Fratelli per niente
Redazione di Amani – 4 Aprile 2009
Una domenica sera di febbraio la trasmissione Presa Diretta di Rai3 ha mandato in onda un apuntata tutta dedicata a storie d’immigrazione. In una di queste succedeva che i vigili del fuoco facevano sgomberare a Napoli uno stabile giudicato inagibile, nel quale abitavano famiglie italiane e straniere. A sera, le autorità municipali avevano trovato agli italiani una sistemazione di fortuna; gli immigrati erano stati, invece, lasciati in strada. Alcuni di loro hanno occupato allora, per protesta il Duomo ed è stato lì, sui banchi della chiesa, che un giornalista li ha intervistati. Uno, un ragazzo africano, riferendosi all’accaduto, ha detto che in Italia c’è l’apartheid, perché ci sono disparità di trattamento a seconda del colore della pelle. E ha aggiunto che è inutile dirsi cristiani e appellarsi al messaggio di fratellanza del Vangelo perché, se queste cose succedono, allora vuol dire che “non siamo fratelli per niente”.
Quel ragazzo aveva ragione. Non siamo fratelli per niente di chi è lasciato dormire per strada, mentre al suo vicino viene offerto un letto per la notte. Non siamo fratelli per niente di chi non ha diritto alle cure mediche, mentre il suo simile sì, solo perché ha un pezzo di carta in più. Non siamo fratelli per niente di chi raggiunge le coste europee a rischio della vita e viene per tutta accoglienza messo in prigione. Non siamo fratelli per niente di chi viene schedato senza aver fatto nulla di male, soltanto perché non ha un tetto (una cosa è trovare sistemi più efficaci per identificare i cittadini; un’altra – sbagliata – è usare questi sistemi per accrescere la discriminazione). Non siamo fratelli per niente di coloro a cui neghiamo un luogo di culto, che è bisogno fondamentale di ogni essere umano. “Quello che non ho sei tu dalla mia parte”, diceva il titolo che apriva il seminario indetto a Caserta dai volontari di Amani e dagli immigrati che lì vivono, nel marzo 3008, qualche mese prima della strage di settembre a Castel Volturno, nella quale vennero uccisi cinque di loro, tre ghanesi, un liberiano, un togolese. Sono parole di una canzone di Fabrizio De Andrè, che cantava gli ultimi e gli esclusi; loro ne hanno fatto un appello. Un obiettivo da raggiungere. Noi dalla loro parte.
“Porta il tuo cuore in Africa”, dice lo slogan di Amani. Ma oggi l’Africa è qui, da noi. L’Italia è la nostra Africa dei diritti fondamentali negati, della solidarietà rifiutata, dei torti inflitti al più debole, a colui che non ha nulla. Noi di Amani pensiamo che si debba fare qualcosa. Non soltanto per i bambini di strada di Nairobi e di Lusaka. Non soltanto per i ragazzi delle montagne Nuba. Si deve fare qualcosa anche per questa Italia africana. Chiediamo agli amici, ai sostenitori, ai volontari di Amani di segnalarci proposte ed idee che si aggiungano alle nostre.
Nel giugno 2008 Amani è stata tra i promotori della Porta di Lampedusa, il monumento ai migranti morti in mare, opera di Mimmo Palladino, che si inaugurò in quei giorni sulla scogliera dell’isola che guarda a sud. Vorremmo che quel monumento, che per migliaia di migranti ogni anno è un punto di arrivo, diventasse per noi un punto di partenza, alla ricerca di nuovi fratelli.