Di venti in venti_Giorgio Olmoti
Ho quarantotto anni.
Ci penso a volte, che fra vent’anni sarò un vecchio e non sarà una nozione meramente morale, un’attitudine al pensiero canuto, piuttosto la misura fisica dell’impaccio, della fatica d’essere e di camminare, una ragione minima di quel fiato che manca e che serbi con parsimonia al futuro prossimo, che a quell’altro di futuro non c’è più da pensare. Non sono mica tanti vent’anni e allora chiudo gli occhi e penso a cosa ho fatto nei miei primi vent’anni e dopo e ancora e le frazioni e i bisesti da contare col dubbio del baro al tavolo della tua mano di tempo. Fra vent’anni sarò un vecchio, un vecchio abbastanza, e mio figlio sarà quasi me adesso e si porterà nel mondo pezzi miei, che siamo da generazioni razza vagante.
Fra vent’anni farò ancora l’amore ma forse non sarà quella disputa coi sensi che mi rimbalza sottopelle tutti i giorni ora e prima, che i segni di quello scorrere impietoso del tempo non si palesano ancora sulle mie voglie e non sono di quelli che vanno tutti i giorni a correre al parco, che ho da ballare piuttosto tra le lenzuola. Ma chi può sapere tra vent’anni. Non è una cosa che mi preoccupa, ci penso con curiosità e quasi con la certezza che altri venti non ho nemmeno da farli tutti interi per quello che mi resta e per quello che ho speso.
Fra vent’anni certo non sarò diventato più ricco, non sono buono d’essere ricco e se lo fossi spenderei fino alla povertà. Fra vent’anni guarderò alla mia vita come a una sfacciata fortuna, perchè è così che la guardo ora, vada come vada. Fra vent’anni sarò morto o a un passo dal crepare e altri cento ne vorrei di anni, magari solo per poter camminare in confidenza con la risacca e sulla sabbia con accanto chi dico io.
Poi penso che quando è morto Bianciardi era già stato tutto e niente dentro un corpo solo e aveva la mia età adesso.
Mi sto regalando l’inutilità di altri vent’anni di questo passo.