Favole nere
di Helena Janeczek
Racconta favole nere per difendere il suo amore – quelle sentite da bambina, quando a metterle paura e farla obbedire c’erano gli zingari. Le viene istintivo scaricare addosso a loro la terribile disobbedienza della sua prima scelta adulta. Ha sedici anni, età in cui in altre nazioni europee è normale andare in vacanza con il ragazzo, persino uscir di casa e convivere. Qui invece essere giovani significa essere subalterni. Se sei femmina, lo sei due volte. Tre, se di famiglia povera. Peggio sono messi solo i rom e gli islamici, quelli non integrabili, perché non è nel nome di Gesù e Maria che, nel loro caso, la famiglia deve vigilare sulle figlie.
I mandanti morali del rogo di Torino e della strage di Firenze, sono anche responsabili del fumo con cui il razzismo, divenuto passepartout politico, ha saputo occultare i problemi di un paese incagliato tra arretratezza e recessione, proiettandoli sugli stranieri. I loro complici sono i media per i quali uno stupro commesso su un’italiana da un rom rumeno africano fa notizia (e le notizie calde si danno subito, senza troppe verifiche), mentre una donna straniera merita solo un trafiletto persino quando viene uccisa.
Vorrei che a tutto questo ci fosse una risposta non indignata, non retorica, non per un giorno atterrita affinché quello dopo torni tutto come prima. Vorrei che al processo per il pogrom delle Vallette si costituisse parte civile la città di Torino: come è avvenuto a Milano per Piazza Fontana o a Brescia per Piazza della Loggia. Perché la strage è stata evitata, ma non l’eversione che l’ha innescata, come dimostra la mattanza fiorentina. Perché non sono solo i rom o i senegalesi a esserne le vittime, ma pure i nostri figli: disgraziati anch’essi nella sommersa quotidianità cattiva, come scopre chi osa guardare oltre le cronache e le favole nere.