Come vendere centomila copie (ed essere infelici)
E alla fine l’editoria italiana crollò sotto i colpi dei best seller. Sembra assurdo, come dire che un fiume muore per troppa acqua. Ma cifre e rumours sembrano indicare costantemente questo.
Saviano e Dan Brown sono in cima alle classifiche, come previsto. Walter Siti ha vinto lo Strega, come previsto. Camilleri sforna ancora a pieno ritmo, come previsto. Ma pare che i conti non tornino lo stesso. Nessuno vende come ci si aspettava, anzi, come doveva. I titoli partono bene la prima settimana, quando l’autore viene paracadutato in ogni dove con il suo bravo libro in una mano e il microfono nell’altra, ben protetto dal fuoco di sbarramento di magazine e supplementi culturali. Ma entro due settimane l’effetto del lancio si è già esaurito.
Da anni ormai molti editori – non soltanto grandi – lavorano con questo principio di base: meglio avere un autore da centomila copie che dieci autori da diecimila copie l’uno. Se un solo albero assicura tutta la frutta di cui si ha bisogno, perché farsi il mazzo a curare un’intera piantagione? La gestione verticale del grande albero è più pratica e conveniente rispetto a un duro lavoro, orizzontale e dispersivo, sul terreno. Il grande albero tende inoltre a fare il vuoto intorno, e quindi fornisce un potere contrattuale puntuale e immediato. È l’equivalente di un pugno sul tavolo, di un colpo di artiglieria pesante mentre gli altri hanno arco e frecce.
La crisi dei consumi ha però impattato su questo scenario in modo imprevedibile e perverso (oddio, anche il modello di base non era un esempio di sana lungimiranza). Nelle angoscianti incertezze della crisi, l’autore del best seller viene identificato come l’unico salvatore del bilancio, il dictator a cui dare pieni poteri nel momento di massimo pericolo. Lui lo sa benissimo (il suo agente, soprattutto) e alza la posta. L’editore deve accettare il rilancio ma chiede all’autore di best seller di scrivere di più, al suo best seller annunciato di fare numeri sempre più alti. L’editore diventa come un coltivatore che concima furiosamente il grande albero, ne stravolge i cicli naturali per ottenere due o tre raccolti all’anno.
Ma il modello non funziona. Il grande albero ha bisogno di continui puntelli perché la sua parte visibile, per quanto maestosa, è ormai sproporzionata rispetto alle radici. Il raccolto forzato dà frutta sempre più insapore e acerba. Perfino il consumatore, adesso, se ne accorge.
Ho scritto di proposito consumatore (figura feticcio dell’editoria che ambisce a soddisfare bisogni di massa), e non lettore. Perché i lettori, quelli veri, quelli definiti forti, se ne sono già accorti, e da quel dì. Se ne sono accorti a proprie spese, prima della crisi. A questi lettori veri infatti è stato tolto tutto: il libraio di riferimento con cui scambiare suggerimenti, il gusto di curiosare negli scaffali senza Laura Pausini nelle orecchie, la tranquillità di fidarsi di un marchio amato, il piacere carbonaro di scoprire un autore di cui nessuno ancora parla, la complicità di regalarlo a qualcuno che possa apprezzarlo.
Di fronte ai cannoneggiamenti del best seller unico i lettori forti sono fuggiti. Impauriti, diffidenti, talvolta risentiti. Adesso saranno sulla loro poltrona preferita a leggersi un classico o un autore emergente che il mass market non considera performante. Loro, almeno, sani, salvi e felici. Persi nel loro piacere di sempre, e sempre nuovo.