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Domenico Ridola, Brevi Note sulla Stazione Preistorica della Grotta dei Pipistrelli e della vicina Grotta Funeraria

“Nell’agro di Matera, sui fianchi della gravina e del tratto roccioso del Bradano, s’incontrano grotte in grandissimo numero. Esse talora sono naturali, ma per lo più sono artefatte, cavate nel tufo, aggruppate qua e là a decine, e spesso crollate per l’ingiuria del tempo o devastate dall’opera dell’uomo. Sono ordinariamente di piccole e di medie dimensioni; talune sono grandi e vaste e per gli avanzi preistorici, che spesso contengono, sarebbero meritevoli di esplorazione.

   Non ve nè però una sola che possa reggere al paragone con la singolare caverna, che porta il nome di Grotta dei Pipistrelli. Essa le vince tutte, sia per dimensioni, sia per appendici e segrete vie di accesso, sia per la favolosa tradizione di un gran tesoro custodito dal diavolo e sia specialmente per l’importanza del suo strato archeologico.

   La Grotta dei Pipistrelli sta a circa quattro chilometri dalla città e la si raggiunge dopo una buon’ora di cammino, traversando la contrada Agna per quei sentieri che, seguendo, più o meno da vicino, il corso della gravina verso Sud-Est, menano alla contrada ed alle grotte dell’Ofra. Di là il viottolo va rasentando la gravina e, dopo un buon tratto, passa al di sopra ed al di là del piccolo gruppo di quelle grotte nascoste, che ora descriveremo e che per raggiungerle bisogna ripiegare a sinistra e, tornando indietro, discendere per un sentieruolo alpestre sul fianco del burrone.

   La prima ad incontrarsi è una grotta dalla volta bassa e mezzo celata da un gran masso. Lasciando questa a sinistra, e scendendo ancora, per circa 24 metri, s’incontra l’ampia apertura d’ingresso ad una seconda grotta, che precede quella dei Pipistrelli, ultima di questo gruppo.

   Tale caverna, ormai famosa, prende il nome dai Pipistrelli, che, nel buio fondo di essa e nel cunicolo che ivi sbocca, vi stanziano in grandissimo numero e sono di varie specie. Il volgo qui chiama mattivagghia il pipistrello e grott du mattivagghi quell’antro”.

È l’inizio del testo pubblicato da Domenico Ridola che racconta le diverse scoperte e i contatti che il medico di Ferrandina, materano di adozione, portò avanti nei primi anni del secolo XX.

La Biblioteca di Energheia si arricchisce di un nuovo testo del 1912 che riprende la storia del nostro territorio materano.

***

Domenico Ridola, figlio di Gregorio e della nobile Camilla de Gemmis di Terlizzi, si laureò in Medicina all’Università di Napoli nel 1865 quindi continuò i suoi studi in Italia ed all’estero per alcuni anni prima di rientrare a Matera dove aprì uno studio medico. Operò nella professione con grande competenza, e si distinse per aver effettuato delle ricerche su una malattia della bocca, detta malattia di Ridola.

Fu sindaco di Matera e consigliere provinciale per parecchi anni. Fu deputato per il collegio di Matera dopo la prematura morte dell’on. Michele Torraca nel 1906. Nel 1909 venne rieletto sconfiggendo Nicola De Ruggieri. Nel 1913, a 72 anni, non si ripresentò alla Camera ma il 16 ottobre 1913 fu nominato senatore.

Grande appassionato di archeologia, sin dal 1872 cominciò ad effettuare numerose campagne di scavo in tutto il territorio materano e delle Murge, e tra le sue scoperte grande importanza ebbero:

materiale preistorico risalente al Paleolitico in tutta l’area materana, in particolare nella grotta dei pipistrelli;

numerosi villaggi trincerati di epoca neolitica; la sua intuizione lo portò a scoprire le prime trincee osservando il colore più scuro dell’erba nei fossati circolari rispetto all’erba circostante che, nel mese di giugno, era più secca;

un’importante necropoli ed una ricchissima stipe votiva a Timmari;

il sito neolitico di Serra d’Alto, celebre per le sue ceramiche;

tombe a grotticella ed a tumulo delle Età dei metalli.

Tutto il materiale raccolto in anni di ricerche fu da lui donato allo Stato nel 1911, e da allora è custodito nel museo archeologico nazionale di Matera a lui dedicato.

Fu membro dell’Istituto Archeologico Germanico, dell’Accademia Francese di Archeologia, dell’Accademia Pontaniana e della Società Magna Grecia. Per i suoi alti meriti venne nominato anche ispettore degli scavi e monumenti di antichità per Matera.

«… Consentitemi soltanto che io possa giustificarmi di una colpa che taluni vogliono attribuirmi. Essi dicono: costui non ha diritto di parlare, perché non figlio ubbidiente della Scuola, non è un archeologo di buona lega, non è diplomato. Confesso non essere un archeologo di professione ed ufficialmente riconosciuto tale, perché non ho tanto di diploma. Dite, se vi piace, che io sia un allucinato che si consola di poter affermare che non fu solo effetto del caso o della cieca fortuna, se potei dimostrare che nel Materano fu largamente rappresentata l’epoca della pietra scheggiata e, più largamente ancora, quella della pietra levigata; se riuscii a scoprire la necropoli ad incinerazione a Timmari e là stesso, più tardi ancora, un’assai ricca stirpe votiva; se seppi interpretare l’uso delle trincee e con queste scopersi le capanne di Sette Ponti e di Serra d’Alto; se infine riuscii a fondare a Matera un vasto Museo, tutto di roba locale e che, per questo, fu giudicato unico nel suo genere e se il misero trovatello nutrito e vestito della mia carità ebbe l’onore di essere adottato dal Governo Nazionale…»

(Dall’intervento di Domenico Ridola alla Società Romana di Archeologia, 3 marzo 1924).

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