Dare un significato all’insignificabile, afferrare il tutto in fuga
_di Marco Cubeddu
Giuria ventunesima edizione Premio Energheia 2015.
Chi scrive non può fare a meno di rispondere ossessivamente a una domanda tanto ripetitiva quanto inevitabile: perché scrivi?
Tra le risposte più gettonate, “perché non posso farne a meno”.
La spinta che porta a scrivere è vissuta come qualcosa di naturale, come mossa dalle necessità materiali cui ha dovuto far fronte la specie umana. E la scrittura, come l’arte in genere, diventa indiscutibilmente espressione della nostra curiosità, del bisogno di comprensione della realtà cui tendiamo appunto per natura.
Altrettanto indiscutibilmente, tutti gli uomini, per natura, tendono al morire.
Tra la spinta alla conoscenza di tutto ciò che ci è ignoto e la caducità della vita individuale che ci condanna alla convivenza col mistero, credo stia l’arte, in ogni sua forma: non solo tentativo di sintesi e riduzione del caos della materia da parte della materia cosciente di essere materia (cioè noi), ma allo stesso tempo speranza, disperato bisogno di trascendenza, preghiera.
Spostare la morte più in là, mi sembra sia, in estrema sintesi, premessa e conseguenza di ogni scrittura.
Non solo di ogni scrittura buona (nel senso di bella), proprio di ogni tentativo di scrittura creativa (anche del più rovinoso).
Scrivere di professione – qualunque cosa questo voglia dire nel 2015 – è una condanna e un privilegio di cui ogni scrittore serio è perfettamente consapevole.
Confrontarsi con realtà come Energheia, costruite e mantenute in salute grazie a una rete di persone entusiaste e determinate – sia in veste di organizzatori che in veste di pubblico e candidati/finalisti al Premio – è il modo migliore per farsi carico di questo privilegio a cui è condannato chi vive di scrittura.
C’è, dietro ogni racconto, anche il più miserabile, dietro a ogni aspirante scrittore, anche il più scalcagnato, lo spettro di quel tentativo che ci riguarda tutti: dare un significato all’insignificabile, afferrare il tutto in fuga che siamo strutturalmente impossibilitati ad afferrare.
E questo tentativo – sempre arrogantissimo e sempre vano -, quando siamo particolarmente inclini a struggerci (cosa che a ogni scrittore capita praticamente sempre e, allo stesso tempo, trattandosi di professionisti della finzione, praticamente mai) non può che commuoverci.
Il fatto che Energheia sia un premio, rende l’esperienza di lettura e scrittura qualcosa di più di un tenero e inevitabile spettacolo messo in scena dallo sfogo di una pulsione aspirazionale.
La forma, naturalmente, è l’unica sostanza dell’arte, giacché la sostanza in sé è condizione comune a tutti i viventi, e solo l’ossessione per la forma appannaggio esclusivo degli artisti.
I risultati hanno una caratteristica: per quanto la scrittura, avendo una componente soggettiva attinente al gusto, renda impensabile l’idea di farlo scientificamente, sono misurabili.
E a questo dovrebbero servire i concorsi letterari, con la loro inevitabile distinzione tra vincenti e perdenti: a misurare, secondo discutibili arbitri (spesso imprecisi e inattendibili), la bellezza formale racchiusa nelle singole opere.
La sostanza, ahinoi, resta la morte.
Ma la forma, vivaddio, è vita.
E il trionfo della forma è il trionfo (anche se momentaneo) della vita sulla morte.
Matera, città in cui forma e sostanza portano chi vi transita più vicino all’idea di Dio (che non ha niente a che fare con la fede o con la religione, ma con la dialettica tra percezione dell’infinito e finitudine, tra forma che tenta di ordinare la sostanza disordinata della materia e la sostanza che a un certo punto smetterà di essere organizzata in una forma) è un fondale unico per questa messa in scena di talenti ed eghi, narcisismi e presunzioni, tentativi e risultati.
Polvere eravamo e polvere ritorneremo. Ma, nel frattempo, nel processo di creazione e distruzione della materia, a quella parte cosciente di essere parte del divenire di questo violentissimo universo, a noi esseri umani, tocca struggerci e consolarci anche attraverso la scrittura e la lettura.
Che saranno anche poco più di un necessario inganno ma che in questi giorni, a Matera, non possono non farci pensare che, tutto sommato, poteva andarci peggio.