Che ne sarà delle Vele di Scampia
Da Il POST – 24 gennaio 2024
Ne rimarrà soltanto una, la celeste, parte di un grande e ambizioso piano di recupero urbanistico e sociale nel quartiere simbolo dei problemi di Napoli
L’11 dicembre del 1997 l’esplosivo piazzato nei pilastri della Vela F di Scampia fece un gran botto e nient’altro: i piani alti rimasero in piedi, pericolosamente in bilico. Nell’estate del 1998 ci vollero le ruspe per abbatterla completamente. Nel 2000 venne giù la Vela G, sempre con l’esplosivo. Stavolta tutto andò secondo i piani. La Vela H fu demolita nel 2003, mentre si dovettero aspettare altri 17 anni per la Vela A, conosciuta anche come Vela verde. È stata l’ultima a essere abbattuta. Dall’inizio dell’anno sono iniziati i lavori per la demolizione di altre due Vele, la gialla e la rossa. Dei sette grandi palazzi di edilizia popolare costruiti tra gli anni Sessanta e Settanta nella periferia a nord di Napoli ne rimarrà soltanto uno: la Vela celeste.
Per decenni le Vele di Scampia sono state il simbolo di molti dei problemi di Napoli, essendo centro di spaccio di stupefacenti e zona controllata dalla camorra. Qui fino a pochi anni fa abitavano migliaia di persone in condizioni di forte degrado. Gli appartamenti erano fatiscenti, moltissimi occupati abusivamente. Pensate come luogo di condivisione, le Vele hanno contribuito a isolare il quartiere, rimasto per decenni emarginato dalla città, senza servizi e senza opportunità lavorative, sociali e culturali.
Le cose sono cambiate soprattutto grazie all’impegno di molte associazioni e delle scuole che hanno recuperato spazi abbandonati e creato un diversivo per ragazzi e ragazze, altrimenti facilmente circuiti dalla criminalità organizzata. I piani del comune e i soldi del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, si sono inseriti in un contesto che era già in parte cambiato, non senza fatica.
La costruzione di nuovi appartamenti darà una casa anche alle ultime 450 famiglie che vivono nelle ultime Vele, ma la questione abitativa è soltanto uno dei problemi. In una delle periferie più giovani d’Europa, dove il tasso di disoccupazione è quasi del 60%, il lavoro è un’urgenza non semplice da affrontare. «Non basta cambiare il racconto di Scampia», dice il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi. «Dobbiamo creare opportunità per il futuro del quartiere e dei suoi abitanti: possiamo farlo attraendo imprese, portando lavoro».
Ogni Vela è composta da due edifici paralleli lunghi 100 metri e alti 45, con 14 piani collegati da ballatoi e rampe di scale. Le sette Vele furono identificate con le lettere dell’alfabeto: nel primo lotto A, B, C, D, nel secondo F, G e H. Dopo le demolizioni delle prime tre Vele, gli abitanti decisero di cambiare i nomi alle ultime quattro rimaste: diventarono le Vele rossa, gialla, verde e celeste.
Furono progettate dall’architetto Francesco Di Salvo, all’epoca ispirato dalla corrente architettonica Existenzminimum, che considerava gli spazi privati un’esigenza da ridurre al minimo indispensabile. Questo principio si concretizzava con una spesa contenuta per la costruzione delle case e idealmente con un maggiore investimento per gli spazi comuni come cortili e parchi. Per Di Salvo le Vele erano una interpretazione della socialità tipica dei vicoli nel centro storico di Napoli: nel progetto originario c’erano piazze, aree gioco per i bambini, centri sportivi e culturali che furono realizzati solo in minima parte.
Molti architetti considerano le Vele un progetto affascinante, all’avanguardia, e allo stesso tempo un fallimento sociale proprio per la mancanza di spazi e servizi per favorire la socializzazione degli abitanti. Dopo il terremoto del 1980 in Irpinia migliaia di famiglie sfollate occuparono abusivamente le case delle Vele. La camorra non solo iniziò a gestire l’assegnazione degli alloggi, ma riuscì a indirizzare gran parte della ricostruzione successiva al terremoto. I progetti di ricostruzione costarono circa 55mila miliardi di lire e furono un affare enorme per la criminalità organizzata.
L’abbattimento delle Vele fu deciso già a metà degli anni Novanta. A soli vent’anni dalla loro costruzione, la situazione di degrado era ormai considerata irrecuperabile. Già da diversi anni gli abitanti riuniti nel comitato “Vele” chiedevano l’abbattimento e la costruzione di nuove case. Omero Benfenati, portavoce del comitato, dice che la lotta per convincere le istituzioni ad abbattere e ricostruire è stata lunga e complessa: «C’era chi diceva che quelle case erano abitabili, le paragonava alle Vele di Nizza. Non è stato facile farci ascoltare, ma ce l’abbiamo fatta. Scampia già oggi è diversa, nei prossimi anni lo sarà ancora di più».
Oltre al comitato, negli ultimi due decenni sono nate moltissime associazioni impegnate nel quartiere. C’è il centro sociale Gridas, l’officina delle culture gestita dal gruppo (R)esistenza Anticamorra, il centro Mammut, la palestra sociale di Gianni Maddaloni, padre di un campione olimpico di judo, il ristorante multiculturale Chikù, diversi doposcuola, gli orti urbani e i parchi autogestiti come quello intitolato a Melissa Bassi, una ragazza uccisa il 19 maggio 2012 da una bomba all’istituto Morvillo-Falcone di Brindisi. «Abbiamo fatto il giro del mondo raccontando Gomorra, oggi possiamo finalmente parlare del riscatto delle Vele», dice Benfenati.
Gomorra è il nome di una serie televisiva ispirata a un libro di Roberto Saviano e girata in parte a Scampia. È stata un successo in diversi paesi del mondo. Quando andò in onda la prima stagione, nel 2014, ci furono molte polemiche per la rappresentazione che veniva data del quartiere e in generale di Napoli. In realtà la serie, al di là degli aspetti romanzeschi, descriveva in maniera abbastanza accurata una realtà nota da tempo.
Il vero piano di recupero del quartiere iniziò nel 2016, quando l’amministrazione di Luigi De Magistris approvò il progetto da 26 milioni di euro chiamato “Restart Scampia”, che prevede l’abbattimento di tre vele e la riqualificazione della Vela celeste. «Scampia batte Gomorra tre a zero», disse De Magistris nel giorno della demolizione della Vela verde. Nell’ottobre del 2022 è stata inaugurata la nuova sede della facoltà di medicina e chirurgia dell’università Federico II costruita al posto della Vela H. Ci sono voluti 17 anni.
Dopo la vittoria alle elezioni del 2021, la giunta di centrosinistra guidata da Gaetano Manfredi ha ampliato Restart Scampia con i fondi europei messi a disposizione dal PNRR. Sono stati previsti 156 milioni di euro per completare l’abbattimento delle Vele e costruire nuovi complessi di edilizia residenziale pubblica; un asilo nido da circa 50 posti e una scuola dell’infanzia da 120; un centro civico con funzioni sociali e culturali; nuove strutture commerciali; laboratori artigianali e piccole botteghe; un nuovo parco urbano. Inoltre è prevista la riqualificazione di una grande area di fronte alla stazione della linea 1 della metropolitana. Circa 1.400 appartamenti sono già stati costruiti.
Nella Vela celeste saranno ricavati uffici pubblici del comune e della città metropolitana, l’ex provincia. Prima però dovranno essere costruiti 433 nuovi appartamenti per spostare le ultime 450 famiglie che abitano ancora nelle Vele. I cantieri inizieranno a marzo.
Secondo Laura Lieto, vicesindaca e assessora all’Urbanistica, la riqualificazione è stata pensata imparando dagli errori del passato, quando l’assenza di politiche sociali ha contribuito a creare il degrado degli edifici a sua volta responsabile del degrado sociale. «Le Vele non sono giuste o sbagliate: non dobbiamo incolpare gli edifici», dice. «L’errore è stato di non accompagnare lo sviluppo urbanistico a uno sviluppo sociale».
Le ultime due amministrazioni hanno cercato di cambiare approccio: il comitato Vele è stato coinvolto nella progettazione sia delle case che degli spazi comuni. «Il vero sforzo è affiancare la trasformazione fisica a una trasformazione sociale, rivendicata da anni dalla comunità. Prima non era mai stato fatto», continua Lieto. «Gli spazi sono stati pensati insieme agli abitanti. Abbiamo appreso le esigenze delle persone poi tradotte in un intervento urbanistico che favorirà la formazione, il lavoro, il contrasto alla dispersione scolastica e in generale l’emancipazione».
Le scuole hanno un ruolo importante nella riqualificazione. Negli ultimi anni le elementari e le medie sono riuscite a coinvolgere gli studenti in molte attività extrascolastiche grazie all’aiuto e agli spazi offerti dalle associazioni impegnate nel quartiere. In questo modo è stato limitato l’abbandono degli studi prima della fine del ciclo scolastico.
Anche gli studenti hanno partecipato al lavoro di progettazione con suggerimenti e suggestioni date al comune. «Molti sono affezionati alle Vele», dice Maria Pia Amoresano, insegnante dell’istituto Sandro Pertini, una scuola media. «Più che un semplice abbattimento, il progetto è visto come una ricostruzione. Oggi riusciamo a coinvolgere gli studenti molto più che in passato, farli vivere nel quartiere in tranquillità. La sfida è mantenere quel coinvolgimento negli anni che seguono la scuola». Il lavoro degli insegnanti è partito da lontano. Ci sono stati diversi piani per limitare la dispersione scolastica soprattutto attraverso le attività pomeridiane e il dialogo con le famiglie.
L’apertura della nuova sede della Federico II ha contribuito a far arrivare giovani universitari nel quartiere e dato un’opportunità di studio a chi pensava che sarebbe stato necessario lasciare Scampia. A un anno di distanza dall’inaugurazione è forse ancora presto per dire se gli effetti siano quelli sperati. Il sindaco Gaetano Manfredi però è fiducioso: l’educazione scolastica, dice, è il «motore di questa rigenerazione sociale» che vorrebbe portare a una crescita lavorativa e infine economica non solo per Scampia, ma anche per altri quartieri: si parla di altri complessi di edilizia popolare come Taverna del Ferro, nella zona Est di Napoli, e i Bipiani nel quartiere di Ponticelli.
Tra tante voci ottimiste c’è anche chi pensa che l’amministrazione non abbia fatto abbastanza. Ciro Corona, fondatore del centro (R)esistenza Anticamorra, da tempo critica il comune per la gestione degli spazi pubblici. L’università, dice Corona, ha pochi servizi: non ci sono autobus, librerie, negozi, bar: «Nei locali che il comune ha messo a bando c’è un’associazione venatoria, una religiosa, un CAF e un negozio che aggiusta PC. Non c’è stata la capacità di sviluppare un indotto funzionale».
Secondo Corona, questo è un cattivo segnale soprattutto per le prospettive lavorative. «Scampia è uno dei quartieri in cui ci sono più edifici comunali abbandonati», continua. «Basterebbe fare un bando mirato per incentivare l’arrivo di giovani imprenditori e portare lavoro. Serve più attenzione perché la camorra si sposta in fretta: dopo che lo Stato si è ripreso Caivano, c’è il rischio che la camorra si riprenda Scampia». In un quartiere ad alto tasso di disoccupazione, alla criminalità organizzata basta poco per arruolare giovani nelle piazze di spaccio. Per questo, secondo Corona, bisogna costruire alternative incentivando il lavoro regolare e non lasciando mai vuoti sociali che la camorra può occupare con facilità.