una busta identica a quella che aveva trovato il giorno prima. Non voleva crederci, non un’altra volta, lui che pensava di aver finito con quei misteri e quello stress che gli aveva impedito di dormire, non voleva trovare un’altra lettera… d’altronde non l’avrebbe presa. Non ne aveva bisogno, se ne sarebbe andato. E poi nulla diceva che questa lettera avrebbe contenuto anche un indirizzo. Forse non aveva nulla a che vedere con la lettera del giorno prima. Poi, si ricordò dell’uomo che era seduto davanti a lui. Forse era lui dietro a tutto ciò. Ma perché? Non lo conosceva neppure! Doveva capire e doveva chiederglielo, solo così avrebbe potuto sbarazzarsi di questa storia e avrebbe potuto dimenticarla. Sapeva, che se tutto si fermava lì, questa storia non avrebbe mai potuto uscire dal sua mente. Prese allora la lettera, e partì con un passo deciso nella direzione che aveva preso il suo sconosciuto. Ma c’era troppa gente, e siccome andava addosso a tutti quelli che incontrava, gli altri iniziarono a guardarlo male. La formica intrusa era stata individuata. Si ritrovò presto al cento di una stanza che doveva essere la pista da ballo e fece un giro su se stesso per avere una visione d’insieme della sala. Lo scorse dietro un gruppo di ragazze che formavano un cerchio. Cercò di evitarle, come poteva, non senza attirare cattivi apprezzamenti e chiamò l’uomo. Questi si girò verso di lui, con aria sorpresa, come se non sapesse chi fosse e osò anche negare quando lui gli mostrò la lettera. Ma doveva essere lui, non poteva che essere lui, lo aveva ritrovato e doveva dargli spiegazioni. Ma la discussione si animò e l’uomo iniziò a sembrare minaccioso, sembrava pronto a saltargli addosso e ad appenderlo al muro. Allora lasciò perdere, e si diresse verso l’uscita con rabbia, recuperò passando il giubbotto e se ne andò senza guardarsi attorno. La lettera, solo quella aveva conservato. Se ne rese conto soltanto quando arrivò a casa, d’altronde non si ricordava ciò che aveva fatto sulla strada del ritorno. Gli capitava di tanto in tanto e aveva imparato a non preoccuparsene. Una volta che era rientrato a casa, gli importava poco del resto. Si spogliò e si stese sul letto. Se ne doleva per essersi comportato così, non perché aveva importunato uno o due imbecilli, ma perché doveva imparare a controllarsi. Sospirò e prese il pacchetto di sigarette che era sul comodino. Normalmente non fumava in casa, ma quella sera avrebbe fatto un’eccezione, non voleva alzarsi, voleva restare lì a guardare il soffitto, anche se non sapeva veramente perché. Ne portò una alla bocca e la accese. Già alla prima boccata, si sentì meglio. La sensazione del fumo che si accumulava nella gola gli piaceva in modo strano. Espirò e vide la sua camera diventare sempre più nebbiosa man mano che finiva la sigaretta. Se soltanto avesse potuto restare lì… ma, tuttavia, non era così calmo come avrebbe voluto convincersi. La sentiva la lettera, come se lo stesse fissando… si comportava esattamente come l’altra… nonostante fingesse di non prestarci attenzione, ma ora voleva capire. Doveva capire. Tese il braccio e la portò davanti a sé, la guardò senza aprirla. Cosa c’era dentro? Forse niente, forse era vuota questa volta, e quindi non lo avrebbe mai saputo. Questa idea lo irritò e la aprì con maggiore violenza del dovuto, strappando un angolo del foglio che essa conteneva. Somigliava perfettamente alla precedente, stessa carta, stessa tipografia, stesso inchiostro. Solo l’indirizzo era diverso. Non gli piaceva, non poteva essere una coincidenza, qualcuno gliele lasciava intenzionalmente. Erano per lui. Solo che lui non conosceva nessuno, non frequentava nessuno e non aveva nessun amico che avrebbe potuto prendersi gioco di lui in questo modo. Allora chi? E perché? Lo avrebbe scoperto! L’indomani sarebbe andato presso questo nuovo indirizzo e avrebbe ritrovato quello che si prendeva gioco di lui con questa storia e avrebbe messo i puntini sulle i.

Non si sarebbe lasciato soggiogare. Ed è con questa idea che schiacciò il mozzicone contro il muro dietro il suo letto prima di piombare nel sonno.

4° Episodio

Tuttavia, quando al mattino fu risvegliato dalla suoneria del suo telefono, non era più certo di voler andare lì dove gli avevano dato appuntamento. Aveva passato una notte orribile, svegliato più volte da incubi. Inoltre, la fuga del giorno precedente lo aveva lasciato in uno stato in cui non si ritrovava da tanto tempo. Fumare a letto? Doveva essere impazzito, forse gli altri lo avevano contagiato con le loro stupidaggini. Oppure avevano drogato la sua bibita e lui non se n’era accorto! Ma sì, doveva essere così, solo così si spiegava tutto, il suo modo di fare aggressivo, il fatto che era così stanco rientrando a casa, tutto coincideva con l’assunzione di una sostanza illecita. Doveva essere stata quella maledetta cameriera, troppo sorridente per essere sincera, lui lo sapeva. Avrebbe dovuto fare maggiore attenzione, non si sarebbe fatto ingannare due volte. Ed è così che si ritrovò la sera stessa legato da quattro sconosciuti, in una camera immersa nel buio pesto. Tutto era stato molto veloce, inizialmente si era presentato alla reception del palazzo in cui lo aveva condotto l’indirizzo, nella speranza di avere maggiori informazioni sulle lettere misteriose. E poi, Dio sa come, si era ritrovato in una specie di gioco, per lo meno è così che gli avevano presentato la cosa.

– Ah, ci dispiace, ci manca una persona… Ah, ma aspettate, signore, vorrebbe aggiungersi al gruppo? Non pagherebbe nulla… non faccia il timido… Forza, facciamo così, vada verso la sala tre, ci occuperemo di lei.

La sua maledetta incapacità di dire di no, gli aveva giocato ancora una volta dei brutti scherzi… E non era la prima volta! Bisognava davvero che pensasse a risolvere questo problema… ma nell’attesa era necessario che trovasse un mezzo per uscire di là. Guardò le sue mani. Erano solidamente attaccate alla corda e questa lo legava ad altri quattro uomini che erano nella sua stessa situazione. Ma loro, gli sorridevano, questi imbecilli. Da quello che aveva capito, era una specie di gioco. Poi il suo sguardo si illuminò di rabbia. Allora era solo questo, era vittima di una campagna pubblicitaria. Doveva essere stata organizzata di concerto con il bar e questo… posto. Sicuramente era lo stesso genere di pazzi che frequentavano entrambi i luoghi. E poi il fatto che le due lettere si somigliassero così tanto diventava molto più chiaro ora. Sospirò di sollievo e di delusione allo stesso tempo. Si era lasciato trattare come un idiota, e si era tormentato per niente.

– Bene, allora, che facciamo?

La voce gli uscì dai suoi pensieri riportandolo brutalmente alla realtà. Doveva staccarsi. Gli altri iniziarono a sviluppare un piano che gli sembrava di una banalità e di una semplicità sconcertante, ma che ebbe almeno il merito di fargli capire in cosa si era imbarcato. L’obiettivo era di uscire da quel luogo utilizzando degli oggetti che avevano lasciato a loro disposizione e apparentemente ora c’erano dei puzzle e degli enigmi da risolvere. E dire che ci sono persone che spendono i propri soldi per questo genere di futilità quando potrebbero… non sapeva esattamente, avrebbero potuto comprare dei libri, per esempio. O risparmiare per poi… essere responsabili, va! Ma almeno a lui, non gli era costato niente. Ora, doveva uscire di là. Cercava una chiave per aprire il catenaccio che bloccava la corda al centro della stanza. L’uscita era di fronte alla porta semi-aperta. Bastava uscire di là. Nella stanza si trovavano numerosi elementi di decorazione, ma la maggior parte erano certamente inutili per lui. Guardò i quattro uomini che iniziarono ad alzarsi e sbuffò con disprezzo. Non avevano riflettuto abbastanza. Ancora un atto inutile. Ciò nonostante, si alzò. Avrebbe seguito il gruppo, sarebbe stato solo un brutto momento da far passare, e almeno non si sarebbe tirato dietro altri problemi. Forse non gli avrebbero parlato neppure, sarebbe stato l’ideale. Sarebbero riusciti a prendere una scatola che era nascosta dietro tante false monete d’oro e ad aprirla. Soltanto allora si spense la luce, e non poté trattenersi dal gemere. Ed ecco che ora tutti sarebbero andati nel panico, avrebbero tirato su la corda e gli avrebbero fatto male. Sapeva che avrebbero dovuto valutare la scena più a lungo, era evidente che questo genere di cose sarebbe successo. Ma no, bisognava vivere il momento, approfittare… quanto erano stupidi. Infine, dopo diversi minuti di sofferenza fisica e mentale, fu libero e uscì dalla stanza dopo i tre, fissandoli con un’aria cattiva. Strofinò i suoi polsi arrossati dallo sfregamento della corda guardando i piedi per non inciampare su una di queste cose stupide sparse sul pavimento della stanza. Rischiò di non notarla all’inizio, ma era la sola cosa pulita nella stanza, la sola cosa non ricoperta da stupide false ragnatele. Era costretto a vederla, stonava nell’insieme, troneggiando fieramente su una botte che era certamente priva di vino. Una lettera. Ancora! Urlò di rabbia e diede un calcio alla botte che volò contro il muro, facendo un gran fracasso. Non era possibile. Non poteva essere. Se si trattava di un’offerta promozionale, perché ce n’era ancora una qui? Questo lo rendeva folle. E ogni volta che pensava di essersene sbarazzato, ogni volta che pensava di aver capito, ritornava. Perché gli imbecilli prima di lui non l’avevano presa? Ne sarebbe stato liberato. Forse perché era il solo a poterla vedere nella confusione degli oggetti a tema. Il solo a poterla vedere… ma sì, qualcuno si divertiva veramente con lui! Forse qualcuno lo osservava anche in questo momento. Si girò di scatto e sentì dei passi veloci che si dirigevano verso di lui, sicuramente allertati dal rumore. Si piegò velocemente e afferrò la lettera. Non si sarebbe lasciato più prendere in giro. Sarebbe andato a cercare la persona che gli aveva fatto subire tutto ciò, e una volta trovata, gli avrebbe fatto rimpiangere di averlo scelto come vittima.

– Mi scusi, ho inciampato -, mormorò incrociando la giovane donna col passo veloce, prima di uscire, con le mani tremule a causa dell’emozione di cui non si era neppure reso conto.

5° Episodio

Seguendo le indicazioni della lettera, si ritrovò davanti un grande centro commerciale che sicuramente era chiuso, vista l’ora tarda in cui arrivava. Sbraitò e si morse le labbra per rabbia. Era troppo tardi. Tuttavia tutte le altre uscite che l’ignobile sconosciuto gli aveva fissato corrispondevano ai suoi orari. Ci veniva semplicemente dopo aver finito di studiare. Non si faceva problemi. E poi era logico. Se la persona lo conosceva, e che lo conoscesse era evidente, allora doveva preparare le lettere di conseguenza. Lo doveva, altrimenti lui non sarebbe potuto venire. Questa persona voleva che lui venisse. Dunque era necessario che il luogo di incontro fosse aperto quando lui era disponibile, perché sperava bene che questa volta avrebbe incontrato l’imbecille che si divertiva a torturarlo da più di tre giorni. Bisognava che lo fosse… Fu interrotto nelle sue riflessioni da un rumore di un riso femminile. Era acuto e nettamente forzato, chiunque se ne sarebbe reso conto. Gli rompeva i timpani e aveva solo un desiderio, quello di far tacere l’idiota che produceva questo suono insopportabile. Si girò e scorse un gruppo di tre persone. Dovevano essere loro. Si lanciò dunque nella loro direzione, pronto a distruggere quella che lo aveva disturbato nel suo ragionamento. Iniziò a sorridere fissandoli. E dire che erano là, con i loro vestiti di marca e le loro maniere da radical chic parigini, a scherzare ingenuamente, senza sapere ciò che stavano provocando in lui. Detestava le persone di quella specie. Gliela avrebbe fatta pagare per tutto quello che il tipo gli faceva subire. Era sicuramente uno dei due, o qualcuno come loro. Se ne infischiava, non lo sopportava più. Qualcuno doveva pagare… avrebbe presto disincantato questi piccoli presuntuosi, sempre pronti a credersi meglio di lui. Avrebbero pagato… ma improvvisamente si fermò nella sua folle corsa. Pagare? E come? Ci stava pensando? Inspirò profondamente e provò a calmarsi stringendo i pugni, affondando le sue unghie senza prestarvi troppa attenzione, nei suoi palmi. Doveva contenersi. Non doveva più essere cosi. Lui non era più così. Era cambiato, e poteva controllarsi. Riaprì le dita, e vide sangue che colava dalle sue mani. Lui non era più così. Cercò un fazzoletto nelle sue tasche, ma non lo trovò, decise allora di chiederne uno al gruppo che qualche secondo prima aveva ritenuto necessario aggredire, ma questi si erano già rivolti ad un uomo che per la divisa e l’aria austera, doveva essere un vigile. Questi, li osservò per qualche secondo e poi li fece entrare in un corridoio. Era questo dunque, c’era sicuramente qualcosa, lo sconosciuto non l’aveva lasciata cadere. Si mise a sorridere senza sapere perché. Poi ripensò a come erano vestiti gli altri e guardò pietosamente la sua divisa e le sue mani sulle quali il sangue iniziava a coagularsi. Non era come loro, non aveva nessuna chances perché lo lasciassero entrare.

– Chi non risica non rosica -, mormorò tra sé e sé, avanzando nella direzione dell’ingresso.

Doveva sapere chi era dietro tutto ciò ad ogni modo, e poi non era venuto fin qui per niente. Sperava solo che non fosse necessario un invito o un credito speciale per l’ingresso. Dopo tutto non sapeva ciò che poteva esserci dietro quella porta nera. Questo pensiero lo fece fermare. Non lo sapeva. Detestava non saperlo. Generalmente non andava in posti che non conosceva. Ma era da troppo tempo che la sua mente non trovava più riposo, gli sembrava un’eternità da quando non dormiva veramente. Effettivamente dormiva, poco, e non si sentiva riposato, aveva l’impressione di essere chiuso in una bolla di neve che un bambino smuoveva di continuo. Non ne poteva più. Allora, in quel momento, era più importante sapere che essere prudente. Sospirò, dicendosi che morire era certamente più piacevole che vivere se vivere voleva dire trovarsi in un turbinio di incertezze eterne. E poi, si disse con un sorriso smagliante, che se fosse entrato in un edificio top-secret allora magari gli avrebbero cancellato la memoria e il suo problema si sarebbe risolto così. Tuttavia quando si presentò al vigile, questi lo lasciò passare, senza dirgli nulla, e gli mostrò un ascensore alla fine del corridoio, nel quale i radical chic erano entrati qualche minuto prima. Laggiù, un secondo uomo lo aspettava, portava un completo nero e aveva il viso impassibile. Non lo guardava neppure negli occhi. Chiamò l’ascensore senza rivolgergli una parola, ciò che aumentò notevolmente la sua angoscia. Lo aspettavano? Avrebbe incontrato un capo della mafia? Ma perché un tipo così gli avrebbe inviato tutte quelle lettere? Avrebbe potuto semplicemente inviare due dei suoi uomini a prenderlo e a portarlo con la forza. A dire il vero, avrebbe preferito questo alle lettere. Sarebbe stato lo stesso orribile, non bisognava prendersi in giro, ma almeno sarebbe stato più rapido e non avrebbe dovuto attraversare così tutto il calvario che stava attraversando. Poi arrivò l’ascensore, vi salì dopo il segnale della testa fatto dall’uomo in nero, attraversò tre piani, non c’era nessun indicatore luminoso né bottoni come è il caso di solito, ma poteva avvertire le leggere scosse a ogni passaggio di piano. Poi le porte si aprirono su un lungo corridoio bianco e gli sembrò di scorgere l’esterno alla fine. Avanzò senza riflettere, come spinto dal suo istinto. Questo luogo era semplicemente perfetto, si avvicinava la fine, lo sentiva. Non poteva essere diversamente, era giunto il momento. L’angoscia aveva lasciato il posto alla calma e un sorriso si disegnò sul suo viso. Presto sarebbe stato libero, finalmente libero. Spinse con forza la porta di vetro per raggiungere l’esterno e sentire le sue speranze rompersi come tanti bicchieri di cristallo. Nessuno lo stava aspettando per dargli delle spiegazioni. Nessuno era lì per lui. Nessuno. Era soltanto un episodio in più nel gioco sadico del suo boia. Non era ancora la fine. Pertanto, quando il suo sguardo si posò sulla città scintillante come mai l’aveva vista, dimenticò la sua delusione. Poco importava allora chi gli voleva male, la sola cosa che contava era la bellezza splendente che si offriva a lui. Si sentì come ipnotizzato. Si avvicinò al bordo della terrazza e si sentì come ritornare piccolo. Restò alcuni istanti senza muoversi, a dilettarsi dello spettacolo inatteso che questa uscita gli offriva, dopo tutto quello che aveva vissuto negli ultimi giorni, era come un boccata d’aria che si impadroniva del suo corpo. Si sentiva bene. Aveva sempre adorato osservare le cosa dall’alto, non aveva mai avuto l’occasione di osservare la città così. Grazie al tramonto, poteva ancora discernere i contorni dei palazzi, ma la notte che si calava dolcemente gli permetteva di vedere le lucine gialle che fuoriuscivano dagli uffici, ricordandogli che mentre lui era lì, gli altri lavoravano ancora. Si sentì così grande in quell’istante, in confronto a tutte quelle povere persone, che aveva l’impressione di poterle prendere con la punta delle dita e di poterle spostare dove lui voleva. Come un gigante dotato di tutti i poteri e che tutti avrebbero temuto. Avrebbe potuto applicare le sue regole, le sue leggi, e allora il mondo sarebbe diventato perfetto, perfettamente ordinato. Inspirò profondamente sorridendo, e tese il braccio in avanti, come per afferrare un aereo che passava da lontano. Vi era quasi, solo un po’ più avanti… sentì una pressione sgradevole sul suo braccio sinistro e si girò prontamente per vedere chi lo stesse disturbando nella sua ascensione.

– Signore, va tutto bene? Ho creduto che si stesse sentendo male, stava per cadere! -, balbettò un giovane uomo magrolino che portava una camicia bianca, leggermente aperta al collo.

Lo odiò subito. I suoi vestiti curati e di marca, il suo orologio che doveva valere certamente più del palazzo nel quale si trovavano e i suoi capelli “pettinati spettinati”… aveva l’aria dei tipi poco interessanti che si incontrano a iosa in questa città… tutti uguali, usciti dallo stesso stampo, fanno tutti gli stessi scherzi… Disprezzava le persone come lui, semplicemente non lo dimostrava. Liberò allora, bruscamente, il suo braccio prima di indicare a che punto era vicino al parapetto che delimitava la terrazza. Non andava mai così vicino al vuoto, non si sa mai quando sono state fatte le ultime revisioni su questo genere di cose, era meglio non correre il rischio. Ma che ci faceva lì, allora? Si era ancora una volta lasciato trasportare. Ringraziò vagamente il giovane uomo snervante prima di allontanarsi nella direzione del bar. Avrebbe veramente potuto cadere se non lo avesse disturbato? No, sarebbe ritornato in sé come tutte le altre volte. Non era pazzo dopotutto, era solo stanco di non aver avuto un sonno tranquillo da diversi giorni. Sarebbe andato a prendere qualcosa da bere, solo il tempo di consumare qualcosa e di trovare quella maledetta lettera che lo stava sicuramente aspettando da qualche parte e poi sarebbe ritornato a casa sua per riposarsi. Afferrò la carta che giaceva sul bancone e digrignò i denti alla vista dei prezzi. Come si poteva spendere tanto per un semplice cocktail? Poi si ricordò l’orologio dell’uomo che gli aveva “salvato la vita” . E sì, proprio così. Forse non avrebbe potuto prendere nulla effettivamente, dopotutto se ne infischiava, doveva solo ritrovare la lettera e tornare a casa. Si guardò attorno. Poi si alzò per fare il giro della terrazza nella speranza di trovarla nascosta sotto un tavolo o sul davanzale di una finestra, ma niente. Tuttavia doveva essere lì, da qualche parte, non poteva essere diversamente. Il tutto non poteva fermarsi lì, così… aveva bisogno di risposte… si diresse allora verso il barman, e gli chiese un po’ più aggressivamente di come avrebbe voluto, se questi non avesse trovato una lettera.

– Ho di certo qualcosa per lei, ma mi hanno detto di non dargliela se lei non ordina qualcosa.

Imprecò e prese una bottiglietta di acqua minerale. Almeno sarebbe stata chiusa e quindi sicura. Avrebbe sempre potuto berla un giorno… e poi, considerato quanto costava, avrebbe potuto utilizzarla come decorazione a casa sua. Sospirò porgendo i soldi e allora notò che stava tremando. Aveva smesso di tremare da ieri? Non si ricordava più. Non riuscì neppure a fermarsi. Ma presto, la vista della lettera, gli fece dimenticare tutto e la osservò con gli occhi brillanti. Forse era l’ultima, forse aveva le risposte ai suoi interrogativi all’interno? La aprì febbrilmente e sospirò di nuovo, era come tutte le altre. Prese la bottiglia d’acqua e partì con passo deciso verso casa sua.

6° Episodio

Ci era quasi, ma era leggermente in ritardo rispetto all’ora abituale, la sua metro era stata bloccata tra le due stazioni a causa di un imbecille che aveva deciso di suicidarsi giustamente proprio quel giorno, nell’ora in cui lui andava di fretta. Decisamente tutti gli volevano male. Accelerò il passo lungo gli ultimi metri che lo separavano dal suo obiettivo, l’indirizzo. Girò bruscamente a sinistra e si ritrovò su un lungo viale. Ma non c’era niente. Il numero dato non esisteva neppure… era la prima volta che andava così, non era logico… sarebbe finita così? non voleva non comprendere, ne sarebbe morto, ne era certo. Poi scorse un piccolo camioncino attorno al quale si dava da fare un gruppo di persone. Si precipitò in quella direzione e fu accolto da un uomo muscoloso che gli lanciò una borsa tra le braccia.

– Lei è qui per aiutarci? Lei è in ritardo, ma va bene, ci restano ancora alcuni stock, ci sono davvero pochi volontari di questi tempi, il freddo fa scappare tutti. Raggiungerai il gruppo laggiù, se ti sbrighi puoi ancora raggiungerli, ti aggiorneranno loro.

Guardava senza comprendere la borsa che aveva appena ricevuto. Era pesante, che ci poteva essere dentro? In cosa si trovava immischiato questa volta? Se fossero state delle armi, si sarebbe fatto arrestare per complicità, impossibile spiegarlo ai poliziotti “no, ma ero lì perché avevo ricevuto una lettera da uno sconosciuto che mi aveva chiesto di venire, ma non sapevo che…” Essi avrebbero pensato che stavo mentendo e anche se li avesse convinti lo avrebbero comunque internato. Forse avrebbe dovuto pensare lui stesso a farlo, d’altronde, presentato così dubitava sempre di più della sua salute mentale.

  • Lei è qui per aiutarci? Forza, si muova! Vuol finire veramente da solo, lei?

Alzò la testa sentendo la voce dell’uomo muscoloso e di fronte al suo sguardo nero preferì fare ciò che gli aveva detto. Era meglio non giocare con il fuoco, più tardi avrebbe trovato un mezzo per sfuggire a quei trafficanti. Si girò e noto che il gruppo che stava per raggiungere era già lontano, e dovette correre per raggiungerli. Con la borsa tra le mani, gli fu più difficile del previsto e rischiò diverse volte di abbandonare la corsa. Ma se avesse abbandonato ora, non avrebbe mai saputo, e questo gli dava la forza. Quando raggiunse gli altri, li osservò prima di rivolger loro la parola. Non avevano l’aria di essere dei malviventi, c’erano anche delle donne nel gruppo che scherzavano con gli altri. Ma non doveva fidarsi delle apparenze, forse erano delle macchine da guerra allenate ad uccidere sin dalla tenera età… preferì restare quindi silenzioso e si disse che avrebbe improvvisato qualcosa per salvare la pelle quando sarebbe arrivato il momento e se non fosse riuscito, ebbene, sarebbe morto. Dopotutto non era così grave. Ciò lo avrebbe almeno liberato dal tormento causato dalle lettere. Il gruppo si fermò prima di girare in direzione di una piccola strada oscura. Eccoci, era la fine. Sarebbe morto qui, morto senza sapere. Ma la morte non arrivò e camminarono fino ad un uomo che era steso per terra, rivolto verso una bocca di aerazione. Due uomini si piegarono verso di lui per parlargli, poi aprirono le loro borse, gli diedero una coperta e qualcosa che assomigliava vagamente a del cibo. Allora, era questo quello che faceva? Il giro dei senza tetto? Sospirò. Ebbene, non sarebbe morto quella sera. Guardò ancora una volta la gente attorno a lui, alla luce del lampadario. Gli sembravano diversi ora. Avevano chiaramente l’aspetto delle persone che aiutano le persone povere. Un uomo con una barba e dei vestiti troppo vecchi o troppo grandi, una donna con dei dreads tra i capelli e un’aria hippie e tre ragazze un po’ troppo ben vestite per questo genere di uscite e che sembravano dei cerbiatti su un lago gelato sulle loro scarpe con i tacchi… Tutto ciò aveva l’aria di dittatori di buona coscienza che si vantano su alcuni social networks mentre tornano a casa: “Serata impegnativa, è bello aiutare gli altri!”. Detestava questo genere di persone. Facevano tutto questo soltanto per vantarsene con gli altri. Ma buono o meno, come dicevano alcuni, loro almeno li aiutavano. Ad ogni modo lui se ne infischiava di quello che loro facevano, generalmente non li frequentava neppure. Ma lì, lui non aveva altra scelta, doveva sentire quello scambio di frasi fatte e insipide. Avrebbe preferito che si fosse trattato di traffico d’armi, almeno si sarebbe risolto in fretta. Questa coabitazione forzata durò per più di tre ore e presto iniziò a chiedersi se non si era sbagliato. Forse aveva letto male l’indirizzo, o forse c’era qualcosa nella strada che aveva perso… perché lì, lui non aveva visto neppure l’ombra di un lettera. D’altronde, non capiva come qualcuno avrebbe potuto lasciargliene una, non era neppure sicuro che l’itinerario fosse stato già previsto in anticipo… ne faceva un ultimo, solo uno, e poi sarebbe tornato a casa. Non gli interessava ciò che avrebbero detto gli altri. Era stanco, aveva freddo e il giorno seguente si sarebbe alzato presto. Inoltre, i senza tetto, lo disgustavano. Non perché non avevano lavoro o perché chiedevano l’elemosina, ma perché erano sporchi. Erano sporchi da far vomitare… solo uno e poi sarebbe rientrato. Sarebbe ritornato domani per la lettera. E poi se qualcuno le avesse lasciate davvero per lui, avrebbe fatto in modo che potesse trovare la successiva per continuare questo gioco losco… e così lui l’avrebbe incastrato. Si girò per andar via, deciso di non lasciarsi convincere da nessuno. Ora era lui che teneva il gioco. Sentì gli sguardi interdetti degli altri alle sue spalle, ma se ne infischiò, non valeva la pena perdere ulteriore tempo per parlargliene. Tuttavia, sulla strada del ritorno, si guardò più volte alle spalle per vedere se qualcuno lo stesse seguendo.

7° Episodio

Le sei. Decise infine di alzarsi. Non aveva praticamente dormito per tutta la notte, incapace di far tacere l’angoscia che urlava dentro di lui. Non avrebbe dovuto andarsene così presto ieri, avrebbe dovuto aspettare la lettera. Si sentiva quasi colpevole, come se avesse tradito la persona con la quale giocava da una settimana. Non aveva seguito le regole e ora era solo. Solo. Questa parola risuonò nella sua testa e un sorriso deformò il suo volto. Ma sì, era finalmente da solo! Restò alcuni secondi a guardare il soffitto sopra di lui senza muoversi, solo per approfittare del sentimento di soddisfazione che saliva in lui. Si era liberato di tutto, era finita. Non aveva bisogno di ritornare nelle stradine losche che aveva dovuto attraversare ieri. In realtà non doveva ritornarci, lui meritava di più. Valeva molto di più della persona che gli faceva subire tutto ciò. Si alzò sempre sorridendo e si diresse verso la macchinetta del caffè. Il rumore abituale del motore gli ricordò quel periodo in cui non aveva ancora alcun pensiero, e gli sembrò così lontano. Aveva l’impressione che fossero anni che non riusciva più a trascorrere una notte serena. Prese la tazza e iniziò a bere il caffè. Gli bruciò la gola, ma questo non lo spaventò, quel caffè aveva il sapore della libertà. Guardando il fondo della tazza, si chiese perché fosse stato tanto ossessionato da questa storia, perché aveva seguito il gioco del suo boia, perché si era inflitto tutto ciò… non lo sapeva. Queste domande gli fecero venire un mal di testa… ad ogni modo, non aveva bisogno di saperlo, ciò non era più importante… allora perché aveva ancora un nodo alla gola? Poi, all’improvviso, si fermò. Sapeva cosa non andava, mancava qualcosa, qualcosa di circostanza, non era un giorno come gli altri, quella mattina era speciale dopo tutto. Mise velocemente il cappotto e andò verso la porta. Sarebbe uscito e sarebbe andato a prendere un croissant, lui che non lo faceva mai. Ma no, non era sufficiente, voleva di più… una brioche al cioccolato, sì, per una volta! Dopotutto se non lo avesse fatto oggi, non lo avrebbe fatto più… In circostanze eccezionali, colazione eccezionale! Mormorò a se stesso, senza rendersene conto. Si mise anche a fischiare prendendo le chiavi. Forse era da dieci anni che non fischiava, e dopo questa riflessione, pensò che non era dopo tutto una buona idea, era da idioti fischiare. Scosse la testa ed entrò con passo deciso. Sentì allora il rumore di un foglio che si stropicciava.

8° Episodio

Vi era quasi! Era il momento! Poteva scorgerlo alla fine della strada! La sua liberazione. Volle accelerare il passo, ma andava già troppo veloce. Quando si era messo a correre? non se ne ricordava. Non aveva importanza. Niente più aveva importanza, eccetto l’appuntamento che gli avevano fissato. Questa volta, era l’ultima, era questo che era stato indicato. E se era scritto, allora doveva essere vero. Si aggrappava a questa idea senza poter pensare ad altro. Si fermò davanti alla porta e osservò per qualche istante la vetrina. Era in condizioni pietose. I capelli erano sparati dalla corsa, la camicia era per metà nei pantaloni, l’altra metà fuori pendolava negligentemente sulla sua coscia. Portava calze di colore differente che il suo pantalone, troppo corto, lasciava vedere. Quella mattina, non aveva fatto attenzione nel vestirsi. Non era da lui, non sembrava lui, e questo aumentò il suo odio. Quello che questa persona aveva fatto di lui… la odiava, lui si odiava. Strinse i denti e tese la mano verso la maniglia della porta. Tremò. Era la fine.

9° Episodio

  • Mamma, mamma, perché dorme in mezzo al negozio il signore? E perché fa quella smorfia, ha un incubo?

Sua madre gli mise la mano davanti agli occhi e lo rimproverò. Lei gli aveva chiesto di restare nella stanza accanto quella in cui si trovavano i libri per l’infanzia. Sarebbe tornata a prenderlo presto, non doveva agitarsi, doveva solo restare buono. Si girò e partì trascinando i piedi. Comunque era strano quell’uomo, lo aveva notato sin da quando era entrato nella libreria, sembrava un po’ ritardato e aveva urtato un po’ tutti. Aveva parlato al signore che vende i libri mostrando un sacco di pezzetti di carta e innervosendosi con il venditore che non capiva niente. Dopo, lui, ne aveva raccolto uno, ma sopra non c’era niente, era tutto bianco. Era strano anche perché proprio prima di cadere, il signore aveva visto quei fogli e aveva avuto molta paura! Aveva gridato ancora più forte e poi pouf, era caduto e si era addormentato con gli occhi spalancati. Era la prima volta che Thomas vedeva tutto ciò.

Emile, lui, fissava il soffitto della biblioteca, vedeva solo i listelli di legno che si incastravano perfettamente, il resto sembrava come lontano. Non sapeva dove si trovava, non sapeva ciò che accadeva attorno a lui ma, questo, non aveva importanza. Non esisteva più, esistevano solo i listelli di legno. E questo gli procurava uno strano sentimento di tranquillità. Lui conosceva questa sensazione, l’aveva già vissuta. Si ricordava da piccolo, quando era steso nel suo letto e guardava il soffitto della camera. Era felice allora, lo stress era scomparso e non esisteva nessuno che potesse sorvegliarlo, era solo lui e la sua vita che passava lentamente. Si sentiva bene. Si rivide inseguito sul pavimento del suo appartamento, quando tornava a casa la sera, e ritrovava la calma e l’ordine della sua vita, quella che lui aveva scelto. Era felice anche allora. E ora ritrovava infine quel sentimento di pienezza, forse era questo, quello che avrebbe dovuto fare della sua vita? Guardare un soffitto fatto di listelli di legno. Era così semplice. Voleva restare qui, sentire quel sentimento di calma e di felicità per sempre. Allora, impresse l’immagine del soffitto e dei suoi listelli nella mente e chiuse gli occhi. Avrebbe conservato quest’immagine per sempre, la pace.

La mamma di Thomas ritornò a prenderlo e lo tirò evitando accuratamente di toccare il corpo che era steso per terra.

– Mamma, dimmi, perché ha fatto così quel signore?

– È matto, piccolo mio, è così!

Epilogo

Lei lo guardava, con i gomiti appoggiati ad una mensola della libreria, con le labbra che si torcevano in una smorfia ferina. Nessuno poteva dire ciò che faceva in piedi laggiù. Nessuno poteva dire da quanto tempo fosse là. In realtà, nessuno l’aveva notata nell’agitazione generale che aveva invaso la piccola libreria dopo l’incidente. Lei, non si muoveva, non sembrava né nel panico né spaventata, era lì ferma a fissare l’uomo steso a terra, e sempre senza smettere di sorridere. Finalmente andò verso di lui facendo sbattere i tacchi sul pavimento, con un passo pieno di fierezza. E mentre camminava, tirò dalla tasca un pezzo di carta che avvicinò alle sue labbra. Giunta alla sua altezza, si fermò per qualche secondo, si piegò verso di lui sorridendo e lasciò cadere il pezzo di carta. Gli aveva lasciato il segno rosso di un bacio, e sotto quello, si poteva leggere un indirizzo.