Filastrocca_Emilia Cavallaro, Messina
_Racconto finalista tredicesima edizione Premio Energheia 2007.
La palla vola in aria, gira, rimbalza, sbatte sulla ringhiera e torna indietro. Poi un sasso le fa uno sgambetto mentre rotola.
La donnina che semina il grano… Volta la carta e vedi il villano…
Va per un po’ a zig-zag e lentamente si ferma. La bambina la raccoglie e la lancia ancora. Poi la segue saltando su un solo piede. La coda dei capelli ondeggia di qua e di là.
… Il villano che zappa la terra… Volta la carta e si vede la guerra…
La palla avanza a larghi passi. Tocca terra ogni volta con suono sordo e regolare. Sul cemento forse c’è un percorso disegnato: la bambina si porta avanti con due salti sulla gamba destra, poi uno con entrambe e ancora due, sulla sinistra.
… La guerra con tanti soldati… Volta la carta e ci sono i malati…
Forse segue il tempo scandito dalla palla: atterrano sempre insieme. Poi la palla rallenta e la bambina continua da sola.
… I malati con tanto dolore… Volta la carta e vedi il dottore…
La palla è rossa, lucida, bella. Così bella che la morderei.
Il sole la fa luccicare tra le foglie in cui s’è infilata e sembra una bacca succosa. Oppure un agrifoglio di Natale. Quello, però, non si mangia.
… Il dottore che fa le ricette… Volta la carta e si vedon le lettere… Le lettere che van per la via… Volta la carta e vedi Lucia…
La bambina ha ripreso la sua palla. La solleva ma non la tira.
La guarda in controluce. È girata verso di me, ma non le vedo il viso e non so cosa pensa. Ha smesso di cantare e resta così per un po’. Ha un grembiulino rosa e due gambette bianche e sottili. La credevo più paffuta e invece è un filo d’erba. Piano piano abbassa la palla, poi la posa per terra ma non cala la testa. Guarda qualcosa che è qui, da questa parte. Forse… Non vorrei che mi avesse visto… Non deve vedermi; non voglio che mi veda. Mi nascondo di scatto sotto il davanzale e chiudo stretti i pugni. Il cuore mi batte forte: non la sento cantare e forse mi guarda ancora. Mi siedo a terra e aspetto, ma non succede niente. Mi ricordo dell’altra finestra, quella che ha pure le persiane. Striscio verso la porta e mi affaccio sull’uscio.
Esito un po’: e se qualcuno mi vede? No. Il piano è solo mio, nessuno sale mai qui. Attraverso in silenzio il corridoio e sento le tavole di legno sotto le mie dita nude. La seconda porta a destra… La serratura scatta ma i cardini cigolano. Il rumore mi irrita perché non voglio che giù sentano. Entro in fretta e richiudo. La luce filtra dalle tapparelle e disegna tante righe sul tetto. Sono già al davanzale e sbircio il cortile. Vedo la bambina di profilo. Sì, guarda ancora la mia finestra. Resta ferma in ascolto per alcuni minuti. Poi finalmente si stanca e riprende a cantare.
… Lucia che fila il suo lino… Volta la carta e si vede Arlecchino… Arlecchino che fa lo sgambetto… Volta la carta e si vede il galletto…
Corre facendo rimbalzare la palla al suolo con una sola mano, ma la colpisce troppo forte e presto diventa più veloce di lei e le scappa. Lei si ferma per ravviarsi i capelli. È un po’ goffa, quasi le braccia non fossero abbastanza lunghe.
… Il galletto che canta forte… Volta la carta e si vede la morte…
Gira su un tallone senza togliersi le mani dai capelli. Torna a guardare la finestra della mia stanza, quella dove stavo prima.
… La morte che ruba la gente… Volta la carta…
Ha finito con i capelli e dinoccola la testa. Fa un saltello e atterra a piedi alterni lasciando le braccia ciondoloni.
… e non vedi più niente…
Resta un po’ così, a guardare col naso all’insù. Certamente mi ha visto: devo fare più attenzione. Della palla s’è dimenticata.
Si siede a terra a gambe incrociate e si sdraia a metà, appoggiandosi sui gomiti. Deve piacerle la sensazione del peso dei capelli legati insieme perché continua a dinoccolare il capo. Non ha smesso di guardare verso di me.
… La donnina che semina il grano…
Mi cerca con gli occhi in ogni finestra e scruta attenta in ogni riflesso. Guarda anche dove sono adesso ma non può vedermi perché la persiana è chiusa.
…Volta la carta e…
Marta!
La filastrocca le muore in gola con suono strozzato.
Basta giocare! Vieni dentro subito!!
La bambina si alza in piedi di colpo. Cerca velocemente la palla e corre verso quella voce vecchia e tremula che la chiama.
La seguo con gli occhi finché non la vedo più. È entrata in casa. Torno anch’io al mio posto, nell’altra stanza. Una volta dentro richiudo le imposte di legno per fare buio e non vedere né il sole né il cielo. La mia è l’unica finestra che non ha le persiane. Prima mancavano a tutto il palazzo perché è una vecchia costruzione, di quando si usavano questi sportellini interni come i miei. Non so quando hanno deciso di cambiare gli infissi delle altre camere perché qui non faccio entrare mai nessuno. E nemmeno nessuno vuole più entrare da… non so più cos’è il tempo, né come si misura. Non so più niente e non voglio saperlo. Voglio solo stare qui al buio, senza sentire rumore e ogni tanto guardare la bambina. Non voglio nulla di nulla. Solo dormire, se mi riesce…
* * *
Dormire!? Come si fa a dormire!? Con tutto questo silenzio non posso dormire!!
Silvia non riusciva a controllare i suoi logori nervi già da molto tempo. Sedeva inquieta sul divano del salotto, le gambe accavallate e schiacciata sul bracciolo, con le mani troppo malferme, per tenere la tazza in equilibrio sul piattino.
Marina leggeva sul suo viso legnoso e stropicciato il peso di quei tre anni di vita non voluta, cacciata dalla mente, rifiutata come un cancro. Silvia posò di colpo la tazza sul tavolino rinunciando a berla. Poi frugò nervosamente nella borsa alla ricerca delle sigarette. Ne accese tremolando una e l’aspirò tentando di darsi un contegno. Incrociò lo sguardo compassionevole dell’amica e lo mantenne per un attimo. Lentamente, furtiva, strisciò sino al viso dell’altra e prese a bisbigliare in atteggiamento confidenziale.
Ti giuro, è come un fantasma… É qualche settimana che ha preso a girare per tutto il piano di sopra… Leggo la sua presenza in oggetti spostati, porte lasciate aperte e altri piccoli dettagli… Ma non sento i suoi movimenti… A volte ho dei brividi lungo la schiena, come dei presentimenti, e salgo a vedere, ma lo capisce… Forse faccio troppo rumore e… torna a chiudersi dentro… Ma io… ma io lo so che esce e che si muove… E muove le cose… Però non sento il rumore… Ma lei deve fare rumore… Io devo sentire il suo rumore…!
L’altra la guardava ancora nello stesso modo: pena, compassione, paternalismo. Silvia non si sentiva capita. Con uno scatto le prese le mani continuando a tenere la sigaretta tra le dita.
Credimi! È vero! Sono sicura che ha cominciato ad uscire dalla stanza!!! Non me lo sto inventando!
Marina cominciava un po’ a spaventarsi. Silvia sembrava molto peggiorata. Riscontrava in lei un’aggressività che non aveva mai avuto. Forse prendeva troppi tranquillanti. Intanto l’amica la scrutava con occhi aggrottati.
So cosa pensi… – sibilò piano – mi credi impazzita… “Il troppo dolore”… “Le medicine”… “La solitudine”… Ma non è così! Non sono matta! Devi credermi! Sento che è vero! E tu mi devi aiutare! Voglio che scenda! E che al più presto…
Shsss! Calmati!
Marina le turò la bocca con una mano e le indicò la soglia.
Marta era accovacciata a terra e spiava da dietro la porta a vetri.
Silvia parve improvvisamente calmarsi. Marina le passò un braccio dietro le spalle e la strinse con affetto. Rimasero così, zitte e girate verso la porta a sorridere della piccola impicciona che ascoltava cose che non doveva conoscere. Dopo poco tempo la sagoma di una vecchia signora sorprese la bambina e la portò via dolcemente. Marina cercò il viso dell’amica, che intanto aveva fatto finalmente uscire quel groppo di pianto che da un po’ si nascondeva in gola.
Meno male che c’è tua madre…
Silvia annuì sorridendo dolcemente. Era la sua mamma che dal maledetto giorno dell’incidente si era presa cura di lei, della casa, di tutti. Per merito suo, anche se lentamente, era riuscita a tornare a lavorare e a dare una parvenza di serenità alla creaturina che le era rimasta. Era una forte, sua madre.
Lo era sempre stata.
Quanti anni ha Marta?
Chiese Marina per distrarla. Gli occhi di Silvia si illuminarono al pensiero della piccola.
Sei… Ha iniziato la scuola da tre settimane…
Ma quell’altra… Il viso le tornò buio. Marina capì perché: faceva la psicologa e indovinare i pensieri della gente era il suo mestiere. Prima di andarsene abbracciò l’amica e le sussurrò per rasserenarla un poco:
Dai tempo al tempo…
Ma non ci credeva troppo, però. Sulla via di casa pensava alle piccole tragedie che per lavoro sfiorava ma che non poteva mai penetrare appieno, come la tangente tocca il cerchio solo sul bordo e in un solo punto per non incrociarla mai più.
Pensava alla sua amica e cercava di immedesimarsi: meglio una morte o una non-vita? In quell’incidente a Silvia era morto il marito, e a queste cose prima o poi ci si abitua. Ma a Maria ci si poteva mai rassegnare? Linguisticamente “morto” e “non-vivo” sono sinonimi, ma in realtà? Nella realtà è tutta un’altra cosa…
* * *
…Villano che zappa la terra… Volta la carta e si vede la guerra… La guerra con tanti soldati…
Marta passeggiava avanti e indietro nell’anticamera, con le braccia incrociate dietro la schiena, ostentando una falsa indifferenza. Si pavoneggiava dinoccolando la testa e gettava occhiatine furtive alla lunga scala che portava al piano di sopra.
Non si era mai chiesta dove portasse: non era mai stata in quella parte della casa, né aveva mai visto la mamma o la nonna salirvi. Ora, però, era diverso.
…Volta la carta e ci sono i malati… I malati con tanto dolore… Volta la carta e vedi il dottore… Il dottore che fa le ricette…
Ma il dottore non fa le punture?? Che sono le ricette??
Shsss!… Parla piano che lo spaventi!…
Santi guardò la cugina perplesso. Lei riprese a cantare la sua filastrocca e a passeggiare avanti e indietro. Lui finì la merendina e si asciugò sui pantaloni la mano sporca di cioccolata.
Secondo me lo spaventi tu con queste canzoni sui dottori e sulle punture…
Ti ho detto che sono ricette! E poi perché dovrebbe avere paura dei dottori? Ai fantasmi non si possono fare le punture…
Ah! Allora è vero che sono punture!
Santi sorrise ringalluzzito. Marta non lo ascoltava nemmeno e continuava a badare ai fatti suoi. Girava gli occhi con aria circospetta e scrutava nell’aria ogni traccia di odore o rumore che potesse servire ai suoi scopi. Sembrava convinta ma il bambino dubitava ancora.
Ma… sei sicura che al piano di sopra viva un fantasma…?
Non è che te lo sei inventato per prendermi in giro?
… Lucia che fila il suo lino… Certo che sono sicura! L’altro giorno ho sentito la mamma che lo diceva a Marina. E poi l’ho visto anch’io…
L’altro sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta per l’ammirazione.
Che???! Davvero!?! E com’era fatto??! Era trasparente come in “Casper”??! Oppure era uno zombi squamoso e con le catene che quando si muove fa…
Shsss! Non gridare stupido! E smettila di muoverti come uno scemo! Non l’ho visto da vicino…L’altro giorno giocavo in cortile e lui era affacciato alla finestra che mi guardava…
Quando s’è accorto che l’ho scoperto é sparito di colpo…
Fichissimo!
Arlecchino che fa lo sgambetto volta la carta…
Ma sei sicura che questa lagna lo fa uscire?
Ma vuoi smetterla di interrompermi?! Certo, la cantavo ogni volta che l’ho visto…
L’hai visto tante volte, allora!!!
… Il galletto che canta forte… Sì, mi siedo qui sempre a quest’ora e canto… A un certo punto lui appare in cima alle scale ma resta sempre in ombra…
E allora tu cosa vedi?
Ha una specie di lenzuolo bianco addosso… La morte che ruba la gente… Volta la carta…
Ma se invece lo attiriamo qui con un po’ di cibo?! Io scenderei di corsa!!!
Santi si leccò le labbra con sguardo sognante e si massaggiò la pancia con entrambe le mani.
… E non vedi più niente… E credi che non ci abbia pensato?
Ieri gli ho lasciato lungo le scale dei biscotti e un bicchiere di latte, ma non ha funzionato…
E certo! Latte e biscotti si lasciano a Babbo Natale non ai fantasmi!
E cosa si lascia ai fantasmi!?
Marta fece una smorfia col musetto e uscì la lingua con aria di stizzita canzonatura.
Bambini! Subito qui a fare i compiti!
Entrambi balzarono in piedi di colpo e corsero via. La nonna non era una con cui si poteva discutere.
* * *
… E vedi la guerra… La guerra con tanti soldati…
Un-due, un-due, hop, hop, hop… La bambina oggi gioca a saltare la corda. Ieri l’ho sentita parlare con qualcuno, forse uno della sua età. Però in cortile é sempre sola.
… I malati con tanto dolore… Volta la carta …
Fa bene a far così: anch’io sono sempre sola. E’ meglio, perché quando sei da solo non puoi fare male a nessuno.
… E si vedon le lettere… Le lettere van per la via…
E’ bello questo disegno che ha fatto. C’é un grande mare blu e tanti pesci dentro; e coralli, granchi e ricci. Non c’é il sole.
Temevo che ce lo mettesse, perché i bambini lo fanno spesso.
Se c’é il sole c’é la luce e alla luce i difetti si vedono di più.
… Lucia che fila il suo lino…
E’ gentile a lasciare attaccati alla scala dei disegni per me: sono tutti belli. Usa colori che non ricordavo più ci fossero.
Qui é tutto grigio-polvere. Ma é giusto che i colori siano scappati da me. Io non me li merito.
… Il galletto che canta forte…
E questo? C’é la sagoma della sua mano… Che piccola! Non ricordo di averla mai avuta così piccola… O sì? Sotto il letto ne ho uno uguale. L’ho fatto… non so quando… Eccolo! E’ un po’ sporco. C’é qualche insetto morto sopra… Ma é uguale al suo! Allora é vero che le mani possono essere così piccole.
La morte che ruba la gente…
Cerco di sovrapporre la mia mano alla vecchia sagoma del foglio sgualcito ma, é inutile: le dita sono troppo lunghe… Ho un groppo in gola e mi trema la bocca. Provo rabbia e butto via il foglio.
… e non vedi più niente…
E io, infatti, non volevo vedere più niente! Il tempo l’ho chiuso fuori da questa porta infiniti giorni fa! Lui come ha fatto ad entrare lo stesso?! Forse dalla serratura… O quando sono uscita per via della bambina… Sì! Deve essere così.
Balzo in piedi per la rabbia e tiro un calcio ad una scarpa abbandonata.
… Il villano che zappa la terra…
Mi calmo un po’ e mi affaccio. La bambina non salta più alla corda. Guarda me. Vede che anch’io la guardo, ma stavolta non mi abbasso. Immagino di parlarle: – Scusa se per un attimo sono stata in collera con te, non é colpa tua se il tempo è riuscito ad entrare lo stesso… – Ha smesso di cantare? Perché?
Mi piace quella canzone. Alza il braccio per metà. Chiede a gesti se voglio giocare. – Sì – immagino di risponderle – ma non posso uscire -. Scappa in casa. Forse ha capito… o forse si é offesa. Chiudo le imposte e mi accovaccio sul letto. Il cuore batte forte e mi brucia la faccia. Sono una stupida…
Non dovevo lasciare che mi vedesse…
La donnina che semina il grano…
Ho un sussulto nel petto e balzo sotto il letto. Lei è alle scale. Canta per me? Mi cerca? Nessuno mi ha mai cercato prima.
… si vede la guerra… La guerra con tanti soldati…
Il suono si avvicina: sta salendo le scale. No, si è fermato.
Forse è sulla prima rampa. Non vorrà per caso… venire qui!?
Prendo coraggio e striscio alla porta. Spio dalla serratura: sì.
È lì che aspetta. Apro piano, piano e schiarisco la gola. È un secolo che non parlo. Chissà se sono ancora capace…
… o… re… Vo… lta la ca… rta e vedi… dottore…
È la mia voce davvero? Il suono è roco e un po’ sordo. Lei ha ripreso a salire le scale. Continua a cantare e si avvicina.
Io l’aspetto sull’uscio in piedi.
… Le lettere che van per la via… Volta la carta e vedi Lucia…
È così strano sentire che al vibrare della bocca corrisponde una parola… Eccola, è arrivata in cima alle scale. Si ferma un attimo e scruta la mia figura. Riprende a camminarmi incontro continuando a studiarmi. Per un momento ho paura: le piacerò?
O si pentirà e scapperà giù per non tornare?
… e non vedi più niente…
* * *
Silvia fumava in salotto. Fumava, dimenticando di fumare.
E camminava avanti e indietro con nervosismo. Spense la cicca nel posacenere del tavolino e fece un respiro profondo sedendosi sul bracciolo del divano. Sprofondò la testa tra le mani e si scompigliò i capelli con le dita. Si diresse controvoglia alla porta ma poi tornò indietro. Sul tavolino c’erano le pillole: forse doveva prenderne una e non pensarci più. Prese il flacone in mano e lo rigirò varie volte studiando le compresse in trasparenza. Poi lo aprì e lo vuotò sul pavimento. Ritornò alla porta e questa volta la attraversò con decisione. Raggiunse le scale in punta di piedi e cominciò a salire i gradini fino all’ultimo. Si fermò un attimo e studiò l’aria a fiato sospeso: nessun rumore, solo quello del suo cuore che le rimbombava dentro, come se il corpo fosse tutto cavo. Avanzò fino alla soglia della stanza. Poi cominciò finalmente a parlare:
… M… Maria?…
Prese un po’ di coraggio e continuò.
Lo so, lo so che è tardi… Dovevo venire prima… Cercarti per… parlare con te… per…
Dietro la porta il silenzio era assoluto e snervante.
Ti prego, Maria, perdonami… Sono io… io che ho sbagliato…
Tu non c’entravi… Ed io… Io sono stata cattiva con te…
Maria non rispondeva e Silvia si sentiva poltiglia. Per tre anni l’aveva lasciata lì, sola, ad auto-flagellarsi per una colpa non sua. Aveva permesso che si rinchiudesse nella sua prigione e si condannasse a rinunciare alla vita accusata di averne spezzato un’altra.
L’incidente non è stato per colpa tua! È vero… ti ho urlato di sì quella notte, quando me l’hai chiesto… Ti ho detto tante cattiverie… e bugie, anche… Papà non ha investito per colpa tua…
Silvia rivedeva quelle scene ogni volta che chiudeva gli occhi per dormire. La discussione con Claudio e le parole orribili che gli aveva detto: le ultime che aveva sentito da lei.
E Maria dietro che non faceva che parlare… Lei che si girava di colpo per urlarle di stare zitta, Claudio che, spaventato, perdeva il controllo dell’auto, le luci di fronte, l’impatto, il sangue, quel dolore straziante. Maria che singhiozzava e ripeteva il suo martellante “Ma è stata colpa mia?”. L’esasperazione, i nervi a pezzi, quel “sì” pesante, urlato al vento, che più di una risposta era il ringhio rabbioso contro la Morte che ruba la gente. Poi solo lei, le sue crisi, i suoi nervi, i suoi problemi. E Maria?
Perdonami, ti prego! Non punirmi più! Non punirci più!
Nella foga Silvia si slanciò sulla porta, che si aprì senza sforzo. I suoi occhi febbrili cercarono qualcosa nella penombra: un filo di luce era disegnato sul letto. Spalancò la finestra e mangiò avidamente l’aria del mattino. Poi pianse: Maria era in cortile con il suo lungo camicione e i capelli arruffati sparsi al vento. La pelle, ormai dimentica del sole, era bianca, come il latte e attorno agli occhi, poco avvezzi alla luce, profonde e scure erano le occhiaie. Maria cantava. Dopo tanto silenzio cantava quella filastrocca della nonna e giocava a campana con Marta.
La donnina che semina il grano…
Si fermò un attimo e alzò lo sguardo verso la madre alla finestra: sorrideva…