Finire_Emma Reinhardt
Racconto vincitore Premio Energheia Francia 2018
Traduzione a cura di Sidonie Larato
La scrittura è fasulla, come il budino. Un piccolo budino stretto nel suo vasetto che non chiede altro che schiacciarsi morbidamente sul piatto moderatamente pulito della mensa, lasciando gocciolare il suo succo brunastro dal finto aspetto di caramello. Ancora tutto tremante, lascia scappare esalazioni di vaniglia OGM che, si suppone, avrebbero dovuto far impazzire le papille dei bambini…
Ce l’ha fatta, quell’essere subdolo! Tutti gli si buttano addosso, ognuno a modo suo. I più civilizzati, armandosi in modo del tutto naturale del cucchiaino, prelevano con delicatezza lo scalpo di quell’OSNI (Oggetto Schifoso Non Identificato). Gli avventurieri in cerca di emozioni forti provano il trucco magico di fare scomparire il budino in un solo boccone. Si precisa per i neofiti che l’inghiottimento di budino va riservato ai professionisti, pena il soffocamento… Tutti i piccoli sembrano gradire quella mostruosità che si osa chiamare “dessert”. Gli uni dopo gli altri, i budini spariscono e i bambini scompaiono. Sui tavoli giacciono ormai i vasetti di plastica insanguinati, i cucchiaini e i piatti sporchi di caramello…
Resta solo una povera piccola anima smarrita dallo sguardo ebete, seduta nel bel mezzo di questa scena del crimine. È seduta, da brava, su quella sedia che molto probabilmente strapperà con le sue schegge affilate i suoi collant rosa cipria nel momento in cui si alzerà. La mano sinistra afferra un grande bicchiere d’acqua mentre la mano destra tiene un piccolo cucchiaio di plastica. Davanti a lei, quell’ammasso giallognolo trasudante, quel flan repellente che le ispira solo disgusto. Quello sta lì, orgogliosamente rifulgente, aspettando con ansia di raggiungere i suoi compagni nell’al di là, nell’altra vita, là dove i budini hanno le ali.
Nonostante stia aperto da circa due ore, è ancora intatto. La bimba sa perfettamente quello che deve fare. Ingoiarlo, in qualunque maniera, al costo di rimanere rinchiusa là dentro per il resto della giornata, fino a quando il budino sarà sparito dal piatto.
Improvvisamente, qualcuno irrompe nella stanza. È la maestra, Madame Marquet. Si mette a parlare a vanvera, suoni, parole che compongono molto probabilmente delle frasi alle quali tuttavia la piccola non presta la minima attenzione. È ipnotizzata dalla possente corporatura della sua maestra e non può fare a meno di fissare di suo gozzo tremante al ritmo delle urla. Una volta scaricato ciò che, con ogni probabilità equivale ad un ammonimento, la grossa signora gira i tacchi e sbatte la porta. La piccola non ha ascoltato niente eppure ha capito tutto. Sempre la stessa storia. I giorni del budino, è sempre la stessa storia: “BISOGNA FINIRE!”. Ma sa che non sconfiggerà il suo avversario, ci ha già provato varie volte, invano. Era riuscita con l’aiuto del bicchiere d’acqua, ad ingoiare qualche boccone di budino, mobilitando tutte le sue forze per contenere la nausea che l’invadeva non appena avvicinava il cucchiaio alla bocca. Mai e poi mai era riuscita a finirne uno. Come questo racconto che non finirà mai, tutto questo perché al solo pensiero di iniziare, è già disgustata.
Signor Coralli, mi scusi, ma il budino non mi è mai piaciuto.