Arriverà ieri, Jana Rajh Plohl
Menzione Premio Energheia Slovenia 2023
Traduzione a cura di Nicolas Brunot e Chiara Santambrogio
Aveva raggiunto l’età in cui ci si inizia a rendere conto dei fili intrecciati che uniscono le persone. La sua concezione del Sé era confusa, come un bambino in cui s’insinua per la prima volta l’età adulta. Desiderava così tanto ritrovare pace che decise di far visita a sua nonna dopo tanto tempo. Le mancava essere legata al ritmo delle faccende quotidiane. Così vicino, eppure incredibilmente lontano, ecco come le sembrava il mondo in cui viveva.
A volte la nonna parlava in terza persona, una sorta di super-io, cosa che, da bambina, lei percepiva come se stesse annunciando una rivelazione ad altri ascoltatori immaginari. La transizione verso questa strana lingua era stata lenta, ma notò che era accaduto nel periodo in cui aveva iniziato a confondere il suo nome con quello della figlia, ovvero sua madre. Lo sbiadirsi dei ricordi aveva innescato il desiderio istintivo di preservarli. Pur dovendone ricostruire alcuni da sola partendo da frammenti sconnessi, le pareva comunque sensato sfruttare al massimo il tempo rimasto con lei. Arrivò alla modesta casetta con accanto un fienile abbandonato e trovò un biglietto attaccato alla porta d’ingresso, chiusa a chiave, che diceva: “sono al cimitero, torno presto”. Letto il messaggio, per prima cosa si recò nel giardino che cresceva dietro la casa. Selvaggio, incolto, colorato, libero. Uno stormo giocoso di passerotti era appena volato via cinguettando, sulla chioma di un vecchio ciliegio. Si sistemò su una sedia di ferro arrugginita, ma pur sempre bella, e si appisolò. Il lungo viaggio la fece sprofondare nel sonno. Era già pomeriggio inoltrato quando si svegliò. Il messaggio sulla porta, ora socchiusa, era sparito e dalla finestra proveniva una luce calda.
Quando entrò, la nonna stava completando il cruciverba che da tempo usava per tenere la mente allenata. Con cura annotava le parole sconosciute a margine, confidando che si sarebbero depositate nel suo labirinto interiore. Ma, mentre rileggeva le espressioni appena fissate, accadde qualcosa di inaspettato: lesse una frase e, in un batter d’occhio, il suo significato svanì. I suoi secondi sembravano intrappolati in un cerchio, il tempo li annodava. Sentiva che stava sperimentando l’ignoto e la cosa la fece rabbrividire più volte. Le parole, una volta scritte, divenivano solo lettere – e queste lettere divenivano scarabocchi e bastoncini.
Dopo aver salutato, la nipote osservò la nonna che fissava il cruciverba. Capì che vivevano su linee temporali diverse. Mentre il suo tempo scorreva lungo il letto ripido di un fiume, alla ricerca degli affluenti che si diramavano, quello della nonna scivolava via, per raccogliersi in una pozzanghera. Per questo era venuta: voleva provare la tranquillità di una superficie calma. Quando la nonna vide la nipote, il suo volto indossò una maschera di sincera felicità. Ai suoi occhi era arrivata senza preavviso, ma finse che la visita fosse stata naturalmente programmata.
L’accompagnò in camera, dove, su un letto ormai troppo corto, l’aspettavano le lenzuola della sua infanzia. Si sentiva ancora lo stesso inconfondibile odore che le ricordava una spensierata giornata di fine primavera. Neanche sotto il letto era cambiato granché: c’erano ancora contenitori di vecchi giocattoli, pastelli e altri giochi creativi. Alcuni erano addirittura della madre. Nuovo elemento nella stanza era la cassettiera, che prima occupava il posto nel disimpegno. Chiese come mai l’avesse spostata nella stanza. La nonna rispose che era diventata pericolosa per lei, perché rinchiudeva un mondo di ricordi ormai troppo opprimente. Se non l’avesse vista ogni giorno i cassetti sarebbero rimasti serrati, e non avrebbero schiavizzato il suo silenzio. Aggiunse che era libera di farne ciò che voleva, cosa di cui la ragazza fu grata. In questi cassetti poteva nascondersi qualunque cosa, ma questo «qualunque», anche se insignificante, le avrebbe permesso, per qualche istante, di indossare la pelle di qualcun altro.
L’anziana se ne andò in cucina, e, per curiosità, la giovane aprì il primo cassetto. Poi il secondo. Poi il terzo. La nonna preparò un caffellatte e si sedettero insieme al tavolo in giardino. Una piacevole brezza scese sul terreno inumidendo l’erba e avvolgendo il crepuscolo. Le stelle iniziarono a illuminare il cielo e la notte fu rischiarata dalla rotonda luna. Anche le lucciole illuminavano il giardino, come costellazioni terrestri.
“Oggi è piena. Lo senti? Il sangue sta salendo”, disse la nonna, toccandosi la fronte. La ragazza si ricordò di quando la nonna aveva due mucche, Liska e Belka. Erano proprietarie di un modesto fienile, con una soffitta per conservare il fieno.
Proprio nei periodi di luna piena, muggivano continuamente. Si ricordò di come sua nonna pensasse che qualcuno volesse far loro del male, ma la mattina seguente stavano sempre bene. All’epoca, quando era ancora bambina e giocava a rincorrersi con i figli dei vicini, si era arrampicata sulla scala del fienile e uno dei bambini l’aveva scossa per gioco. La scossa era stata troppo forte e lei aveva sbattuto la testa sul duro pavimento. Non ricordava cosa fosse successo dopo l’accaduto, poiché era rimasta incosciente per diversi giorni. Si ricordava però il confuso lamento delle mucche dopo la caduta – come quello dei giorni di luna piena. Per molto tempo aveva avuto paura di rivivere quella sensazione tornando lì. Forse era per questo che era stata via così tanto? Da quel momento in poi aveva sofferto di vertigini, o meglio, non si era più fidata delle altezze. Anche affacciandosi a una finestra, aveva la sensazione di poter essere spinta da una forza incontrollabile, spaventosa.
Chiese alla nonna se si ricordasse di quel giorno, visto che fu lei a trovarla. La nonna annuì, dicendo che si ricordava solo delle mucche, ma non del loro lamentarsi. La ragazza chiese cosa ricordasse meglio ultimamente. La nonna affermò che si trattava delle canzoni di suo padre. Ce n’erano tante, di cui molte scritte in un canzoniere. «Ne scrisse una anche sulle lucciole:
Piccola Lucciola, lucciola mia,
Ti amo più di ogni fiore che sboccia,
Perché ti nascondi, perché fai così
Che solo di notte brilli nella magica oscurità?”
Quando la sentì canticchiare con una tale felicità, la ragazza ebbe la sensazione che fosse rinchiuso nel canzoniere un tesoro dimenticato. Anche se la canzone non era un capolavoro, il tesoro si nascondeva nel modo in cui era cantata. Le semplici parole che dirigevano la rauca voce divennero qualcosa di più, erano come quella calma pozzanghera che dava il ritmo all’esistenza della nonna. I giorni successivi passarono con tranquillità. Ogni nuovo giorno era un ricalco del precedente, differendo solo in minimi dettagli. Verso la fine dell’anno, la ragazza chiese da quanto tempo pensava che fosse lì con lei. La nonna fu sorpresa dalla domanda, poiché pensava che fosse arrivata solo oggi. Sorseggiavano del caffellatte. La nonna le raccontò di una canzone scritta dal suo bisnonno. Andò a cercare nella cassettiera, nella stanza dove alloggiava la nipote e tornò con un libricino. Dopo aver letto una o due canzoni, si ricordò delle melodie composte con suo padre. Iniziò a canticchiarne una e la nipote cantò insieme a lei. Fu sorpresa: era sicura che a conoscere la melodia fossero solo lei e suo padre, che l’avevano composta. La nipote però non conosceva solo questa melodia, ma anche molte altre nascoste nel canzoniere. Quel giorno la ragazza frugò nei cassetti e trovò dei vecchi stencil per dipingere le pareti. Chiese alla nonna se le sarebbe piaciuto decorare una delle pareti con dei fiori. La nonna annuì e iniziò a stendere gli stencil e i colori sulla superficie bianca. Lentamente, nel corso delle settimane, la parete si tinse foglia dopo foglia. Tuttavia, i fiori non erano sistemati in modo ordinato, bensì erano disposti sul muro in ordine sparso e confuso, come pezzi di un mosaico rotto.
Un mosaico rotto. Questo è ciò che provò la ragazza, cercando di capire dove stesse andando la mente della nonna, prosciugandosi. Un mosaico come un insieme di tessere coerenti che si sviluppano in una totalità: la vita. Sebbene i pezzi possano sembrare anonimi e privi di significato prima di essere disposti, finiscono per formare un’unica immagine.
Il mosaico rotto annuncia l’imprevedibile tragedia della distruzione dell’insieme, una volta integro. Chiunque potrebbe aver vissuto un’esperienza simile ricordando, al risveglio, pezzi sconnessi di sogni diversi. Anche la ragazza sognò. Nel sogno si immaginò di salire delle scale invase dalla vegetazione, ascoltando le voci echeggianti di parole sconosciute, forse persino i propri pensieri intraducibili, tra i muri di pietra circostanti. Sentiva ogni passo più pesante, l’ultimo gradino la trattenne con maggiore forza. Alla fine, arrivò a una porta identica a quella della nonna. Quando entrò nel mondo dei sogni, si ritrovò in una fantastica riproduzione della realtà. I fiori dipinti a grana fine, iniziati dalla nonna, erano germogliati e si erano ramificati lungo la parete. Avevano preso vita, emanavano un inebriante e variegato profumo, chiedendo di essere respirati. Erano come un unico corpo sinuoso, che rispondeva delicatamente ai movimenti della sua mano. Sentì una caleidoscopica varietà di colori riflettersi nei suoi occhi stupiti. Desiderava trovare sua nonna, ma tutto ciò che riusciva a trovare erano passerotti congelati in giardino e fumanti tazze di caffellatte. Fece ritorno alla parete dei fiori e si abbandonò lentamente al loro profumo. Vi immerse il viso e lasciò che i petali le sfiorassero le guance. La profondità al di là della coltre di vegetazione nascondeva un’oscurità in cui scrosciava un liquido schiumoso. Conosceva quell’odore: era latte. La potenza del flusso lo fece ribollire e iniziò a filtrare attraverso i margini dei fiori.
Il fiume di latte spingeva talmente forte che la fece scivolare e, cadendo nel liquido, sentì il suo corpo vacillare.
Si svegliò avvolta in una singolare oscurità, che premeva il suo corpo contro il letto. Provò una forte sensazione di cadere nel vuoto, cercò di muoversi e di liberarsi dalle catene invisibili, ma le sue membra non cedettero al suo volere. Strinse le palpebre per vedere meglio, ma, ai suoi occhi, la stanza era avvolta da un denso fumo. Avvertì un’ombra che si muoveva. Udì il crepitio delle fiamme e respirò il fumo della carta bruciata. Cercando di distinguere delle forme attraverso il fumo vide la nonna chinata su un piccolo fuoco, mentre alimentava le fiamme con le pagine del canzoniere.
Sentì un dolore al petto quando si rese conto che la sua incapacità di muoversi si era trasformata anche in incapacità di parlare. Tentò di urlare, ma la sua bocca rimase chiusa e la gola le sembrò come cucita.
La mattina dopo, la nipote non aveva ben chiaro quale fosse il confine tra il sogno e la veglia durante la notte precedente. L’unica cosa che notò fu l’assenza del canzoniere, che la nonna aveva messo sulla cassettiera il giorno prima. Per assicurarsene, decise che glielo avrebbe chiesto al momento opportuno. Mentre sedevano insieme in giardino, circondate da fiori, bevendo il solito caffellatte, la nipote accennò con cautela all’oggetto perduto.
Esaminò più da vicino il volto della nonna, alla ricerca di segni di disagio. Il volto rugoso rimase impassibile. Chissà cosa succederebbe, se la ragazza si lamentasse di sentirsi triste per il fatto che le canzoni potrebbero andare perse per sempre. Gli occhi della nonna si oscurarono e il dolore le attraversò il viso.
Rimasero in silenzio per un momento. La ragazza sentì la pressione e afferrò la mano della nonna. Qualcosa non quadrava. La pelle della nonna era fredda e alienata. Confusa e timorosa che tutto fosse solo frutto della sua immaginazione, chiese alla nonna se stesse bene. La nonna non rispose. La guardò da vicino e fissò i suoi occhi vuoti. I passeri del giardino erano congelati nel tempo e i fiori cominciavano a emanare un profumo ancora più inebriante. Percepì il proprio battito cardiaco, quando si rese conto, che stava tenendo la mano di un cadavere.