Chi paga i danni alla lambretta?
Che il vecchio Rico Cazzullo, dovesse morire, giù all’inferno era sufficientemente noto. Non altrettanto chiaro era come Bob, il sicario incaricato di traghettarlo negli inferi, sarebbe riuscito ad accopparlo. Becchino di lungo cabotaggio, il combattivo vegliardo gestiva un cimitero alla periferia di Buenos Aires.
Era difficile stabilire le primavere di Cazzullo i cui mustacchi, dopo larghe volute, si perdevano nelle saccocce dei suoi pantaloni, anch’essi antichi. O solo sudici. Bob, il Caronte che di lì a poco l’avrebbe traghettato all’inferno, era quel che tecnicamente si definirebbe un frustrato. Infatti, se è vero che la materia prima non manca mai, chi l’ha detto che quello dei trapassi sia il business più lucroso che esista? Forse questo era vero per il becchino che era un libero professionista, ma Bob, era un dipendente e lavorava a tariffa sindacale. Per questo era stufo marcio del suo lavoro: dopo aver sgobbato per quasi quarant’anni, era ormai prossimo alla pensione. Finalmente avrebbe potuto curarsi le fitte alla groppa che, a furia di girare con la pesantissima falce d’ordinanza, gli amareggiavano l’esistenza. Giù all’inferno, di linimenti, manco a parlarne: quello era il luogo della sofferenza. Proprio per questo, nell’ultima missione si aspettava un trattamento di riguardo. Invece i suoi capi gli avevano mollato quella rogna. Accoppare un becchino. Più facile a dirsi che a farsi: quelli vendevano cara la pelle. Cazzullo, pur novantenne, era molto attaccato alla vita e qualcuno l’aveva sentito affermare che, quando la morte fosse venuto a prenderlo, sarebbe stato lui a sotterrarla. ************** Affinché il magico rito del trapasso avesse luogo, era necessario che il sicario assumesse in pieno le fattezze della sua vittima. Era una vecchia regola vigente lì all’inferno. Come in una commedia di Beckett, con pochi consumati gesti Bob incominciò a truccarsi per la sua ultima rappresentazione. A mutazione avvenuta, due approssimativi baffoni di cartone scuro gli pendevano dalle froge mentre, in calzamaglia nera, si preparava per l’azione di commando. A lavoro finito, il ceffo che lo squadrava dallo specchio somigliava più ad un ratto che all’angelo della morte. Ma Bob non se la prese più di tanto. Non l’aveva inventato lui quell’ottuso regolamento che da secoli lo costringeva ad andare in giro vestito come un saltimbanco. -Speriamo solo che non vada per le lunghe-, si disse. Ma le cose andarono per le lunghe. La tarda età aveva minato quell’infernale agilità che in giovinezza aveva fatto la sua fortuna. Inoltre a causa della differente pressione atmosferica, quando metteva piede sulla terra il sangue gli affluiva ai bulbi oculari, modificando la sua percezione dei colori terrestri, tutti virati ora in una tonalità profondo porpora. In poche parole, ci vedeva rosso. Anche perché il becchino cominciò presto a dargli del filo da torcere. Da circa due settimane, alle otto del mattino Bob faceva capolino da sotto un tombino o, per incanto, dalla fresca ombra di uno scantinato, alla ricerca della sua preda: ma Cazzullo, fiutata l’aria, era scomparso dalla circolazione. Dove si fosse rintanato non l’aveva ancora scoperto, -ma all’inizio fanno tutti così- si diceva per consolarsi. Intanto si aggirava per i vicoli di Buenos Aires brandendo la sua terribile falce. Ma se un tempo essa era ritta in alto come uno spaventoso vessillo, sotto il peso degli anni era ora trascinata come una croce. Bob vagava così, derelitto fino a tarda sera, senza coglier frutto alcuno. Come dimenticare quella placida sera d’estate quando, in pieno centro, l’attenzione generale fu attratta da un eccentrico individuo che, in calzamaglia nera, si faceva strada tra la folla trascinando fragorosamente il suo fardello? Qualcuno pensò ad una trovata pubblicitaria; fatto sta che, ad un tratto, la punta della falce s’incastrò in un tombino e non ne volle più sapere di venirne fuori. Dopo i primi tentativi, Bob iniziò ad imprecare, com’era sua costumanza, cielo e terra. Attirati dallo scompiglio, due prestanti virgulti diedero man forte a Bob tra l’ilarità generale. La prova fu tremenda, l’antica mazza cominciò a piegarsi sempre più sotto lo sguardo soddisfatto degli astanti. Ciò che non aveva potuto il tempo, poterono però gli steroidi. La falce si spezzò con uno schianto secco a guisa di petardo. Che Bob sapesse, non era mai successa una faccenda del genere: e poi non aveva ancora finito di pagarla. Non sapendo come comunicare la notizia ai suoi superiori, vagò per alcuni giorni in preda a crisi esistenziali: fino a che non fu visto scomparire in una lurida bettola dove bevve per dimenticare. Qui, sbronzo fradicio, fu agguantato dalla ronda degli inferi, sguinzagliata sulle sue tracce. Afferrato per un’orecchia, Bob fu spintonato in una scura viuzza dagli scagnozzi. Mentre uno swing lontano agitava l’aria satura di frittura, la pallida luce di un lampione fece da sfondo ad un frugale pestaggio: con la sua dabbenaggine aveva messo alla berlina l’intera categoria. L’occhio pesto, fu portato a braccia negli inferi dove gli chiesero di liquidare con gli interessi i danni della falce. A quello gli venne un mezzo colpo: non navigava nell’oro e pur di non sganciare quei quattrini, attaccò salmodiando la sua solita rampogna: iniziò che era troppo vecchio per accoppare un becchino: lo sapevano tutti che per stecchire quelli ci voleva Mikhail Timofeevich Kalashnikov. Quindi se la prese con i vetusti mezzi in dotazione: dannata burocrazia, perché non si sbrigava a dotare i dipendenti più agili revolver, in luogo di quelle erculee falci? D’accordo, erano più romantiche, ma considerando il peso, come la mettiamo col mal di groppa? E la ruggine millenaria che ne incrostava le lame? Un tetano a quell’età poteva risultare fatale. Secondo Bob, laggiù non interessava a nessuno delle condizioni inumane nelle quali lavoravano. Aveva infatti inoltrato reclamo formale da due secoli, senza ricevere responso alcuno. Per queste sue lamentele ebbe come tutta risposta quarantotto ore per eliminare il suo becchino. Altrimenti l’avrebbero mandato a spalar carbone per le fiamme dell’inferno. Tempo ne aveva poco e, se non voleva finir male, Bob doveva escogitare un espediente. Fu così che, con forte travaglio interiore, decise di contravvenire al regolamento. Ne aveva ormai abbastanza di questo Cazzullo e dei suoi baffi da licantropo. Pose da parte la sua falce per inforcare un più pratica lambretta in dotazione agli inferi per gli spostamenti interni. Con i pochi risparmi che aveva, acquistò un completo da motociclista in finta pelle nera. Un attimo dopo, con la grinta di un Giacomo Agostini, sfrecciava come un fulmine per la città, deciso a mettere sotto il suo maledetto sosia non appena l’avesse intravisto. Purtroppo la sua vista traballante gli giocò un brutto tiro. Infatti, come si è già detto, vedendo lui sempre rosso, al primo semaforo interpretò un verde al contrario. Frenando di colpo, Bob finì travolto da un tritasassi che lo ridusse tutt’uno con il fanale della sua moto. Fu proprio sfortunato perché nello stesso istante, dall’altra parte della città, il suo sogno andava realizzandosi. Cazzullo, inciampando sui suoi baffi, s’involò dal quarto piano di un palazzo, planando di un sol balzo giù all’inferno. I due precipitarono come un sol uomo tra le fiamme e tutt’oggi, stanno ancora discutendo dinanzi a Belzebù su chi sia il vero Cazzullo e a chi spetti, dunque, pagare i danni della moto. FIN