I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2018 – Giallo di Giorgia Angelica Chatzidakis_Bologna

_ Anno 2018 (I sette colori dell’iride – Il giallo)

Ricordo quel giorno nei dettagli perchè dal mio piedistallo potevo osservare tutto.

Il museo era stato chiuso, e comunque nessun visitatore vi entrava più da tempo. Io ero come sempre al mio posto, immobile, eppure così dinamico, dicevano.

Quella mattina entrò nella mia sala uno strano gruppetto di uomini, non i soliti turisti, indossavano divise militari. Altri due, più giovani e armati, rimasero sulla porta, di guardia. Mi osservarono per più di mezz’ora, girandomi intorno e discutendo tra loro, pronunciando parole che non potevo comprendere. Mi misurarono da capo a piedi, mentre uno di loro, piccolo e severo, prendeva appunti sul suo taccuino. Erano seri, quasi dispiaciuti per me, ma decisi sul da farsi.

All’improvviso entrò trafelato un altro uomo, il direttore del museo. Lui aveva deciso di dedicare una stanza unicamente a me. Non lo avevo mai visto così sconvolto. Cominciò a gridare, lo capivo dalle espressioni esagerate e dai movimenti nervosi. Gli altri rimasero imperturbabili e distaccati.

Quasi fuori di sé, il direttore si mise fra me e loro, allargò le braccia per farmi scudo col suo corpo, così piccolo ed esile rispetto al mio. Dall’alto potevo vedere che piangeva e in quel momento forse capii.

Non ci fu nulla da fare. Le guardie lo afferrarono e lo trascinarono via mentre gridava e scalciava nel tentativo di ribellarsi. Mai mi sentii così impotente. Solo un’altra volta avevo desiderato di scendere dal mio piedistallo e in quel disperato momento ci ripensai.

Nella prima ondata di visitatori in una luminosa giornata primaverile una ragazza aveva attirato la mia attenzione. Dall’arcata d’ingresso intravidi sfrecciare per il museo il suo vestitino giallo, come un lampo. Quando entrò nella mia sala mi osservò attentamente e infine i nostri sguardi si incontrarono. Rimanemmo immobili per qualche istante. Io, davvero immobile, congelato da sempre nella mia posa, con lo sguardo basso leggermente rivolto verso destra; lei, col fiato sospeso e gli occhi rapiti nei miei. Accennò un sorriso, poi, richiamata da qualcuno, scappò via senza voltarsi. In quel momento ebbi l’impulso di fare veramente il passo che solo fingevo, di scendere e inseguirla.

Così, anche quel giorno, non potei far nulla per fermarli, magnifico e inerte, ancorato al mio piedistallo.

Ciò che successe dopo è ovvio: sotto la sovrintendenza degli uomini in divisa e gli occhi addolorati del direttore, che, impotente quanto me, restava in disparte, cominciarono i lavori per il mio spostamento. Disteso e legato su una sorta di carrello vidi il cielo per pochi istanti e poi fu tutto buio. Mi avevano portato fuori dal museo e chiuso in un furgone. Quando la vettura si fermò altri uomini in divisa si occuparono di me. Riuscii a leggere l’insegna dell’edificio in cui mi stavano per portare: fonderia. Entratovi, avvertii subito la temperatura elevata. Il giorno seguente arrivò il mio momento: mi liberarono dalle corde e avvicinarono il carrello ad una fonte di calore. Ancora non riuscivo a vedere, ma presto mi voltarono e cominciarono con fatica ad introdurmi in un forno. Da quel momento i miei ricordi sono confusi. Persi subito la percezione degli arti e il calore si fece talmente intenso da annebbiarmi la mente. Mi resi conto di perdere forma: il mio corpo di bronzo si stava fondendo. L’ultimo ricordo visivo è il muro incandescente del forno, illuminato di una luce gialla accecante. La sensazione provocata da quel calore fu in un certo senso molto simile al momento della mia nascita. Ripensai al vestito giallo della ragazza e poi, insieme alle cavità degli occhi, mi si sciolsero anche i pensieri.

Non fui più io, ma il mio bronzo fu reimpiegato per qualcosa, per la patria, riuscivo ancora a leggere nelle dediche sugli astucci in cui mi inserivano. Non ebbi più percezione di nulla se non di un’ultima atroce esplosione. Una potente scarica mi fece sfrecciare nel cielo, preciso, come solo un proiettile può essere. E tutto finì, nelle luci gialle degli spari e delle granate.