Carpe diem_Alessandro Colizzi
_Ti guardo negli occhi e mi domando: chi sei? È un breve istante, i nostri sguardi s’incrociano appena. Eppure basta il tuo sorriso per innescare il meccanismo. Ti conosco anche se, per quanto sforzi la memoria, non ti riconosco. Tu, al contrario, mi riconosci. Questo è evidente, anche se dubito che tu veramente mi conosca.
Passando oltre, colto da inspiegabile pudore, abbasso lo sguardo. A questo punto, non posso fare a meno di notarlo, la mia mente consente alle gambe di continuare a muoversi, in una completa assenza di tempo, stabilendo un nuovo equilibrio nella dilatazione della durata. Potrei rompere facilmente quest’equilibrio, dipende solo da me. Posso quindi conservarlo. Il tuo volto, artificiosamente rievocato, assorbe il mio pensiero e, per natura incline alla fascinazione, inseguo il significato del sorriso che illumina la tua bella bocca e i grandi occhi, compiacendomi della disponibilità che vi scorgo dentro. E mi adagio nella contemplazione della felicità futura, scaturita da questa combinazione di tempi e sguardi, di armonia perfetta, irripetibile.
Il tempo è fermo, ma l’attimo continua a durare. Sei tu a vivere nei miei sogni, proprio così come ti vedo ora in questa riproduzione della mia immaginazione. È la tua persona l’oggetto del mio interesse, il tuo protenderti verso di me anche se la velocità che ci allontana l’un l’altra è doppia rispetto a quella di ciascuno in relazione al punto fisso in cui abbiamo casualmente incrociato.
Mi rendo finalmente conto di quanto tu sia bella, ideale. E il mio pensiero, catturato dal tuo sguardo, va oltre, nel desertico campo dell’esperire. E sono sempre io a decidere. Lo voglio veramente? In fondo non è ciò che desidero, che ho sempre desiderato? Conviene quindi procedere con ordine poichè l’illusione potrebbe indurmi in fallaci digressioni sulla natura di quanto, inevitabilmente, ci accadrà. Ma sappiamo bene che alla base di tutto sussiste l’inganno, la menzogna, ed è per questo che non risulterà difficile percepire il tempo nuovamente in moto e le gambe, quasi per incanto, prima rallentare, e poi, in modo alfine risoluto, arrestarsi.
Finalmente, dopo una breve ricerca, si sviluppa l’incontro. Un incontro teso, denso di umori particolari, di occhi: completamente in balia delle nostre incertezze. Ma le preoccupazioni svaniscono presto, proprio quando ci accorgiamo che è sufficiente stare al passo con
l’attimo. Che il futuro è presente e il presente già passato. Poi, vivere sembrerà semplice, straordinariamente semplice. Proveremo allora la possibilità di una vibrazione. Sperimenteremo come fanciulli la comunicazione con le forme, gli oggetti. Saremo parte del tutto e il tutto sarà parte di noi. La meraviglia forgerà la nostra anima e ciechi vibreremo all’unisono. Questa musica darà l’impressione di essere eterna. Ci prenderemo con cautela, e la dolcezza dei nostri incontri rimbalzerà nel tempo e nel tempo impareremo a conoscerci. Tutte le manifestazioni di cui saremo artefici e fruitori diverranno spontanee e ricolme di entusiasmo e complicità. L’elezione dei luoghi sarà indifferente: ovunque e comunque saremo unità. Sarà un lungo periodo di turbolenza e disordine, ciò nonostante vivremo la vita sotto il segno della leggerezza e dell’armonia. Ma la realtà, in fondo ben altra, brutalmente ci costringerà a ingabbiare la nostra comunione nel violento e ristretto schema del tempo e dello spazio. Ci obbligherà, o almeno così crederemo, ad accordi che accetteremo con la convinzione di fare la cosa giusta e necessaria. Proveremo quindi una rinnovata ebbrezza nella convivenza.
Col tempo la nostra vita assumerà ordine, il meccanismo del quale funzionerà, senza cigolii né ritardi, in modo perfetto. Tutto sembrerà filare e l’ipotesi di un ulteriore passo, teso a suggellare la nostra unione, diventerà addirittura inevitabile. E sapremo di non aver sbagliato, ricorderemo il primo incontro in quell’affollata strada di città e capiremo che questo era destino e non avremmo potuto far nulla per cambiarlo, tutto era in esso e la sua casualità solo apparente. Sempre più ci convinceremo di essere nati l’uno per l’altra e tutto in noi lo confermerà, dalla perfetta sintonia delle nostre anime alla perfetta unione dei nostri corpi: ci ameremo e non potremo fare a meno di farlo. Ma quanto durerà? Un’ombra scura, infatti, opprime l’evidente menzogna che sin qui ho avuto il coraggio di cavalcare, tentato dall’irresistibile fascinazione dell’esperimento immaginativo. Un’ombra che a un primo sguardo non mi risulta decifrabile e dalla quale ricevo solo una sensazione di disagio e paura. Poi però, a una seconda più approfondita analisi, mi rendo conto che la sensazione che mi pervade è affatto comprensibile e spiegabile: è l’ombra del fallimento, l’ombra di ciò che crediamo sia e, al contrario, non è; l’ombra di tutte le cose che cominciano e sono destinate a finire. Ed è questa la ragione per cui non mi sono fermato subito, la ragione del mio indifferente passare oltre, la ragione della mia solitudine. Con l’affanno mi volto. La cerco. Sono passati solo alcuni secondi dal suo sorriso. Davanti a me una moltitudine di teste ondeggia, ma non riesco a vederla. Il mio occhio arpiona quelle forme, le strazia, ma lei non c’è più.
Rassegnato torno sui miei passi e la mia testa già sta pensando a quanto tempo ancora dovrò aspettare per rivedere un sorriso così.