Futuro visto: da Machiavelli a Francesco Bacone
di Roberto VACCA
Fra il 15° e il 17° secolo autori ben noti scrissero sull’evoluzione della società nel tempo futuro in modi difformi e discontinui. Alcuni precorrevano di secoli gli approcci logico-sperimentali moderni. Altri ripetevano opinioni tradizionali di sapore medioevale senza sentore di imminenti tendenze rinascimentali. È interessante contrapporne alcuni citandone opere famose, di cui riporto qualche elemento.
Fra i primi campeggia Niccolò Machiavelli (1464-1527): dalla sua “lunga esperienza delle cose moderne” e “continua lezione delle antique” [discorsi sulle opere di Tito Livio – e di altri] fu ispirato a gettare le basi della politologia e della sociologia. Descrisse acutamente i meccanismi e le regole dell’amministrazione e dei governi autocratici e democratici, anche se era ingiustificata l’ottimista esortazione nell’ultimo capitolo del Principe.
Anche il suo contemporaneo Tommaso Moro (1480-1535), considerato (da K. Kautsky ed altri) precursore del comunismo, fu estremamente ottimista. Era un umanista. Inventò la parola “Utopia” : la perfetta città futura – cristiana, democratica, frugale, egalitaria, in cui non esisteva il denaro, era abolita la proprietà privata, che favoriva orgogli eccessivi, e la massima parte delle risorse erano investite in scuole e in incrementi della conoscenza. I pigri venivano condannati ai lavori forzati. Le abilità militari venivano insegnate per poter resistere a eventuali aggressori. Fu Cancelliere del re Enrico VIII che per i meriti di lui (che scriveva i proclami del re) fu fregiato dal Papa dell’appellativo di difensore della fede. Rimase cattolico e non seguì il re passato alla Riforma e autonominato capo della chiesa anglicana, per cui fu considerato traditore e decapitato nel 1535.
L’eruditissimo Tomaso Garzoni (1543-1589) nel suo “Serraglio degli stupori del mondo” non riportò risultati di esperimenti, ma trasse notizie su vaticini da testi classici latini e greci. Gli oracoli delfici più famosi furono quelli che riguardavano Edipo e la famiglia di Agamennone. La Pizia, veggente del tempio di Apollo a Delfi vedeva l’avvenire mentre era immersa in vapori emanati da una fessura nel terreno. Questi vapori avrebbero favorito la produzione di umore melanconico, atto (secondo Aristotele) a favorire la visione di fatti futuri.
Il monaco domenicano Giordano Bruno (1548-1600), fu bruciato sul rogo come eretico per le sue credenze in un Dio immanente e coincidente con la natura (eterna, immutabile, divina), nella pluralità dei mondi e nell’eliocentrismo – ma non nella Trinità. Bruno seguì gli insegnamenti di Giulio Camillo Del Minio che aveva riesumato l’antica arte della memoria. Per la previsione dell’avvenire, invece, si rifece a Raimondo Lullo, ma trascurò la combinatorica dell’Ars Magna e preferì la cabala illustrandola nei suoi scritti ermetici.
Galileo Galilei (1564-1642) che gettò le basi del metodo sperimentale, insegnò come le previsioni dell’andamento futuro di fenomeni fisici si possano fare utilizzando strumenti matematici applicati ai risultati di misure di tempi e lunghezze. Notoriamente nei secoli seguenti i suoi metodi furono utilizzati in demografia, sociologia ed economia.
Galileo illustrò nella sua prosa elegante come ragionare in merito.
Francesco Bacone (1561-1626) – Cancelliere di re Giacomo I – nel suo Novum Organum Scientiarium tentò un classificazione delle scienze che suddivideva in filosofia speculativa e filosofia operativa. Non giunse fino a tentare l’uso di strumenti matematici, sebbene fosse in corrispondenza con Galileo. Fu il primo a formulare esplicitamente il concetto di progresso nel suo libro “New Atlantis”. Sostenne che il progresso della scienza e della tecnologia sarebbe stato inarrestabile, basandosi sull’importanza e sulla diffusione delle tre invenzioni: la bussola, la stampa e la polvere da sparo.