Futuro Remoto, I racconti Futuro remoto

E tutto finì (o cominciò) per una mela_Silvia Stucchi

_Mr. Greymen, banditore di Sotheby’s, guardò preoccupato l’orologio: dannazione, già le nove; afferrò la ventiquattrore, si avviò verso la porta e, contemporaneamente, ingollò con una smorfia la colazione, cioè il consueto beverone proteico e multivitaminico: nonostante ormai l’umanità si nutrisse solo di quei composti chimici, sintetizzati in laboratorio, per fornire il giusto equilibrio di proteine, lipidi, zuccheri, vitamine e sali minerali, Greymen non poteva ancora abituarsi al sapore plasticato di quegli intrugli senza aroma né consistenza.

Ricordava, con nebuloso piacere, i remoti e corsari godimenti della sua adolescenza, quando, a tradimento, aveva masticato un’albicocca, o ingoiato tre chicchi di melograno. Ma quei tempi erano ormai passati, passati e cancellati per sempre. Dalla grande crisi energetica del 2037, la produzione alimentare mondiale era bruscamente calata; la Terra, come una madre esausta, dalle vene disseccate, non offriva più cibo ai suoi figli degeneri i quali, inquinando, seppellendo rifiuti tossici, abbondando nell’uso di pesticidi e antiparassitari sempre più virulenti, avevano azzerato la produttività agricola.

Dalla grande siccità del 2099, poi, la situazione era tanto peggiorata che i pochi beni commestibili – un grappolo d’uva, un ananas, una manciata di nocciole – venivano venduti a peso d’oro in aste nelle quali i magnati del Pianeta si contendevano a suon di milioni di dollari pochi frutti che i loro trisavoli avrebbero disdegnato di pagare pochi centesimi in un mercatino. Ora, invece, il privilegio di affettare un pomodoro, o di bere un bicchiere di succo d’arancia era appannaggio di non più di trentacinque multimiliardari che detenevano il 99,99% della ricchezza mondiale. E che, nella loro avidità folle, nemmeno avevano voluto riprodursi, per evitare anche solo l’idea d’una possibile divisione futura dei loro beni fra degli eredi.

Li conosceva tutti, ormai, Mr. Greymen: i visi grifagni, i nasi aquilini, gli occhi predaci al centro di maschere di rughe, i polsi scarni che spuntavano dalle pellicce, le dita disseccate, gravate di orpelli e adunche come artigli di rapaci, pronte a sollevarsi in un’offerta, la cortesia che non era altro se non ipocrisia mascherata dalla buona educazione fra squali dell’alta società.

Li conosceva bene, quei mostri: M.me Deadleaf, 115 anni; Mr. Mortenson, 107, secco come uno scheletro e coriaceo come un cadavere saponificato; M.lle Lacharogne, 112 anni; Mr. Arpagon, un giovanotto di 99 anni; e poi altri, moralmente mostruosi, esteticamente orripilanti, spaventosi per menefreghismo, rapacità, crudeltà. Tutti individui la cui abominevole vecchiaia era così longeva grazie alle costose cure mediche che solo loro potevano permettersi. Ma questa, per fortuna, sarebbe stata l’ultima volta: perché l’oggetto bandito quel giorno era l’ultima mela, l’ultimo vero frutto in tutto l’orbe terracqueo. Con sguardo grave, Greymen entrò nella sala delle aste, reggendo la teca refrigerata e dorata in cui era conservata la mela. Rabbrividendo, come sempre quando si sentiva addosso quegli sguardi cupidi e feroci, iniziò la licitazione. “Signori, base d’asta 20 milioni di dollari”. “21!”, trillò M.lle Lacharogne, dandogli sulla voce. “22 milioni!”, rilanciò Mr. Arpagon. “25!”, sparò M.me Deadleaf. “30!”, gridò con gli occhi fuori dalle orbite Mr. Mortimer.

La situazione era fuori controllo: fra insulti e spinte, le grida dei contendenti si sovrapponevano come i marosi d’un mare in tempesta, e nei loro occhi brillava una luce sinistra, che a Greymen ricordava lo sguardo assente e feroce delle murene, viste al museo oceanografico da bambino. “35 milioni!”, gridò con il volto contratto in una smorfia orgasmica M.lle Lacharogne. “Zitta!”, le urlò contro Mr. Mortimer. “Vecchio demente, sta zitto tu!”, ringhiò lei. “Cagna! Sappiamo tutti che cosa hai fatto da giovane per un cioccolatino! Persino…”. Ma non finì la frase, perché la gentildonna gli balzò al collo schiacciandolo con il suo peso; e nella sala si udì il suono secco, come di un ramo spezzato, prodotto dalle vertebre cervicali del vecchio Mr. Mortimer. M.me Deadleaf approfittò del momento di sbandamento generale per avviarsi, brandendo un pugnale cavato dalla borsetta, verso il banditore, decisa a impadronirsi con la forza della mela, e ad addentarla subito. Non aveva però calcolato che Mr. Arpagon possedeva ancora un discreto scatto, e, memore della gioventù nella suburra, portava sempre con sé una piccola rivoltella. Il grido con cui Madame Deadleaf, colpita alla schiena, lasciava la vita, coincise con l’inizio della rissa ferina. Non più figure umane, ma un’accozzaglia di mani che agitavano lame e pistole, volti contratti nello spasmo dell’agonia o dell’istinto omicida, bocche pronte ad azzannare. Greymen non riuscì nemmeno a riscuotersi per riparare con la teca nella stanza di sicurezza blindata. Ma non fu necessario.

Cinque minuti dopo, tutti giacevano esanimi. “Devo dedurre che l’asta è annullata”, disse, più che altro a sé, oltre che alle telecamere di sorveglianza, Greymen.

27 luglio 2135.

EDIZIONE STRAORDINARIA! PRIMO NUOVO RACCOLTO DELL’UMANITÀ.

Greymen scorreva soddisfatto i titoli dei giornali mentre sorbiva una tazza di artificaffè, pensando, che, forse, un giorno non lontano avrebbe riassaporato il vero caffè. Dopo l’asta, infatti, aveva donato l’ultima mela sulla Terra a un centro di biochimica; grazie alle inesauribili disponibilità economiche di quei mostri senza eredi – che avevano depositato presso la casa d’aste i numeri di conto corrente – i ricercatori avevano potuto rivitalizzare il terreno ricavando una nuova coltura di frutta. Proprio Greymen aveva avuto l’onore di interrare i semi della mela fatale. Fatale come quella di Eva, ma da cui, questa volta, sarebbe, forse, rinata l’agricoltura.