Austerità globale, 5,8 miliardi i colpiti
_di Andrea Baranes_
L’austerità e i tagli alla spesa pubblica non colpiscono solo l’Europa, sono diventate la regola nella maggior parte dei paesi del mondo, toccano 5,8 miliardi di persone. I più colpiti sono sempre i più deboli.
Nel dibattito degli ultimi mesi spesso sembra che le politiche di austerità siano prerogative dell’Unione europea. È vero che le istituzioni europee e la Troika (Commissione europea, Bce e Fmi) si sono contraddistinte per una visione a senso unico della crisi e soprattutto di come uscirne: diversi Paesi europei sono “indisciplinati”, hanno speso troppo per welfare stato sociale e devono ora rimettere a posto i propri conti pubblici, pena l’insindacabile condanna dei mercati finanziari.
È però altrettanto vero, per quanto meno noto, che la situazione non è certo limitata all’Europa. Di fatto molte delle misure più dure sono state approvate nei Paesi del Sud del mondo. Secondo dati del Fondo Monetario Internazionale, nel 2013 ben 119 Paesi del mondo passeranno attraverso un qualche “aggiustamento” della loro spesa pubblica. Nel 2014 il numero di Paesi coinvolti dovrebbe salire a 131, e il trend dovrebbe continuare almeno fino al 2016.
È quanto emerge da uno studio appena pubblicato dall’Initiative for Policy Dialogue della Columbia University in collaborazione con il South Centre: “The Age of Austerity – A Review of Public Expenditures Adjustment Measures in 181 Countries” (l’era dell’austerità – uno studio delle politiche di aggiustamento della spesa pubblica in 181 Paesi).[1]
La ricerca esamina i dati dell’Fmi per 181 nazioni, mettendo a confronto quattro periodi: 2005-2007 (pre-crisi), 2008-2009 (prima fase della crisi ed espansione fiscale), 2010-2012 (seconda fase della crisi e contrazione fiscale), 2013-2015 (terza fase della crisi e intensificazione della contrazione fiscale). Sono inoltre stati esaminati 314 rapporti-Paese dello stesso Fmi (relativi a 174 Paesi) per identificare i principali aggiustamenti presi in considerazione sia nel Nord sia nel Sud del mondo.
L’austerità potrebbe riguardare circa l’80% della popolazione globale nel 2013, ovvero circa 5,8 miliardi di persone. Riguardo le misure adottate tra il 2010 e il 2013 le più diffuse sono l’eliminazione o la riduzione dei sussidi e degli aiuti, in particolare su agricoltura e cibo (in 100 Paesi); la riduzione dei salari, a partire da quelli nell’istruzione, la sanità e altri settori pubblici (98 Paesi); la diminuzione delle reti e delle misure di protezione sociale (80 Paesi); una riforma delle pensioni (86 Paesi); dei tagli alla sanità pubblica (37 Paesi); una maggiore flessibilità per i lavoratori (in 32 Paesi).
Come se queste misure non fossero sufficienti, lo studio ricorda come diversi governi ne abbiano adottate anche diverse altre, con pesanti ricadute, soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione. È il caso di politiche fiscali regressive come l’aumento dell’Iva o di iniziative simili e che pesano in maniera sproporzionata sulle fasce più povere (questo è accaduto in 94 Paesi).
Nell’ultima parte della ricerca si mette in discussione tanto l’equità quanto la validità di tali decisioni, affrontando la questione da diversi punti di vista: la tempistica, lo scopo che si voleva perseguire, l’intensità delle misure adottate, la loro efficacia dal punto di vista macroeconomico rispetto al costo sociale. Il risultato è prevedibile. Le conseguenze sono state e rischiano di essere ancora di più nel prossimo futuro un aumento della disoccupazione, una maggiore povertà, un aumento delle disuguaglianze. I costi dell’aggiustamento sono scaricati sui settori più deboli, con meno tutele sul lavoro.
In poche parole, a fronte di una crisi causata da una finanza ipertrofica e fuori dal mondo, il costo della “ripresa” è pagato quasi interamente dai più poveri e meno tutelati. E al momento di “ripresa”, in particolare proprio per queste fasce della popolazione, nemmeno l’ombra.[2]
[1] Disponibile all’indirizzo: http://policydialogue.org/files/publications/Age_of_Austerity_Ortiz_and_Cummins.pdf
[2] Per maggiori informazioni: Social Justice Program dell’Initiative for Policy Dialogue alla Columbia University: http://policydialogue.org/programs/taskforces/global_social_justice/