I brevissmi 2021. Formiche, Massimo Terzini_Veroli(FR)
Anno 2021 (Bianco)
Formiche. Niente più che formiche su un lenzuolo bianco increspato posato sul mondo ad un’altezza alla quale di solito comincia il cielo. Qui non dovrebbero esserci formiche. Tanto meno formiche colorate. Due puntini che da lontano sembrano neri, ma a guardare bene sono dipinte con colori forti. Blu e rosso.
Cosa ci fanno in mezzo a tutto questo bianco?
Nessuna formica dovrebbe avere voglia di arrampicarsi fin quassù.
Tanto meno se colorata.
Qui non c’è spazio che per il bianco. Niente che non sia bianco. Un bianco candido, immacolato. Un colore che abbaglia lo sguardo di chi ci posa gli occhi sopra e lo rimbalza su una parete di ghiaccio e neve dove un altro bianco finisce con l’abbacinarti definitivamente.
Anche il vento, a questa quota, assume il colore bianco di tutto il resto. Del nevischio, della nebbia che non sai se si sta alzando dalla valle sottostate, qualche migliaia di metri più in basso, o se c’è sempre stata, da secoli, da millenni, dall’inizio della storia del mondo. Per impedire alle formiche di salire dove il respiro deve essere allenato per sopportare l’assenza di pressione. Dove il cielo è di un colore scuro, un blu così intenso da sembrare nero. Anche di giorno.
L’unica differenza è che di giorno c’è il sole a darti coraggio, a ricordarti che prima o poi il panorama cambierà: che se continui a salire e se tutti gli Dei si appassioneranno a quello che stai facendo, forse si commuoveranno fino al punto di decidersi a darti una mano. Forse prima o poi tutto quello che vedrai, spalmato di quel colore bianco così invadente, si troverà più in basso rispetto alla linea dell’orizzonte, ai piedi dei tuoi piedi, sotto la suola dei tuoi scarponi.
Vorrà dire che ce l’avrai fatta e che tutte le formiche nere che sono rimaste giù ad aspettare che tu ritorni, ti indicheranno a dito; ti riconosceranno e da domani la smetteranno finalmente di dire che insegui imprese disperate.
Dopo una notte trascorsa accucciati nella tenda, vi sembra finalmente l’ora buona. Il vento si è calmato e perfino la nebbia si è stancata di nascondere il ghiaccio che riveste le pareti della montagna. Questo è il momento, o non ci sarà più tempo per tutto il resto, né domani, né in tutti i giorni che seguiranno.
A quest’altezza è difficile parlare. Pochi cenni scambiati con gli occhi e si riprende per lo strappo finale in direzione del punto più alto.
Dovete averlo intuito un attimo troppo tardi che tutto quel bianco intorno a voi era il luogo perfetto che gli Dei hanno scelto per andare a dormire. Non c’è nessuno, tra gli Dei, che tiene conto del coraggio di due formiche colorate. Degli sforzi fatti per portare a termine un sogno. Nessuno che si commuove al passaggio di due amici che vogliono solo distinguersi da tutte le altre formiche.
L’ultima comunicazione la raccolse il cuoco della missione. C’era lui alla radio del Campo base quella domenica. Una delle due formiche, quella colorata di rosso, scandisce poche parole, chiare, non del tutto rassicuranti: “Siamo a quota 6.300, forse anche un po’ oltre. Il tempo non è buono, c’è nebbia, nevischio e raffiche di vento”.
Qualche ora dopo, chi li avesse osservati da lontano avrebbe pensato che si erano fermati a riprendere fiato. Perché quando si passa in pochi minuti da meno 20 a meno 60 gradi è difficile mantenere inalterato il ritmo con cui si manda aria nei polmoni, ed è difficile continuare ad avere energia per muovere braccia e gambe e andare avanti.
Da allora sono fermi lassù. Una macchiolina rossa ed una blu distanti quel tanto che serve ad essere distinguibili.
La formica rossa si chiamava e si chiamerà per sempre Daniele Nardi.
La formica blu si chiamava e si chiamerà per sempre Tom Ballard.
La montagna continua ancora oggi a chiamarsi Nanga Parbat, ma da quel giorno di febbraio del 2019 ha smesso per sempre di essere un insignificante lenzuolo bianco posato su un pezzetto di mondo.