Fukushima: fabbrica di armi atomiche?
“Il Presidente Goto ha detto in TV che il Giappone ha prodotto dieci missili nucleari. Minacciava di usarle contro gli Stati Uniti, se non avessimo ceduto a certe loro assurde richieste. Non cedemmo e la US Navy ha distrutto quei missili.” – disse il Presidente Durling.
Questa situazione drammatica è raccontata in uno dei capitoli finali del romanzo di Tom Clancy “Debito di Onore” (1994). Secondo alcuni, però, la realtà supera la finzione: l’unità N°4 di Fukushima non avrebbe prodotto energia: sarebbe stata usata per arricchire plutonio da usare in testate atomiche. Yoichi Shimatsu, giornalista giapponese trasferito a HongKong., sostiene che i ritardi degli interventi di emergenza e l’estrema reticenza miravano a coprire esperimenti e attività mirate a produrre bombe atomiche. Il progetto sarebbe promosso da una congiura fra TEPCO, General Electric, Partito Liberal Democratico giapponese, METI (Ministero giapponese di Economia, Commercio e Industria) e la stessa Casa Bianca.
Altre fonti, numerose su Web, informano che a Fukushima ci sono 11.000 tonnellate di scorie nucleari non riprocessate (contravvenendo ai regolamenti internazionali). Da questo materiale, in effetti, sarebbe possibile produrre 1000 testate nucleari – secondo il Congressional Research Service USA.
Sono state già diffuse smentite ufficiali. Su questo terreno critico non c’è da sperare in prove sicure di fatti e intenti. Riporto qui per primi gli elementi che potrebbero confermare le intenzioni giapponesi di dotarsi di armi nucleari.
Già durante la seconda guerra mondiale fisici giapponesi avevano iniziato ricerche e progetti per realizzare la fissione nucleare, fra cui impianti per produrre acqua pesante in Corea del Nord – poi presi dai russi.
Quattro Primi Ministri dichiararono pubblicamente che l’Articolo 9 della loro Costituzione non nega il diritto del Giappone a dotarsi di armi atomiche: Nobusuke Kishi nel 1957, Tsutomu Hata nel 1996, Yasuo Fukuda nel 2002 e Shinzo Abe nel 2006. Aggiunsero che il Giappone era in grado di produrre bombe atomiche, ma che non lo aveva ancora fatto. [Kishi fu Ministro del Commercio e dell’Industria del Manchukuo prima e durante la guerra e fu anche il vice del Generale Tojo, impiccato per crimini di guerra nel 1948. Era considerato uno dei 25 criminali di guerra colpevoli di peggiori misfatti. Fu in carcere dal 1945 al 1948 – poi fu primo ministro dal 1957 al 1960.]
Nel 1970 e nel 1995 il governo giapponese commissionò ad esperti un’analisi costi-benefici dell’eventuale sviluppo indipendente di armi atomiche. In ambo i casi si concluse che era meglio continuare ad affidare la sicurezza internazionale alla protezione USA. L’opzione dell’arma atomica, però, continua a essere considerata.
Il Giappone è l’unico paese non dotato di armi nucleari ad avere un impianto per riprocessare le scorie: Rokkasho-mura, ove sono in funzione centrifughe avanzate per l’arricchimento dell’uranio.
L’opzione armi nucleari è stata sostenuta e discussa pubblicamente senza destare scandalo.
Per contro, altre circostanze indicano che sono infondati i timori di congiura e di imminente trasgressione del Patto di Non Proliferazione (ratificato nel 1976). Questo evento avrebbe ripercussioni ed evocherebbe emulazioni sgradite anche a Tokyo.
Anzitutto i giapponesi non hanno missili intercontinentali, né siti usabili per un primo test. Inoltre il Giappone ha sviluppato con gli USA un piano comune di difesa missilistica.
La dottrina dei tre “no” nucleari (non possesso, non produzione, divieto di introduzione nel territorio) è stata riaffermata ripetutamente da statisti e politologi. Ampi strati dell’opinione pubblica avversano la ricerca sulle armi nucleare ricordando le stragi di Hiroshima e Nagasaki
Il Giappone ha cooperato fin dagli inizi con la IAEA (International Atomic Energy Agency) di Vienna e tutte le sue attività nel settore sono soggette alle salvaguardie e al monitoraggio dell’Agenzia. M. Elbaradei, direttore generale dell’IAEA dal 1997 al 2009 ha scritto: “il Giappone ha impeccabili credenziali per la non proliferazione”.
Attualmente, poi, dopo il disastro di Fukushima, il Giappone è impegnato nella ricostruzione industriale e del sistema energia. La generazione di elettricità fino all’inizio del 2011, era assicurata dal nucleare per il 35% – ora molto ridotta dopo Fukushima. I piani giapponesi a lungo termine prevedevano entro il 2050 un ricorso quasi esclusivo ai reattori veloci autofertilizzanti. Questi sono molto attraenti per gli alti rendimenti in materiale fissile. Due prototipi (MONJU e JOYO) hanno subìto incidenti e incontrato difficoltà tecniche, come era già accaduto al reattore francese Superphenix disattivato nel 1998.
I giapponesi devono affrontare già molti problemi (fra cui l’unificazione della frequenza dell’intera rete). Sembra improbabile che decidano di aggravarli avventurandosi nel settore militare.