Futuro remoto_Stefania Baldissin
_Dopo un viaggio a Matera, rimane una duratura nostalgia.
Si può colmarla con parole di poesia, pittura o musica, a Matera dedicate:
“Silenzio, silenzio, silenzio. Profondo silenzio.
Le pietre assorbono le vibrazioni prima che diventino suoni.
Nessun sussurro dagli alberi che privano della loro presenza le rocce miste alla terra, misteriosa, silenziosa terra.
Nessun fruscio dalle foglie che, nel loro cammino, hanno dimenticato di adombrare Matera.
Silenzio. Silenzio caldo, fuori rovente, silenzio caldo, quieto.
Secolare silenzio. Secolare silenzio nel mezzogiorno.
Din den, ding deng, dlin dlen, sui piccoli avvallamenti torridi, negati ai fiori ai cani ai gatti, non un cane risponde, non un merlo.
Dlin dleng alla campanella senza colonna, campanella profana che arabescata richiama una ricca madonna.
Assorta, bassa, senza urla, a lungo insiste: dleng dlin, dlen ding.
Il martelletto insiste nella gerla a vocare, evocare, trascinare.
Nel silenzio più acceso, come uno spasimo infinito, risuona perfetto il silenzio del non detto, taciuto.
Impera il silenzio, manto vasto, ad obliare il resto e ormai dentro insiste!
Ding dleng, din den, den den.
Ancora trascina e scorre profano il suono nel silenzio lontano.
Dleng, dleng.
Sui piccoli avvallamenti torridi, negati ai fiori ai cani ai gatti, non un cane risponde, non un merlo.
Dlin dlen. Din den.
Solo il cuore risponde.
Quel punto del cuore che si sposta dove occorre, quando il suono lo chiama.
Din den.
Solo il cuore risponde. Sospinto all’ascolto di se stesso…”
I ricordi e i versi che scaturiscono dall’incontro con Matera, vivono in quei colori di terra riarsa, di sabbia chiara, biancastra, in quelle pietre asciutte, consumate dall’aria e dal sole.
Il cielo che sorride d’azzurro denso e il silenzio che ristora si tramutano in pagine per comporre.
Il paesaggio di fine estate ci intrattiene negli ambienti della città (alberghi, negozi, case) oppure si girovaga inquieti e straniti tra scorci insondabili e sguardi senza ore.
Attoniti si permane nell’abbraccio della storia e dell’atmosfera di Matera.
Non paragonabile ad altra e, come un gioco di sassi, costruita sulla durezza del tempo, seppure simile alla carezza di una nonna saggia e protettiva, mette alla prova l’ospite che desidera entrare nella sua imperscrutabilità.
Matera mater, antica. Matera figlia, nuova nell’accoglienza.
Calma e naturale per ritmo, suoni e profumo di libertà, Matera possiede saldamente chi vi si accosta e con la sua unicità “unisce”, al di là dei secoli, chi c’era, chi c’è, chi ci sarà.
Penetrato dalla quiete di un sonno o come assorto nella veglia di una spoglia, l’individuo perde il suo potere. Alla stregua di una magia ne è in balìa.
Ѐ ferma, immobile, eterna come la morte o come un momento perfetto.
Non si riesce a non tornare, come dall’amante misterioso che mai si riesce ad afferrare.
La sua profondità di pozzo calamita l’occhio, tremando la gola.
Di notte, le stelle volano fino a capovolgersi su quella polvere terrosa, ma neppure in quell’attimo d’immenso, laggiù, ci si sente liberi di scappare, se lo si volesse.
La terra chiama, sussurra, osserva e con lei chiunque abbia trascorso lì i suoi minuti, le sue vite o le sue rassegnazioni. Disabitata e tacita anche quando uni si attardano con altri, ma popolata di chiese e campane che dialogano a lungo coi rintocchi del silenzio, delle pause, dei vecchi saperi.
La sua pietra secca elemosina lacrime di pioggia regalandole… Pianti d’amore, paura e morte. I lamenti di chi sente una mancanza, ma ne ha timore, di chi si sente eradicato se altrove, incatenato se lì, tali e troppo forti gli urti patiti dal cuore alla vista di quella roccia.
Tutto si appiattisce e scompare al confronto.
E, quando da quel cammino si ritorna a propri luoghi, lungamente, forse per sempre, ci si chiede se davvero si è stati là o se è stato un sogno, un miraggio, una strada a ritroso di migliaia d’anni, intrecciata a quella di chi nei decenni, nei secoli a venire nuovamente la percorrerà.
Stefania Baldissin