Cosa hanno in comune Simonide di Ceo (556 a.C. – 468 a.C.) e il Premio Energheia?, Rita Pomarici
Erano i giorni della Notte Nazionale dei Licei Classici e avevo in mente il testo scelto per concludere la serata nei quasi 400 Licei italiani che partecipavano all’iniziativa: “Lamento di Danae” di Simonide di Ceo:
“… in questa notte senza luce di cielo,
nel buio del legno serrato da chiodi di rame …
… e quiete abbia il mare,
ed il male senza fine riposi …”
Come spesso mi capita in inverno, anche quella sera percorrevo Via Ridola e non poté mancare l’incontro con Felice; quella volta però il saluto fu più impegnativo delle altre sere: mi chiese di scrivere la prefazione alla XXII Edizione de “I Racconti di Energheia”. Pensai al racconto vincitore “La partenza” e subito ritrovai le parole del canto di Simonide più attuali che mai, come se le immagini e le emozioni suscitate dall’uno si confondessero con quelle dell’altro.
Nel frattempo mi si affollarono nella mente, in modo confuso, gli altri racconti partecipanti al Premio che avevo letto durante l’estate; si facevano avanti personaggi e scenari, quasi volessi, con una certa urgenza, cercare e trovare un filo conduttore, prima di rispondere alla proposta di Felice.
Stasera con calma mi accingo a scrivere la prefazione e molto diversi mi appaiono i racconti tra loro; ognuno ha ritrovato nella mia mente la sua fisionomia e a poco a poco si dipana quel senso comune: l’intento di ogni autore di ricercare e svelare esperienze di vita personali o collettive.
Che non sia forse il lettore il vero filo che unisce ognuno di questi racconti, che non sia la sua ricerca a trovare appiglio nella ricerca altrui?
E mi torna in mente Cesare Pavese ne: “Il mestiere di vivere”: “Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma”.
E tu, lettore, sei al contempo scrittore e al contempo protagonista e ad ogni racconto ti impaesi in un nuovo contesto in cui sentirti protetto o da cui doverti difendere.
Quasi sempre nei racconti domina l’io narrante, la prima persona: ogni racconto esprime un bisogno di parlare di sé, del proprio andare controvento attraverso un mondo il più delle volte estraneo, quasi ostile, proprio come per Danae in quella notte senza luce e intanto la meta sembra farsi più lontana.
E di tutto questo affannoso avanzare cosa resta?
Per la giovane protagonista de “La partenza” il senso sta nella tenacia del suo cammino, tra mille difficoltà in quei cinque giorni che la separano dalla partenza alla cui preparazione ha dedicato gli ultimi anni della sua vita. L’incedere del racconto richiama la vicenda umana dei migranti: un nesso costante fino alla fine quando si riveleranno altri e inattesi orizzonti.
Per Tosca, invece, la giovane novantenne, il senso sta nell’aver partecipato alla Resistenza, nell’essere stata “dentro un pezzo di storia”, di Grande Storia.
E che dire del piccolo protagonista de “La cerbottana” che si accanisce contro le foto assillanti dei defunti, impresse sulle lapidi al cimitero? Gioca a vendicarsi della morte, ma poi prova “un vuoto universale”.
Ed è una storia di solitudine, ma allo stesso tempo una bella storia di amicizia, quella del “Professor Travaglia e i sette gatti”, vittima di una polemica condominiale, metafora della grettezza e dell’isolamento umano.
Potrei seguitare oltre e rivivere le emozioni nate da ciascun racconto, laddove possibile rese ancor più vive dalla lettura in lingua originale o dalla visione dei cortometraggi.
E cosa resta a me, lettrice dei racconti di Energheia?
Il fascino della lettura, il richiamo di ogni nuova storia e una conferma: quando le parole in un libro esprimono un pensiero profondo, una verità, ritornano ad essere pronunciate e prendono corpo nella vita di chi legge.
Devo a Felice l’aver potuto indugiare in questa riflessione.