I brevissimi 2015 – Deposizione. Omaggio a Caravaggio, di Paola Fabris, Schio(VI)
_Anno 2015 (I sette peccati capitali – L’Ira)
All’inizio era solo corpo. Fu poi, con il tempo, che vennero le parole.
Si scagliava, in completo silenzio, solo il respiro ansimante e qualche grugnito ad accompagnare l’esplosione di energia caricata in ogni cellula e fatta ciecamente esplodere, a viso stravolto, in un vorticoso agitare di arti, sgranare di denti, serrare di pugni, irrigidire di mandibola, infuocarsi di occhi. Scottava, alla fine, e, quindi , si scioglieva in un freddo sudore, a ricordare il bollire delle carni. Come spirito, saliva attraverso le viscere e fuoriusciva in un eruttare pulsante per poi gelarsi di immobilità.
Alla fine, una immagine a fare da compagna. Visione stampata sugli occhi sbarrati, quadro che detta il respiro fagocitandone l’anima. Dipinto di scuro con rosso sangue al centro, drappo, strascico strisciante a terra, colare di vita iniettata e subito squarciata da una luce che interrompe il buio della notte, che svela il visibile, bianco funebre che adagia il corpo esangue sulla pietra tombale, letto marmoreo della resurrezione.
Attorno volti e corpi di donne e uomini: il dolore, la pena, la disperazione, la vergogna e, la rabbia.
Quest’ultima, la rabbia, unico coraggio che sa affrontare a viso aperto, dice che si dovrà morire ancora una volta, più volte, ripetere la tragedia innumerevoli attimi per poter dal verbo, alla fine, risorgere.
All’inizio era solo corpo. Fu poi, con il tempo e la pazienza, che le parole furono insegnate.
Fu l’atto di un misericordioso che schiodò il corpo dalla sua personale croce e, carico di tutta l’ira che viene dal testimoniare quello stato, accompagnò con infinita cautela il riappropriarsi della storia che aveva travolto permeando ogni singola particella del corpo e dell’ anima in modo asservito alla convulsiva e compulsiva esplosione. Fu un lungo percorso, fatto di passi danzanti, di un avanzare e recedere, sviluppare ed avvolgere. Un sofferto cammino di ritorno dall’esilio, un dettare di incipit che chiedevano uno svolgimento.
Lo depose, quel corpo, e lo convinse a deporre. Confessare a parole tutta la sofferenza che gli scatti infuocati avevano da sempre raccontato, celandola.
Solo allora potemmo tutti notare la donna violentata, la bambina abusata, il giovane emarginato, il povero affamato, la vecchia derisa, il padre offeso, la madre aggredita, lo straniero respinto, l’ammalato abbandonato, la prostituta invecchiata e cominciare ad intuire tutte le storie di quelli che ancora non hanno parole per dirle.
Alla fine fu solo la Deposizione. Una immagine fissata nel suo dinamico racconto di dolore, pena, disperazione, vergogna e ira arrabbiata che ci guarda negli occhi e non intende abbassare il capo a nascondere le colpe.