Autobiografia semiseria di un fisico controcorrente, Matteo Olivieri_San Benedetto del Tronto(AP)
Racconto finalista Premio Energheia 2020_XXVI edizione – sezione giovani
“L’obiettivo della scienza è quello di smontare pregiudizi che essa stessa crea”.
Questo era ciò che pensava M. O. mentre si dirigeva verso la sala conferenze. Per la grande occasione, quella mattina si era concesso un croissant alla crema inzuppato nel latte caldo. Perché proprio il latte? Beh, M. O. non aveva mai gradito il caffè che, secondo lui, serve solo per rimanere svegli, obiettivo raggiungibile grazie ad una buona dormita, alla quale non rinunciava mai. Era altresì abituato alle occhiate storte di tutti quei baristi avvezzi al banale “un cappuccino con la panna, grazie”. Comunque, finita la colazione, si era recato in camera da letto, si era scelto i migliori vestiti che aveva, NON si era pettinato i ribelli capelli bruni – anche se li avrebbe voluti lisci e non “à la Einstein” -, aveva baciato la moglie e i figli ed era salito in macchina. In radio ascoltava le canzoni inglesi degli anni ’70. Era uno abbastanza vecchio stile. Così, canticchiando sommessamente sulle note di Bohemian Rhapsody e apprezzando l’emozionante assolo di Brian May, era arrivato a destinazione.
La sala-conferenze era gremita: forse erano presenti più di mille persone, tutte strette tra loro, che parlottavano ad alta voce. Cinque continenti racchiusi in una singola stanza: è incredibile quanto la sete di “virtute e canoscenza” riesca ad unire il genere umano! Molto suggestivo era anche il susseguirsi di voci parlanti lingue differenti, il cui risultato era un frullato di parole ruvide e melodiose, “r” mosce, “h” aspirate e dialetti inventati accompagnati da gesti grotteschi per farsi capire dagli altri. Tuttavia M. O. non si curava di tutto ciò: ah, quanto avrebbe voluto potersene curare! Sentiva solo la sua voce, la sua voce interiore, che ripeteva il discorso a macchinetta, a pappagallo, come quei suoi ex-compagni di scuola che non avevano un buon metodo di studio. Ora capiva cos’era che li rendeva quasi degli automi: l’ansia. Lui era stato sempre coraggioso di fronte alle platee, ma ora era diverso: il suo intervento precedeva l’annuncio di una grande scoperta e DOVEVA fare bella figura. Di fronte al mondo intero.
Tutt’a un tratto, venne chiamato sul palco. Con il sudore alle mani, la gola secca e tanta voglia di fare bella figura, si avvicinò alla postazione. Sistemò il microfono, si avvicinò, pose gli appunti davanti a sé.
“Buongiorno!” esordì. Sentendo finalmente la sua voce e capendo che aveva l’attenzione generale, continuò:
“Non sono qui oggi per parlarvi di quello che vi aspettate. Non vi parlerò degli ultimi progressi della scienza, dei progetti futuri. No. Vi racconterò una storia, la mia storia. In fondo credo che la scienza sia piena di storie, e che la scienza e la storia siano collegate, in qualche modo.” M. O. ora stracciava il foglietto di appunti ormai ridotto a carta velina. I presenti si guardavano l’un l’altro increduli e imbarazzati.
“Ebbene, sin da bambino, ho sempre avuto una curiosità irrefrenabile. Volevo sapere tutto! Ah, beata infanzia! Ora so che l’uomo non può sapere tutto, ma che di ogni cosa deve essere curioso. Immagino ricordiate Odisseo, l’eroe greco che voleva divenir del mondo esperto. Beh, secondo un poeta di nome Dante, gli dei lo hanno punito, facendolo annegare. Ecco, noi non possiamo annegare nel sapere, è un nostro limite e dobbiamo accettarlo. Comunque sia, da ragazzo questa passione per la conoscenza si tramutò in piacere nell’andare a scuola. Chi fa lo scienziato prova la stessa emozione: un dovere come il lavoro diventa passione e svago! Al liceo ho avuto anche la fortuna di conoscere compagni e professori fantastici, che mi hanno molto aiutato a diventare ciò che sono. Quindi rivolgo loro un grazie, d’altronde, so che mi stanno guardando, chi non mi guarderebbe?! Scherzi a parte, i professori mi hanno insegnato che niente è inutile e ogni campo del sapere è collegato: l’arte, la religione, la storia, le lingue, la scienza, le nostre vite quotidiane. Così, dopo cinque anni di esperienze fantastiche, mi sono presentato alla Facoltà di Fisica. Quel mondo così grande e frenetico dapprima mi ha spaventato: lezioni-esami, lezioni-esami, lezioni-progetti, lezioni-esami. Poi mi sono abituato, ho visto il bello della situazione: finalmente potevo dedicare tutte le mie energie alla mia passione più grande: la fisica. Non ci misi molto ad ambientarmi e a fare amicizia, anche se mi risultò più difficile interpretare le piantine degli autobus che risolvere dei complessi esercizi sulla termodinamica! Nei compagni trovai la mia stessa voglia di mettermi in gioco e anche uno stimolo in più di sana competizione: penso che siano stati fino ad ora gli anni più belli della mia vita. Lì ho conosciuto anche mia moglie, una persona splendida, e vorrei ringraziarla per tutte le volte che mi è stata vicino con la sua intelligenza e cordialità. Se sono qui è anche merito suo, quindi, grazie a te!
Alla fine, dunque, del mio percorso scolastico, ho capito due cose: la prima era che nella vita avrei fatto lo scienziato, ma che non mi sarei mai scordato della cultura umanistica dalla quale vengo e che mi è stata impartita; la seconda era che gli adulti, e gli insegnanti in gran parte, mi hanno aiutato a formarmi, e che senza di loro nessuno sarebbe ciò che è. I buoni maestri non sono affatto i mostri tanto temuti dai ragazzi, sono dei ponti che portano dalla superficialità infantile al buonsenso dell’età adulta. Come potrete ben capire, nutrivo grandi aspettative verso il mondo dei “grandi”, ma poi mi sono imbattuto in lui: un matematico scontroso e pieno di sé, ma talmente tanto che mi ha fatto dubitare che avesse studiato davvero matematica: come può una cosa così bella appartenere ad una persona così chiusa? Poi conobbi la risposta: non credeva in Dio. Lui iniziò a blaterare: “No, no, no! Non è possibile che uno scienziato non sia ateo!” e io,
“Perché no? Non mi sembra che ci sia qualcosa di male!”
“Non mi sembra che ci sia qualcosa di male? E come la mettiamo con tutti quei dogmi, quei credo e quei miracoli ideati solo per fare propaganda alla Chiesa?”
“Primo: perché la Chiesa dovrebbe farsi propaganda? Secondo: lei è un matematico, vero?”
“Certo che lo sono, con una cattedra all’Università di Princeton, la stessa nella quale insegnò un certo Albert Einstein!”
“Allora suppongo lei sappia cosa c’è alla base della geometria euclidea e dell’aritmetica…”
“Si figuri se non lo so! Anche un ragazzino brufoloso di primo liceo sa che alla base della matematica elementare ci sono gli assiomi!”
“E sarebbe così gentile da ricordarmi che cosa sono?”
“Facile anche questo! Gli assiomi sono delle verità talmente ovvie da risultare inconfutabili, ergo, non c’è bisogno di dimostrare la loro validità!”
“Ecco: vede? Nella matematica, come nella religione, ci sono dei “dogmi” inconfutabili perché ovvi! Senza di essi, tutto è opinione! Quindi, siccome la matematica è autorevole proprio grazie a verità assolute, anche la religione lo è, basta crederci, come basta credere nella potenza di questa cosa astrusa chiamata matematica! C.V.D.! Come volevasi dimostrare, signor Einstein! Ah, quasi dimenticavo! Faccia un piccolo passo indietro e ripassi la matematica dei “ragazzini brufolosi”: pare che almeno loro credano in Dio più di lei!”
E me ne andai: non era degno della mia attenzione, io che vado fiero di essere un fisico credente! Pensateci: la religione e la scienza vogliono la stessa cosa: conoscere l’origine e il funzionamento della Natura. Perché l’una dovrebbe escludere l’altra? La storia della scienza è piena di fisici, chimici e matematici che credevano in un Creatore: Louis Pasteur affermava che “Poca scienza allontana da Dio, molta scienza avvicina a Lui”, Albert Einstein, fautore della simbiosi tra scienza e religione, che “la religione senza la scienza è cieca, la scienza senza la religione è zoppa”. Kurt Gödel arrivò addirittura a dimostrare logicamente l’esistenza di Dio!
In quel momento capii perché tanta gente nutre sfiducia nella scienza: è colpa dell’eccessiva fierezza degli esperti, che credono di essere gli unici a poter accedere ad un sapere che, secondo loro, non è in continua evoluzione, ma assoluto. I movimenti no-vax, i complottisti, i negazionisti dei cambiamenti climatici e chi più ne ha più ne metta, questo è ciò che mi suggerisce la mia esperienza, nascono e si alimentano a causa delle notizie false e della disinformazione. E gli scienziati, che dovrebbero avere il compito di aiutare la gran parte della popolazione a capire come funziona il mondo, si limitano a fornire spiegazioni sommarie e ad etichettare tutto ciò che esce dalle loro bocche con l’aggettivo “scientifico”, ponendosi su un piedistallo cristallino. Tuttavia loro non sanno che una teoria, per essere accettata, deve essere falsificabile e che il progresso, seppure in questi anni sia molto veloce, è infinito. Oppure lo sanno, ma non lo danno a vedere. Vorrei soffermarmi in principio sulla prima affermazione, dato il vasto pubblico che ci guarda da casa. Molte persone purtroppo scambiano per scientifiche affermazioni che in realtà non lo sono affatto: “domani molto probabilmente pioverà” non è un’affermazione scientifica, perché, se effettivamente pioverà, l’asserzione è vera; se non pioverà, sarà vera comunque, perché “molto probabilmente” è diverso da “certamente”. Ed è così che i nostri piani per le gite fuori a Pasquetta sono rovinati!
Di questo tipo sono le affermazioni degli oroscopi, degli oracoli e di tutti gli stratagemmi che i furbi usano per rubare l’attenzione (e i soldi) alla gente che non ha un pensiero scientifico sviluppato e/o che si trova in difficoltà. Come dico sempre io, “l’obiettivo della scienza è quello di smontare pregiudizi che essa stessa crea” e i pregiudizi a cui mi riferisco sono le nuove teorie. Per duemila anni gli scienziati hanno creduto ciecamente alle affermazioni di Aristotele, le cui tesi erano considerate intoccabili. Ebbene, questa non è scienza: il compito di essa non si adempie sui libri vecchi e impolverati, ma nei laboratori e nelle menti delle persone. Purtroppo appena si trova una conferma ad una teoria, subito si urla ai quattro venti “Quella teoria è corretta!”. No! Quella teoria ha solo superato un test, e il compito della scienza è testare la teoria su più fronti. Se resiste, si continua con altre esperienze, se fallisce, abbiamo ristretto il nostro “campo di verità” e possiamo dire di essere più vicini alla comprensione del fenomeno in esame. Chi ci assicura che un giorno non troveremo un sistema stella-pianeta, lontano miliardi di anni luce da noi, che non rispetta la legge di gravitazione universale? Chi ci assicura che nel giro di pochi mesi la scoperta che stiamo per annunciare non si riveli un fallimento? Paradossalmente, in scienza un errore vale più di una conferma. È altresì impossibile giungere ad un sapere infinito. Molti scienziati, dai tempi di Newton in poi, credettero che i segreti della fisica sarebbe stati svelati entro poco. Era la cosiddetta concezione deterministica. Poi, come un fulmine a ciel sereno, arrivò lei: la meccanica quantistica, talmente astrusa che tuttora c’è chi pensa che sia incompleta, tuttavia funziona alla grande: senza di essa voi giornalisti là in fondo non stareste scrivendo su computer, ma con carta e penna! Secondo questa teoria, come ben sapete, nulla è certo a livello subatomico, e più si conosce una certa caratteristica di una particella, meno se ne conosce un’altra. Attualmente scienziati da tutto il mondo, tra cui io, lavorano per conciliare la quantistica con la relatività. Se ci riuscissimo? Sapremmo tutto? La risposta è semplice: no. Innanzitutto perché dovremmo avere dei dati esatti, senza approssimazione, utopia in fisica a causa della sensibilità degli strumenti, che non può essere infinita. Poi dovremmo avere una potenza di calcolo all’altezza di questi dati. Infine c’è una questione filosofica: una volta scritta questa formula sulla lavagna, conosceremmo i segreti della gioia, della fratellanza, della tristezza, dell’amore, della vita, della morte? Io credo di no, ma mi sta bene così: non voglio conoscere tutto. Diventerei una persona senza domande, senza curiosità, arida. Non sarei più un essere umano, che è per sua natura curioso.” Ora M. O. era un po’ commosso, soffocò un flebile “scusate” e proseguì.
“Vi chiederete come io possa parlare di ciò. Il mio segreto, beh, non è un segreto: dovrebbe essere il primo comandamento di ogni scienziato, di qualunque campo, ovvero l’esperienza. Primum vivere, deinde philosophari: prima di parlare del mondo bisogna conoscerlo, e in questo senso ho incontrato una persona ad un forum che, nella sua inesperienza, mi ha illuminato sul tema che sto affrontando. Era una donna sulla cinquantina, a colpo d’occhio l’avrei definita irascibile e impaziente. Chissà, magari aveva un impegno, o forse la stavo annoiando con la mia narrazione. Comunque, ad un certo punto, alzò la mano, le diedi la parola e lei chiese:
“Senti giovanotto, ma queste cose di cui vai blaterando sono tutte fesserie. Cosa ci cambia se questo tizio, come hai detto che si chiama? Mecswill? Vabbè, cosa ci cambia se ha scritto o no queste equazioni incomprensibili?”
“La ringrazio molto per la domanda signora. Intanto, se mi permette, il nome è Maxwell, e poi, lei ha un cellulare, vero?”
“Certo che ce l’ho!”
“E suppongo abbia anche la luce a casa, giusto?”
“Che domande, certo che sì!”
“E quando lei torna da un viaggio, è in grado di attaccare una calamita al frigorifero?”
“Sì, per la miseria! Ma dove vuole arrivare?”
“Ebbene, senza le leggi di Maxwell, che a lei sembrano inutili, non esisterebbero i cellulari, le lampadine o i magneti! E lei non potrebbe chiamare suo figlio per chiedergli come va, non potrebbe leggere o scrivere dopo le sei del pomeriggio senza una candela e non potrebbe avere un bel ricordo di viaggio. Ecco a cosa servono le equazioni incomprensibili che ho scritto qui!”
La signora non rispose più: stette in silenzio, a braccia conserte, con aria di disapprovazione. Le persone purtroppo non comprendono la bellezza e l’utilità della scienza. Ma non è colpa loro: è colpa degli scienziati stessi: se spiegassero a tutti quanto è bello e a cosa serve il progresso non avremmo più notizie false, complottisti, negazionisti o semplici furbetti. Gli scienziati devono togliersi la corona con cui loro stessi si sono eletti “paladini della verità”. Ora però cambiamo argomento: non è molto lungimirante fare una filippica a persone di cui mi circondo ogni giorno!
Per fortuna in soccorso della mia visione ottimistica del mondo venne una persona speciale, uno scienziato che nel tempo libero produce arte e suona il pianoforte. L’ho conosciuto ad un seminario e abbiamo subito stretto amicizia. Con altri colleghi scienziati abbiamo fondato una band dal significativo nome di Artists of Nature. Con questo scienziato-artista illuminato ho avuto molte belle chiacchierate, nelle quali mi ha spiegato che la scienza è onnipresente nell’arte: a partire dalle leggi dell’ottica per creare i vari pigmenti, fino alla sezione aurea. Anche la storia dell’arte si intreccia molto con la scienza: basti pensare al fatto che, a pochi anni di distanza, sia Einstein sia Picasso affermarono che tutto è relativo e che il tempo è la quarta dimensione. Il genio tedesco sentenziando che E=mc2, il secondo dipingendo in uno stile cubista che ritrae i soggetti da varie angolazioni e in diversi momenti. Coincidenze? Secondo me no, d’altronde, sono sempre stato abituato ad operare collegamenti arditi. Sembra invece che il mio primo finanziatore non sia stato abituato a ciò. Infatti non fu il mio primo finanziatore! Al mio colloquio ebbi una conversazione del genere:
“Salve signore.”
“Allora: cosa la porta qui?”
“Ho fatto un lungo viaggio per…”
“I fatti! Voglio i fatti! Allora: per cosa le servono i miei soldi?”
“Io volevo solo sapere se…”
“Tutti che vogliono sapere, sapere! Di che si tratta: farmaco, vaccino, aggeggi per la cucina?”
“A dire il vero…”
“A dire il vero?”
“Io sarei venuto qui per conto dell’Acceleratore di Particelle Europeo a chiederle un finanziamento per un superconduttore.”
“Senta, io non so cosa sia un superconduttore, ma sono disposto a finanziarvi se mi assicurate un ritorno economico.”
“A dire il vero…”
“A dire il vero cosa??”
“L’obiettivo della ricerca è quello di migliorare la nostra conoscenza del Modello Standard e di verificare l’esistenza del gravitone, particella che sarebbe responsabile dell’attrazione gravitazionale secondo la teoria della gravità quantistica.”
“Tutte fesserie! Perché dovrei darle in mano i soldi di tutti coloro che pagano le tasse in questo Paese per una scoperta neanche assicurata che non avrebbe nessun ritorno?”
“In realtà tutte le scoperte fatte in fisica delle particelle hanno apportato dei grandi benefici: dal punto di vista medico, per esempio, ma anche digitale: il Web è nato in un ufficio del CERN!”
“Non mi interessa: quando mi dimostrerete che questo gravitone serve a qualcosa vi finanzierò!”
“Ma noi non possiamo scoprire un bel niente se non sappiamo neanche se esiste! Pensatela così: in un futuro lontano, quando del suo corpo non rimarrà che polvere, tutti si ricorderanno ancora di lei come l’uomo che ha permesso ai suoi posteri di condurre una vita migliore!”
“E va bene, se la mette così, ci penserò su e in pochi giorni le farò sapere.”
“La ringrazio davvero per la sua comprensione. Arrivederci signore!”
E me ne andai.
Indovinate un po’: a un decennio di distanza non si è ancora fatto vivo. E a dire il vero non credo si farà più vivo dato che il Governo cambia ogni cinque anni…
Comunque, alla fine dei conti, avevo speso parole inutili e perso una giornata di ferie, in cui avrei potuto tranquillamente stare con la mia famiglia e leggere un buon libro sorseggiando del tè.
Quella persona così ottusa aveva commesso lo stesso errore (o orrore, giudicate voi) della signora alla conferenza. Hanno entrambi sottovalutato il fondamentale progresso teorico che sta dietro a quello tecnologico, perché il primo è lento e non porta apparenti benefici nel breve termine, invece il secondo è improvviso e porta a guadagno. Tuttavia, per una persona di aperte visioni, basta una semplice motivazione astratta per comprendere che il progresso spirituale è di gran lunga migliore di quello materiale. La motivazione è questa: immaginate di trovarvi di fronte ad una bella equazione; contemplatela, ammiratela, parlateci, lei vi dirà qualcosa sulla natura del mondo, sulla casa in cui viviamo, e quella equazione, se è giusta, vale in ogni punto dell’Universo, in ogni epoca conosciuta, anche quando voi non c’eravate e non ci sarete più. “Una bella equazione è per l’eternità”. Il progresso materiale invece si traduce in macchine, telefoni e, purtroppo, bombe atomiche. Ma non provate a dire che è colpa dei teorici! Non è colpa di Einstein se in Giappone sono morti milioni di civili!” M. O. si era un po’ scaldato, l’argomento gli stava molto a cuore, poi, resosi conto che stava esagerando, si ricompose:
“Le guerre sono causate dagli interessi umani, mai dalla scienza. Molto spesso ripenso, commuovendomi, all’etimologia latina di scienza, che è “scientia”, ovvero “sapere”, il cui verbo a sua volta deriva da “sapio”, cioè avere sapore. Ebbene, la scienza, se seguita con pazienza e spirito critico, dà sapore alle nostre vite, per questo sono onorato di poterla studiare e condividere con tutti voi!”
Due secondi di silenzio tombale, poi un’ovazione spettacolare, tutti erano entusiasti, volevano saperne di più, porre domande: si sentivano di nuovo bambini che, di fronte ad una nuova rivelazione, chiedono “perché” in continuazione. M. O. non si aspettava un consenso talmente clamoroso, ripeté umilmente “grazie” per un numero indefinito di volte e rispose a tutte le domande, come avrebbe fatto con i suoi figli.
C’era bisogno che tutti sapessero che cosa sia la scienza prima di venire a conoscenza di una scoperta tanto importante: il gravitone!
Il giorno dopo, tutti i giornali scientifici e non parlavano di lui, l’uomo che era riuscito a ridare fiato alla scienza. Che esagerati i giornalisti! Quel mattino, per lui era iniziato come tutti gli altri: aveva fatto colazione con i biscotti secchi, si era vestito al buio per non svegliare i ragazzi, non aveva ascoltato le canzoni inglesi anni ’70 alla radio. È proprio vero che tutto è relativo. Solo i capelli rimanevano in disordine, in contrasto con la perfetta armonia dei suoi pensieri. Ecco che i suoi capelli erano la velocità della luce: una costante! Arrivato all’Università, tutti i colleghi erano lì ad aspettarlo e gli sventolavano in faccia le prime pagine dei quotidiani congratulandosi.
Ad un certo punto entrò anche il nuovo rettore che gli rivolse i più sentiti complimenti per il lavoro svolto in tutti quegli anni. E quando M. O. cercò di sminuire, lui fece:
“Lei è meritevole di questo riconoscimento. Complimenti, signor…?”
“Il mio nome è M. O., Matteo Olivieri!”