I brevissimi 2021. Bianco, Tommaso Simoncini_Cesena(Fc)
anno 2021 (Bianco)
Nero, l’ultima immagine di una condizione di esistenza non più mia. Ricordo il cielo notturno, nero d’infinito, l’inchiostro del creato. Meglio ricordo come il mio cuore, ora fermo, batteva, e come nella gola risuonavano le scosse di eccitazione quando mi trovai pronto alla mia postazione, all’interno del veicolo a punta di freccia, rivolto verso l’alto sulla base di lancio. Non ho memoria di chi mi accompagnò fin lì. Bastò uno sguardo contro la nudità del creato per annullare dalla mia concezione tutto e ridurre il mistero dell’esistenza a me e all’esistenza stessa. Poi esplose l’attimo del lancio: il nero si dilatò e si allungò in me, io in esso, mi proiettai verso l’alto e divenni velocità. Attraversavo da parte a parte lo spaziotempo dilaniandolo come un rostro fra le onde: la realtà turbinava intorno a me in un vortice di intensità spaventosa, ma di vacuo silenzio. Rabbrividisco nella mia coscienza quando ripenso alla fatale percezione che ebbi quando la stringa quantica, il laccio che legava il mio scafo alla Terra, alla salvezza, si era spezzata. Difficilmente posso esprimere con parole la perdizione nella quale piombai, l’assoluta deriva nel nero. Tutto diventò una tensione, percepii la dilatazione dello spirito, il fiato spezzato, ed entrai in una continua sensazione di tuffo al cuore mai cominciato. Poi sentii una rottura, uno strappo e una turbolenza del mio essere quando varcai il confine dell’Universo superandolo in velocità di dilatazione. Quando ero nel mondo e meditavo sul nulla, su ciò che non era, incapace ero di concepire una condizione di più totale annichilimento del nero del vuoto. Tuttavia, quando varcai lo spaziotempo e ruppi la soglia dell’esistenza, mi ritrovai piombato dalla circostanza in ciò che vi è di più assurdo e desolante: ero, interrotto all’istante nel quale ho varcato l’orizzonte ultimo dell’Universo, sospeso nel bianco dell’increato. Io, quanto di spaziotempo, mi ritrovai, solo, impresso in un punto casuale nell’immenso foglio di scrittura di Dio, io, umano dalla tuta bianca, nel bianco su cui tutto deve essere ancora immaginato. I miei occhi sono aperti nell’ultimo sguardo di sgomento per l’inimmaginabile scorto, il cuore rimasto sulla soglia di un battito. La coscienza, le emozioni e i pensieri vorticano in me poiché non sono mai stati parte del tempo e dello spazio. E tutto è bianco, ciò che è anteposto al niente: il contesto del giacente Universo, lo sfondo su cui l’immaginazione creatrice lavora. Mi è incredibile. Penso, cerco di ricordare qualcosa del prima, del tempo, ma non mi è rimasto molto. Mi siedo a scrivere. Vedo davanti a me, nel bianco, oltre alla lontana macchia dello Spazio, la scrivania a cui ho pensato. Mi appare la visuale della mia stanza in cui ogni volta alla fioca luce del tramonto sedevo a scrivere, lontana e vicina in egual modo. Al di fuori dell’esistenza anche i semplici pensieri hanno più consistenza dell’increato. Percepisco con la mente prospettive frammentate di ricordi senza fondo e dimensione, che si spargono al mio sguardo fisso in quel bianco. Tutto si mescola in flussi di coscienza. Una splendida, indefinita cometa blu si stira alla mia immaginazione, il motivo per cui l’amore che mi ha spinto alla perdizione è nato: volevo toccare le stelle e con il pensiero tocco quel consistente parto della mia mente. Piangerei credo, ma non posso: solo l’anima può farlo. Anche l’immaginazione è consistente, con essa scrivo queste righe, al mio studio, con la penna che riesco a percepire sul foglio dell’increato, parole vaghe e mutabili come il pensiero. Solo io le leggerò. Immagino una radura, al centro di un bosco nell’ora più intima della notte d’estate. C’è una brezza di odori di vita che spande il mio cuore e mi spinge ad alzare gli occhi verso i miracoli più grandi. Guardo, nell’oscurità della notte, verso il cielo, ma non più riesco a conciliare il nero dello spazio. Perciò i miei occhi di pensiero indugiano su stelle immerse in un cielo di bianco d’increato.